Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
Bonifaci de Castellana
Gerr’ e trebailh e brega·m platz
102.
2
Bonifaci de Castellana
Gerr’ e trebailh e brega·m platz
Trad. it.
Apparato
Note

I. Mi piacciono guerra e tormento e tumulto, e mi piace quando vedo la retroguardia, e mi piace quando li vedo schierati, e mi piace quando vedo vibrare gran colpi, sicché la terra mi pare sottosopra: perché tale è il mio cuore e tale il mio sentimento, e in fatto di dispute capisco ogni giorno meno.

II. E m’infastidisco perché vedo avvocati incedere con così tanta boria, e mi è insostenibile la prudenza dei prelati, perché non ho mai visto nessuno rallegrarsene: poiché a chi porta davanti a loro la propria ragione, gli rispondono che questo è nulla, ché tutto è in realtà del Conte.

III. Mi piace la disgrazia dei provenzali, perché nessuno se ne accorge; e i francesi sono così galanti che di solito li fanno incedere con un cappio al collo che non procura loro alcuna pietà, tanto li considerano codardi.

IV. Quelli di Asti prendono tregua e pace, e perdono a Staffarda tutta la terra che è accanto; e io l’ho ben sentito dire, che Cuneo era la loro porta; e adesso vedo che li danneggia e non rispetta i loro ordini.

V. Vedo assai menomati i genovesi e il capitano che li protegge, poiché perdono la contea di Ventimiglia che solevano controllare. Ben vedo dunque Genova morta, e il capitano che soleva essere buon difensore è indifferente.

VI. Prenderei di corsa la sporta, piuttosto che difenderli con cavalieri e mercenari.

VII. Maurino, una gioia mi conforta: che so bene che la più valente mi desidera più di tutti i suoi parenti.

I. 3 los vei arrengatz] l. vey a. C, vei cavals armatz M

II. 8 E enoja·m] mout menueia C, enoiam M; qar] dels C    9 vei annar] quels vey anar C; ab tan gran] a gran C    10 e pesa·m conseilhs] et an cosselh C; de prelatz] dels autz prelatz    11 qar anc home] quanc nulh home C    12 qar qi] ans qui    13 qe aiço] aisso C, qaiço M    14 qe del Comt’ es tot] tot es del conte C

III. 16 qar] e quar C; non i] nos C    17 e·l Frances son tan] els f. s. t. C, ben lo tenon per M    18 qe tan soven] que quascun iorn C, qar tan soven M    19 al col] liatz C, ab col M    20 qe no lur val nul] e no lur en pren C    21 recresenz] terrezens C recresentz M

IV. 22 Silh] cui M; d’Ast] dat C; prenon] prendon C, preno M    23 tro en Stafarda] tro ast farda C    25 e ieu ai lo ben] quen ayssi o ay C    26 qe Cunis] que queacom C, qe cums M; era] a C    27 e ar vei qe lur es nosenz] que no sol esser defendens C    28 e no fai pas lurs mandamenz] so que aras lur es nozens C

V. 29 Trop mermatz] abayssatz C    31 qe] e C; Vintemilha·l] ventamilals C    32 solian] solion C    33 donc] don M; ben vei] bem par C    34 e·l capitain’ es] la poestatz nes C; nonchalenz] non calens C, nochalentz M    35 qe sol esser ben] que lur sol esser C

VI. manca a C    37 los] li M

VII. manca a M    40 valens C    41 parens C

1. L’incipit riecheggia una specifica variante del verso d’apertura di Bertran de Born, Guerr’e pantais veg et affan (BdT 80.22, altrove nella tradizione appunto Guerr’ e trebailh) e Al dous nou termini blanc (BdT 80.2), v. 20: «tant cum gerra, trebails e fais». Assai singolare è inoltre la somiglianza di esordio con l’anonima Ma volontatz me mou guerr'e trebaill (BdT 461.164a), come nota Massimiliano De Conca, «Genova e genovesi nelle carte occitaniche», in Poeti e poesia a Genova (e dintorni) nell’età medievale. Atti del convegno per Genova Capitale della Cultura Europea 2004, a cura di Margherita Lecco, Alessandria 2006, pp. 81-97, a p. 85 nota 7.

8-12. L’intera strofe è consacrata alla durissima requisitoria nei confronti di preti e avvocati, motivata però da ragioni diverse. L’insofferenza nei confronti dei giurisperiti – di cui Bonifaci sottolinea l’insopportabile alterigia – in concomitanza con l’esaltazione della guerra che caratterizza la prima cobla, appare pienamente giustificata dalle mutate condizioni amministrative in Provenza (si vedano le Circostanze storiche). Si tratta comunque di un sentimento collettivo che, come ricorda De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, vol. II, p. 203, affiora anche tra i versi pressoché coevi di Bertran d’Alamanon Lo segle m’es camjatz (BdT 76.11), vv. 28-30: «Que me coven de platz / pensar e d’avocatz / per far libelhs tot dia». Al disprezzo per gli uomini di legge si aggiunge, con altrettanta veemenza, quello per gli uomini di Chiesa, che a dire del signore e trovatore di Castellana sarebbero rei di asservirsi completamente di Carlo.

19. Il verso allude alla nuova e frustrante condizione di totale servilismo dei provenzali inaugurata dal nuovo governo angioino. Prostrati da un insostenibile regime fiscale e da un rigido sistema di amministrazione locale, i conterranei di Bonifaci sono descritti come prigionieri col capestro (redorta) attorno al collo, sotto la beffarda sorveglianza dei francesi. Lessicalmente molto vicina a questa formulazione è quella, riferita però ad Alfonso X di Castiglia, contenuta in Ma volontatz me mou guerr’e trebaill (BdT 461.164a), v. 27: «elh fai de col redorta» (cfr. De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, vol. II, p. 206).

22-24. La tregua e la pace in questione sono molto probabilmente quelle stipulate tra gli astigiani e Carlo d’Angiò il 21 febbraio 1260 (cui ne seguirono altre due, una nel 1261 e l’altra nel 1263: si vedano le Circostanze storiche). L’immediata conseguenza di ciò fu la perdita di un ampio territorio, in precedenza controllato da Asti, nel Piemonte sud-occidentale fino appunto all’avamposto di Staffarda.

26 Cunis: la città di Cuneo, definita come porta d’accesso per Asti, era ufficialmente entrata in orbita angioina con il trattato del 5 febbraio 1259 stipulato tra Raimondo Asinario, podestà del capoluogo piemontese, e Guglielmo Olivario e Giacomo Cais, uomini di fiducia di Carlo d’Angiò. Il trattato si prefiggeva di garantire la sicurezza dei commerci del sale tra la Provenza e il territorio cuneese, ma si trattava di fatto di un’abile mossa strategica per favorire l’espansione angioina nei territori dell’Italia nord-occidentale (cfr. Circostanze storiche).

30 e·l capitaine: si tratta di Guglielmo Boccanegra e non di Guglielmo II, conte di Ventimiglia, come erroneamente segnalato da De Conca, «Genova e genovesi», p. 85. Il Boccanegra era stato infatti il primo capitano del popolo di Genova dal 1257 al 1262, anno della sua deposizione: si vedano le Circostanze storiche.

31-32. La contea di Ventimiglia era stata, nel corso dell’intero XIII secolo, oggetto privilegiato di contesa tra genovesi e provenzali. Durante il periodo di capitanato di Guglielmo Boccanegra furono proprio i conti di Ventimiglia a richiedere l’intervento di Carlo d’Angiò, al quale cedettero i propri diritti sul territorio: Alberto M. Boldorini, «Guglielmo Boccanegra, Carlo d’Angiò e i conti di Ventimiglia (1257-1262)», Atti della Società Ligure di Storia Patria, n. s., 3, 1963, pp. 139-199, alle pp. 142-143.

36 l’esporta: equivale alla scarsella, consueto simbolo dell’elemosina e attributo tradizionalmente assegnato ai pellegrini in viaggio verso Santiago de Compostela.

39 Mauri: l’envoi è affidato allo stesso personaggio, probabilmente un fedele giullare di Bonifaci de Castellana, che compare anche nelle tornadas di Ara pos iverns es el fil (BdT 102.1), v. 50: «Mauret, una·m det son anel», e Si tot no·m es fort gaja la sazos (BdT 102.3), v. 43: «Mauri, s’ieu mai non l’am que nulha re».

Testo

Edizione, traduzione e note: Cesare Mascitelli. – Rialto 9.xi.2017. 

Mss.

C 381r (Bonifassi de castellana), M 245v (S(erventes) bonifaci de castellan(a)).

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizione critica: Amos Parducci, «Bonifazio di Castellana», Romania, 46, 1920, pp. 478-511, a p. 502.

Altre edizioni: François Just Marie Raynouard, Choix de poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. IV, p. 214; Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 202 (testo Raynouard); Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 109 (testo Parducci, ma grafia di C); Martin Aurell, La vielle et l’épée, Paris 1989, p. 271 (testo Parducci).

Nota filologica

Si adotta come manoscritto di base il canzoniere M (come nell’edizione di Amos Parducci, «Bonifazio di Castellana», Romania, 46, 1920, pp. 478-511), la cui lezione appare generalmente più corretta. Il testo è occasionalmente emendato anche grazie alla concorrente testimonianza di C che, pur presentando non di rado banalizzazioni e fraintendimenti, è in qualche caso latore di possibili lectiones difficiliores (come ai vv. 3 e 17). Inoltre, come nota Parducci, «Bonifazio», p. 505, C risulta meno affidabile anche perché preserva un differente ordinamento delle coblas (I-IV-III-II-V) che sembra effettivamente inficiare la logica dell’esposizione. Sono accolte infine entrambe le tornadas, sulla cui autenticità non sembra lecito avanzare dubbi, malgrado non siano attestate congiuntamente da nessuno dei due canzonieri (in M si trova la prima, in C la seconda).

Metrica e musica

Metrica: a8 b7’ a8 c8 d7’ e8 e8 (Frank 463:1). Cinque coblas unissonans di sette versi ciascuna, seguite da due tornadas di 3 versi. Rime: -atz, -arda, -ir, -orta, -enz.

Informazioni generali

Gerr’ e trebailh rappresenta una durissima reprimenda rivolta dal poeta agli abitanti della Provenza e alle città di Asti, Cuneo e persino di Genova (nonché del suo capitano Guglielmo Boccanegra), cui Bonifaci di Castellana rimprovera la generalizzata incapacità di porre un freno alle mire di Carlo I d’Angiò. Sulla base di riferimenti interni al testo, il sirventese risulta composto tra i mesi di febbraio e luglio del 1260: si vedano le Circostanze storiche.

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