I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
T.
I. L’inganno e la malvagità hanno così abbattuto ogni canto e divertimento, ogni gioia, servizio d’amore e compagnia, ogni educazione, liberalità e cortesia, ogni onore e pregio e leale galanteria, che manca poca tristezza a far sì ch’io divenga disperato, perché tra cento donne e spasimanti non ne vedo una né uno che si comporti bene rispetto all’amare fedelmente e che non si impegni a far la corte anche altrove, né che sappia dire che cosa è divenuto l’amore: guardate come viene abbassato il valore!
II. Ma vi sono donne e, se parlate di ciò, drudi che dissimuleranno e diranno sempre che essi sono leali e amano senza menzogna e che ciascuno di loro è coperto e nascosto, eppure inganneranno di qua e di là in ogni direzione; e le donne, qualora abbiano più amanti, più pensano che ciò sia considerato un pregio, ma (mi auguro che) a loro venga un tale beneficio qual è appropriato, perché per ciascuna di esse è onta e disonore il fatto che, dopo aver accettato di sopportare un drudo, in seguito devii altrove.
III. Tanto quanto in una donna è maggiore la bellezza e la nobile accoglienza e la piacevole grazia e la nobile conversazione, il pregio e la dolce compagnia, allo stesso modo deve maggiormente custodire le proprie volontà; perché non serve a niente un cuore diviso in due metà e non è puro, se ha un colore [cioè: opinione] mutevole: ché è necessario che un solo amore la avvinca! Io non dico affatto che sia sconveniente per una donna, se uno le fa la corte o se vi è chi è innamorato di lei, ma non deve affatto prestare soccorso in due luoghi diversi [cioè: amoreggiare con due uomini diversi].
IV. Per tutto il tempo in cui l’amore regnò lealmente, il mondo fu buono e senza villania; ma dopo che l’amore si trasformò in frivolezza, la gioia decadde e la nobiltà d’animo s’invilì, al punto che io stesso, se voglio dire la verità, ho imparato tanto riguardo ai falsi amanti ingannatori che non è scontato che me ne emendi mai più, perché abbandonai di corsa colei in cui regnano pregio e senno e bellezza, come se mi avesse fatto del male, quando invece mi aveva elevato e fatto avanzare e innalzato.
V. E se le piacesse che il bel piacere onorevole, cioè che mi accettasse sotto la sua leale signoria, poiché si rende umile (anche) in altro, si addolcisse tanto che mi perdonasse e non mi recassero danno l’alto rango né la nobiltà, allora sarei purificato verso di lei, così come l’oro si purifica [cioè: si raffina] nella fornace; ché, se ella mi sottrae al male o si degna di farlo, così le sarò puro senza marchio di falsità, come il leone a Golfier de Las Tors, quando l’ebbe liberato dai suoi nemici peggiori.
VI. E se questo torto, donna, mi fosse stato perdonato, avrei passato il mare al di là dell’Italia, ma non penso di fare il pellegrinaggio in modo corretto, senza essermi riconciliato con voi: solo per questo dovreste volere la pace, e perché in voi risiedono pietà e onore. Vada la mia canzone – che nulla la trattenga! – a pregare voi laggiù, in modo sincero, che vi ricordiate che gentilezza e dolcezza si addicono ad una persona nobile e anche Dio perdona coloro che perdonano di cuore.
T. Madonna Maria, tanto è grande il valore che risiede e regna in voi, valente signora, che mi meraviglio del fatto che vi sia qualcuno che possa esserne all’altezza; e ogni giorno accrescete ai trovatori le azioni piacevoli, grazie alle quali se ne accrescano le lodi.
14-15. Essere cubertz e celatz è di solito titolo di vanto per il drudo leale, che in tal modo garantisce alla dama la necessaria discrezione (cfr. BdT 167.42, vv. 45-46, amors no pot gaire durar / qi no·l pot cubrir ni celar; Breviari, vv. 31829-31834, Cosseilhs es doncs que fis aimans / (...) guar se, sobre tota re, / que sabcha cobrir e selar, si vol de donas som pro far); Gaucelm, tuttavia, sta probabilmente giocando con il significato abituale dei termini e sta dicendo che i drudi adottano, sì, il comportamento cortese che prescrive di celare il proprio amore, ma non a fin di bene a vantaggio della dama, bensì per nascondere le proprie cattive azioni vas totz latz, cioè i loro interessi anche per tutte le altre dame.
17. Stante la correlazione tra il pus del v. 16 e il plus del v. 17, la congiunzione et all’inizio del verso 17 ha valore intensificativo e asseverativo ed è comune all’inizio di una frase comparativa (cfr. Frede Jensen, The Syntax of Medieval Occitan, Tübingen 1986, § 451).
25. Per l’uso del caso soggetto cor asigmatico, si veda Giorgio Barachini, «Cor comme nom particular en ancien occitan et le rôle du Consistori del Gay Saber dans la création de la norme grammaticale», in Los que fan viure e treslusir l’occitan. Actes du Xe Congrès de l’Association Internationale d’Études Occitanes (Béziers, 12-19 juin 2011), édités par Carmen Alén Garabato et alii, Limoges 2014, pp. 186-193 con bibliografia.
37. non es dregz vale letteralmente «non è diritto, non è consequenziale», cioè «non è sicuro, non è scontato»; que iamais en revenha significa «che io ritorni mai più da lì, dall’aver appreso cattivi costumi», cioè «che io me ne emendi, che io possa ritornare sulla giusta strada».
39-40. Tema tipico di Gaucelm Faidit è la fuga dalla donna, una volta che ella ha concesso all’io lirico un bels plazers (qui v. 41): si vedano i riferimenti già indicati nel § Datazione.
41-46. La costruzione sintattica è particolarmente intricata, ciò che ha indotto alcuni copisti all’intervento testuale: soggetto del verbo afrancar «addolcire, ammansire» (v. 43) è il bels plazers honratz (v. 41); quale sia tale piacere, è espresso, a mo’ d’apposizione, dal v. 42 (l’essere accolto nella signoria della donna, divenire suo spasimante ufficiale). Il bel piacere che dovrebbe essere concesso deve dunque divenire ancora più dolce grazie al perdono. Si noti che il verbo afrancar è particolarmente raro, ma Gaucelm lo usa in contesto identico anche in BdT 167.58, v. 34.
49-50. Golfier de Las Tors (lat. Gulpherius de Turribus), vissuto a cavallo dei secoli XI e XII, fu un cavaliere crociato della prima crociata, dove si distinse come uno dei combattenti più arditi e uno dei principali condottieri dell’armata. Golfier era limosino e divenne nei decenni successivi alla crociata un eroe – per dir così – nazionale; in questa luce va vista la menzione di Gaucelm Faidit, anch’egli limosino. La canzone fa riferimento a una leggenda, secondo la quale Golfier avrebbe salvato un leone intrappolato nelle spire d’un serpente; il leone sarebbe poi rimasto fedele al cavaliere aiutandolo sia nella caccia sia in battaglia. Una nota anonima aggiunta alla fine della Cronaca di Geoffroy de Vigeois dice al riguardo che «accidit una die quod [Gulpherius] rugitum cujusdam leonis a serpente circumligati audivit; et audacter accedens, leonem liberat. Qui, quod admirabile dictu est, memor accepti beneficii eum sequitur, sicut unus leporarius; qui quamdiu fuit in terra illa, nunquam recedens, multa commoda illi tulit, tam in venationibus quam in bellis: dabat carnes venaticas abundanter, et adversarium domini sui cursu velocissimo prosternebat» (RHGF, p. 428 [491]; «accadde un giorno che Golfier udì il ruggito di un leone avvinto da un serperte; e assalendolo coraggiosamente, libera il leone. Questi, il che è prodigioso a dirsi, memore del beneficio ricevuto lo segue come un levriero e per tutto il tempo che Golfier rimase in quella terra, senza allontanarsi mai, gli procurò molti vantaggi, tanto nelle battute di caccia quanto nelle battaglie: portava cacciagione in abbondanza e atterrava ogni nemico del suo signore con una corsa velocissima»). Pur di non allontanarsi da Golfier al momento del ritorno in patria, dopo che i marinai non avevano concesso che salisse sulla nave, il leone mostrò ancora la propria fedeltà, seguendo l’imbarcazione a nuoto, finché non morì annegato. È piuttosto evidente che l’episodio dell’uccisione del serpente è lo stesso che Chrétien de Troyes ha inserito nel Chevalier au lyon (vv. 3343-3409), rendendone Yvain protagonista, all’incirca negli anni 1177-1181; la nota anonima è forzatamente posteriore al 1183, quando si conclude la cronaca di Geoffroy de Vigeois, pertanto si può dire che il racconto fosse noto nell’ultimo quarto del XII secolo. Gaucelm si paragona al fedelissimo leone (non a Golfier, come si legge in Mouzat, p. 450), riconoscente per essere stato sottratto al pericolo e alla morte (cfr. v. 47). I guerriers peiors sono eco di Bernart de Ventadorn BdT 70.25, v. 44 (e si compari anche il nostro incipit e il v. 36 di Bernart).
VI. Sul senso della strofa, sulla sua affidabilità storica e sulla menzione della Lombardia, si veda il § Datazione.
53-54. Per chi dice io nel testo è impossibile portare a termine in modo corretto e onesto e con cuore sincero il progettato pellegrinaggio, senza essersi prima riconciliato con la dama per il torto descritto nella str. IV: io lirico e Gaucelm Faidit si sovrappongono, finzione cortese ed elemento autobiografico si toccano; alla base di questo contatto, si pone un passo del vangelo di Matteo (5, 22-24) in cui Gesù raccomanda di riconciliarsi con qualunque fratello prima di presentare offerte all’altare: il passo è all’origine anche dell’uso liturgico, attestato fin dal II secolo prima dell’Offertorio (in san Giustino di Nablus, ca. 155), di scambiarsi il bacio della pace (osculum pacis); e si noti che al v. 55 il rimante, coscientemente collocato, è proprio patz, che la donna deve desiderare nei confronti dell’io lirico, che ormai ha fatto ammenda del proprio torto. In questo senso vanno letti questi versi: il pellegrino può far leialmen romavia solo nel momento in cui nessun fratello abbia qualche cosa da recriminare contro di lui; calato nel contesto cortese, chi dice io nella canzone può far leialmen romavia solo nel momento in cui la dama non abbia nulla a suo carico. Il discorso, che al lettore moderno può apparire individuale, ha quindi un risvolto universale come exemplum del retto pellegrino (si veda ancora il § Datazione).
58. Il verso, prima della cesura, è interessato da un’ampia diffrazione probabilmente dovuta all’avverbio lai, il cui senso è sfuggito ai copisti: che la dama non sia nel medesimo luogo in cui si trova il trovatore è chiaro per il fatto che egli fuggì de cors, ed evidentemente non è più tornato. La dama, dunque, è lontana e, pertanto, il trovatore invia lai «là (da lei)» la canzone, proprio perché non sta parlando in presenza e l’interlocuzione è possibile solo per via poetica.
61. Maria è senza dubbio Maria de Ventadorn, protettrice principale di Gaucelm Faidit, nonché suo vero e proprio nume tutelare nel Limosino. A differenza di quanto credeva Mouzat, che collocava i rapporti tra lei e il trovatore tra l’anno 1185 e l’anno 1195 sulla base dei racconti romanzati delle razos e che traeva partito da questa datazione per stravolgere ogni altro dato cronologico riguardante Gaucelm (sulla distorsione fornita da Mouzat si veda Barachini, «Una (quasi) nuova canzone...»), il mecenatismo della viscontessa nei confronti del trovatore non ha confini temporali definiti e va collocata tra l’inizio degli anni Novanta del XII e, quanto meno, il primo decennio del XIII, quando di Gaucelm si perdono le tracce (almeno dopo il 1206; si tenga presente che Maria è ancora in vita nel 1220). L’elogio qui rivolto a Maria è uno dei più compiuti (e probabilmente dei più sinceri) dell’intera opera gaucelmina.
Edizione, traduzione e note: Giorgio Barachini. – Rialto 16.ix.2016.
Mss.: A 79v-80r (Gaucelms faiditz), C 71v-72r (Gaucelm faidit), Da 163v-164r (Gauselm faidiz), Dc 247r (incipit + strofe III, VI; Gauselm faiditz), F 17rv (incipit + strofa III; Gauselm faiditz), G 28v-29v (idem. [= .G. faidiz]; con notazione musicale), I 34v-35r (Gauselin faiditz), K 23r (Gauselins faiditz), M 72rv (Gaucelm faiditz), N’ 94v (strofe V, VI fuse con BdT 364.8 di peire uidal), N” 114rv (Gansem faidiz), N2 25r (solo incipit; sezione di Gauselms faiditz), O 10-11 (manca strofa V; forse Naimeric de putham, probabilmente adespota), Q 52v (solo strofe I-IV; Gançelus), R 44r (Gaucelm faizit; con notazione musicale), S 98-99 (Goncelm faidiz de lemosi), T 138v-139v (Giaucem Faidit), U 55v-56v (Gauselm faidiz), V 37v-38v (sezione acefala di Gaucelm Faidit; tetragramma non annotato), X 85r-85v (strofe I, II; adespota; con notazione musicale), a1 151-152 (Gaucelms faiditz), f 42rv (en gualsem faiditz), p 2rv (Gauselms faiditz). Tradizione indiretta: strofe I-II in α vv. 31343-31352 e vv. 31342-31333 (Gaucelm Faidit); strofa I nella razo BdT 167.B.E ([Gauselm faiditz]).
Edizioni critiche: Jean Mouzat, Les poèmes de Gaucelm Faidit, troubadour du XIIe siècle, Paris 1965, pp. 445-453; Reinhilt Richter, Die Troubadourzitate im Breviari d’amor. Kritische Ausgabe der provenzalischen überlieferung, Modena 1976 (solo str. I-II, pp. 271-272).
Altre edizioni: François Juste Marie Raynouard, Lexique roman ou dictionnaire de la langue des troubadours, 6 voll., Paris 1836-1844, vol. I, p. 373; Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1886, vol. II, p. 103; Herman Suchier, Denkmäler der provenzalischen Literatur und Sprache, Halle 1883, p. 319; Imre Szabics, Anthologie de la poésie occitane du Moyen Age, Budapest 1985, p. 112; William E. Burgwinkle, Razos and Troubadour Songs, New York-London 1990, p. 155.
Edizioni della melodia: Jean-Baptiste Beck, Die Melodien der Troubadours, Strasbourg 1908, pp. 57, 190 (solo prima frase musicale); Théodore Gérold, La musique au moyen age, Paris 1932, pp. 175 ss.; Vincenzo De Bartholomaeis, «Due ‘coblas esparsas’ inedite del sec. XIII», Studi medievali, n. s. 7, 1934, pp. 64-71 (alle pp. 70-71, edizione musicale di Ugo Sesini, dal ms. G); Ugo Sesini, «Le melodie trobadoriche nel canzoniere provenzale della Biblioteca Ambrosiana (R. 71 sup.)», Studi medievali, 13, 1940, pp. 1-107, pp. 72 ss.; Ugo Sesini, 24 Canzoni trovadoriche, Bologna 1948, pp. 22-24; Friedrich Gennrich, Der musikalische Nachlaß der Troubadours. Kritische Ausgabe der Melodien, 3 voll., Darmstadt 1958-1965, vol. I, pp. 106-107; Ismael Fernandez de la Cuesta, Las cançons dels trobadors, Toulouse 1979, pp. 270-275; Hendrik van der Werf, The Extant Troubadour Melodies, Rochester (NY) 1984, pp. 110-113; Antoni Rossell, Les poesies i les melodies del trobador Gaucelm Fadit, Cabrera de Mar 2013; Troubadour Melodies Database, Beta Version, dir. Katie Chapman, 2016 (troubadourmelodies.org/; ricerca per nome del trovatore o numero BEdT).
L’ampia tradizione della fortunata canzone, trasmessa da 20 testimoni in tradizione diretta e altri 2 recuperi in tradizione indiretta, nonché dotata di notazione musicale in tre mss. (GRX), è caratterizzata da due aspetti principali: da un lato essa non presenta un’ampia variabilità e le lezioni dei raggruppamenti possibili non divergono mai in maniera radicale; dall’altro i gruppi stessi sono determinabili con difficoltà, in quanto molti manoscritti concordano tra loro in modo incostante, ciò che segnala la presenza di un’ampia contaminazione e il ricorso abituale a fonti plurime collazionate e mescolate. A livello strofico l’ordinamento maggioritario, preferibile dal punto di vista della consecuzione logica e probabilmente autentico, di DaGIKMN”OQV+SU si oppone a quello di ARTa1p e di Cf; questa ripartizione trova corrispondenza, in effetti, nella presenza di raggruppamenti più piccoli: in ARTa1p (che è visibile come gruppo ai vv. 14 + CV e senza p, 16, 17 + MO e senza p, 23 + MN”O, 38, 40 senza p, 42 + V e senza T, 47, 48 senza p, 49 + GSU; a questo gruppo s’accosta per lo più α) si riconoscono i gruppi Aa1 (vv. 9 + Da, 21) e RT (vv. 27, 28, 30 + V, 34, 39 + A, 41 + V, 47 + M, 57 + G). Cf è confermato come gruppo dal v. 54 (e v. 47 + V) e dall’omissione del v. 38 (errore congiuntivo comune a O), ma in generale i due mss. sono altamente mobili e si spostano tra le lezioni presenti negli altri testimoni, com’è lecito attendersi in due compilazioni sicuramente costituite a partire da fonti plurime; C condivide peraltro un errore congiuntivo anche con M (inversione dei vv. 42-43, difficilmente fortuita), ma anche questa connessione è del tutto efimera e i due testimoni sono, per il resto, concordi solo in lezione presumibilmente buona. Un’eventuale tradizione occidentale costituita da CVXf (cfr. v. 16) è veicolata da mss. di posizione fortemente mobile. Gli altri mss. si raggruppano, ai piani bassi, secondo costellazioni note: DaIK (vv. 15, 22, 31, 35, 36 + V, 37, 38, 43, 45, 47, 48, 49; IK più vicini: vv. 4, 7, 8, 11, 13, 14, 17, 18, 23, 27, 50, 54, 56, 59, 60, tornada + A), MO (vv. 14, 20, 40, 53, 55, 56, 57, 58), GQSU (vv. 9 + TV, 14 + Da, 17 – ma qui GQS vs. UX cfr. sotto –, 18a + IK, 18b + fp e senza G, 20, 27 senza G, 33 + Cfp, 34 + Cf, 35 + fp, 36 senza G, 38, 39, 55 + DcMO con Q mancante; nonché gruppi più piccoli come SU vv. 11, 45, 47 + CVf, 48, 50, 53, 54, 57; QU vv. 20; GS vv. 20 + Da (desreng), 32 + Cp; QS vv. 29; si vedano tuttavia le tendenze centrifughe in gruppi quali UX vv. 8, 15 + Q, 17, oppure UVf v. 40). Anche in questi casi bisogna avvertire che ogni singolo testimone (in particolare Da, G – soprattutto nella str. V –, M, O) mostra frequentemente anche allineamenti divergenti rispetto a quelli prevalenti. Così il ms. N si affianca spesso al gruppo ARTa1p, ma altrettanto spesso, soprattutto nelle strofe V e VI (trasmesse anche da una prima trascrizione in coda ad una canzone di Peire Vidal che chiamo N’ e che è fortemente solidale con N” ai vv. 48 + G, 49, 50 + Da), procede assieme a DaIK (e G: vv. 41, 42, 45, 55 + MO, 56 + SU, 58 + AV). A causa della mobilità dei testimoni, una maggiore precisione nel loro raggruppamento non è conseguibile: i piani medi dovevano essere fortemente coinvolti in fenomeni di tradizione attiva e di contaminazione, sicché sfuggono anche legami pur presumibili, presenti altrove nella tradizione trobadorica, quali la vicinanza di GQSU alla tradizione occidentale (in ispecie a Cf come nella str. IV) o la vicinanza di V sia a R (ai vv. 6, 8 RV hanno lezioni comuni) sia alla tradizione occidentale (testimoniate entrambe per quel che riguarda il ms. catalano). La scelta del testo da proporre riposa sulla possibilità di riconoscere in una o in un’altra redazione elementi innovativi o banalizzanti (che risultano evidenti qualora caratterizzino solo coppie di mss. fortemente solidali come IK), giacché un criterio anche blandamente stemmatico è in questo caso impraticabile; in linea generale, si è preferita la lezione dei mss. GQSU, i quali, a seconda dei luoghi, ricevono il supporto d’uno o più d’uno dei restanti gruppi di manoscritti. – Così al v. 8 la lezione di AMa1+RV+α ni en ver (al ver α, en be RV) qe nois feigna, che riguarda anche il verso seguente (Aa1Da+Vpα), ha coinvolto una parte del gruppo ARTa1p nel quale ha forse avuto origine o nel quale era alternativa alla lezione a testo, al fine di chiarire i rapporti sintattici tra le frasi. Al v. 14 la diffrazione è scaturita probabilmente da un’ipometria d’una sillaba (cfr. IK) compensata con pois in ACRTVa1α, d’els DaGQSU (a testo), commutazione e > pero in MO e altri interventi singolari nei restanti mss. Al v. 17 le lezioni si se cuidan di GQS e se cuian be di UXα sembrano essersi generate all’interno del gruppo GQSU seguito da Xα, allorché i restanti mss., distribuiti – col beneficio del dubbio – su più raggruppamenti, trasmettono una lezione concorde che viene pertanto preferita; lo stesso accade per gratz (GQSU+IK) e bes (ADaMNORTVXa1fpα; C legge ioi) al v. 18, dove tuttavia vi sono anche raggruppamenti differenti (ACDaGNRTVa1 – cioè ARTa1 con altri testimoni: cove; IKMOXα: eschai; QSUfp: tang; è soprattutto la posizione di G a non essere coerente). Al v. 20 la lezione pren un drut di GQSU è parimenti interna a questo gruppo, a fronte di a un drut di ACIK e sofr’un drut di DaMNORTVfpα; quest’ultima risulta a tutti gli effetti più attestata e più difficile, sicché le lezioni concorrenti paiono banalizzanti (in a1 vi è forse una doppia lezione negativa). Al v. 23 l’alternativa tra gens (DaDcFGIKQSUVf) e bels (AMNORTa1p) viene risolta a favore della prima lezione, ripetitiva rispetto al verso precedente e per questo forse modificata da ARTa1p e MO (ma l’argomento non vuol essere conclusivo). Al v. 27 è il forte iato tra sola e amors ad aver generato tutte le possibili alternative. Al v. 30 si segue l’ordine delle parole presente in CDcFGNOQSUf (opposto a quello di ARTa1p-DaIK-M-V). Nella str. IV seguo le lezioni del gruppo GQSU, appoggiato da Cfp ai vv. 33-35 e isolato al v. 38 (verso omesso da COf). Ai vv. 41-45 la diffrazione delle lezioni è spiegabile a partire dalla lezione a testo, che presenta una sintassi complessa che è stata semplificata da alcuni gruppi di mss. con esiti tuttavia non soddisfacenti, che hanno lasciato le frasi incompiute o richiesto ulteriori interventi; ai vv. 47-48 si segue la lezione maggioritaria senza elementi di scelta decisivi, mentre al v. 50 la lezione estort (AIKMRVa1fp) è preferita alla lezione guarit (CDaG+N’N”+SU) che ha tutta l’aria d’essere una glossa (si noti che T ha una doppia lezione negativa). Se al v. 53 la lezione di C-IKf+MO è ampiamente minoritaria (e non coerente al proprio interno), al v. 55 seguo la lezione di GSU (in Q la strofa manca) confermata solo in parte dagli altri testimoni (in particolare per la variante degratz in luogo di devetz); al v. 56 la lezione a testo è la più ragionevole a fronte di una forte varianza del rimante ed è trasmessa da ADcGTa1: l’ordine dei sintagmi è confermato da CRf, la lezione merce è garantita da CMRf, mentre il rimante honors (ADcGTa1p) è l’unico possibile, una volta eliminate le singulares di C, R, MO (si noti, a conferma dell’ampia possibilità di interventi testuali, che MO, tuttavia, non coincidono nella porzione di verso precedente) e una volta esclusa la lezione dousors (DaIKN’N”SUf) ripetuta al v. 59, dov’è presente in tutti i testimoni tranne DaN’UV (che l’invertono proprio con honors). La lezione del v. 58 è preferibile per numero e raggruppamento dei mss. in quanto la lezione concorrente è trasmessa dalla sola tradizione orientale. Grafia: C.
Metrica: a10 b10’ b10’ a10 a10 c10 d10’ d10’ c10 c10 (Frank 517:4). Rime: atz, ia, órs, enha. Canzone composta da sei coblas unissonans di dieci versi e una tornada di cinque versi (ultimi cinque della strofa). La forma metrica e la collegata melodia (conservata in GRX) hanno goduto di un’amplissima fortuna, come mostrano gli undici contrafacta, fedeli al modello anche nelle rime: si tratta di una canzone di crociata di Lanfranc Cigala, BdT 282.23, Si mos chanz fos de ioi ni de solatz (Frank 517:5; circa 1245), composta di sei strofe e due tornadas di quattro versi; di due sirventesi, uno ad opera di Cadenet, BdT 106.13, De nula re non es tan gran clardatz (Frank 517:2), composto da tre strofe e una tornada di due versi (ante 1204), l’altro di Peire Cardenal, BdT 335.26, Ges eu no·m sui de maldir castiatz (Frank 517:7), composto da cinque strofe e una tornada di quattro versi (forse dopo 1250); di una tenzone tra Marques e Guiraut Riquier, BdT 296.2, Guiraut Riquier, a cela que amatz (Frank 517:6), composta da sei strofe e due tornadas di quattro versi (circa 1270); ed infine di due coblas ad opera di Cadenet, BdT 106.24, S’eu trobava mon compair’en Blacatz (Frank 517:7; ante 1236) e di altre sei esparsas: Blacasset, BdT 96.8, Oimais non er Bertrans per me celatz (Frank 517:1), Raimon Bistortz d’Arles, BdT 416.3, Ar agues, domna, vostras beutatz Frank 517:8), Sordel, BdT 437.16, Entre dolsor ez amar sui fermatz (Frank 517:9 con una tornada di quattro versi) e tre anonimi BdT 461.76, Dels cinc bons aibs per c’oms es plus honratz (Frank 517:10), BdT 461.135, Grans gaugz m’ave la noit, quan sui colgatz (Frank 517:11), BdT 461.214a, Qui vol eser per son senhor amatz (Frank 517:12).
Melodia (ABCDA’B’EFGA’’ o ABCDA’EFGHI): La melodia è conservata in tre testimoni (GRX), le cui trascrizioni non presentano forti discordanze (la melodia di G è lacunosa al settimo verso). Il tipo melodico qui attuato è quello dell’oda continua. La formula melodica fornita da BEdT è ABCDA’B’EFGA’’ (forse tuttavia descrivibile come ABCDA’EFGHI). La melodia non presenta intervalli melodici ampi nel passaggio da un verso all’altro; il contorno della tornada isola gli ultimi cinque versi della strofa, senza corrispondenze costanti con le pause sintattiche interne alle strofe (ma per lo più in concomitanza con le riprese melodiche A’ e B’). Si hanno due forti intervalli all’interno dei versi: al quarto verso di strofa (frase D) vi è un intervallo di quinta discendente (re-sol) tra le sillabe 4 e 5 comune a tutte le trascrizioni: l’intervallo attraversa una cesura di quarta nelle strofe I-V e una possibile cesura lirica nella strofa VI (dove tuttavia si potrebbe avere una cesura di sesta). All’ottavo verso di strofa (frase F o G) l’intervallo è di quinta discendente in R (re-sol) e di sesta discendente in GX (re-fa), a segnare la cesura costantemente di quarta.
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I |
II |
III |
IV |
V |
VI |
T |
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IK |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
7 |
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DaGMNʼʼV |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
- |
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SU |
1 |
2 |
3 |
4 |
6 |
5 |
- |
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O |
1 |
2 |
3 |
4 |
- |
5 |
- |
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Q |
1 |
2 |
3 |
4 |
- |
- |
- |
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A |
1 |
2 |
3 |
6 |
4 |
5 |
7 |
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RTa1p |
1 |
2 |
3 |
6 |
4 |
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È probabile che questa canzone sia stata composta a ridosso della partenza da Venezia per la quarta crociata nell'ottobre 1202. – La canzone mostra almeno tre aspetti tipici della produzione poetica di Gaucelm Faidit: procedimenti d’accumulo che coprano la prima parte della strofa (qui le str. I e III); la dichiarazione di un torto e di un abbandono commesso nei confronti di una dama che si era mostrata generosa verso l’io lirico (come si è già detto, il tema è un marchio di fabbrica di Gaucelm; cfr. § Datazione); la commistione e il trapasso dal contenuto cortese agli accenni a un programmato pellegrinaggio in Terra Santa, che coinvolgono l’ultima parte del testo, in ispecie la str. VI (la quale, grazie alla sua collocazione, poteva essere omessa a piacimento, restituendo al testo una dimensione esclusivamente cortese). La disposizione delle strofe presente in DaGIKMN”OQV (+SU che invertono solo penultima e ultima strofa) conferisce, inoltre, un consequenzialità logica alla canzone che muove dalla decadenza generale dei costumi cortesi (str. I) per passare alla condanna del comportamento di quei drudi e di quelle donne che vogliono avere più d’una relazione sentimentale contemporaneamente (str. II) e per concentrarsi sull’illiceità per le donne di avere o desiderare due amanti. Dalla str. IV il discorso, dopo un breve riepilogo di taglio generale (vv. 30-34), si fa personale (ma non autobiografico!) e chi dice io nel testo confessa d’essere anch’egli uno dei drudi ingannatori e d’aver abbandonato la donna dopo che ella l’aveva accolto; pertanto dichiara (str. V) che, se la donna volesse perdonargli la mancanza, le sarebbe fedele per sempre (cfr. qui sopra i luoghi paralleli in Gaucelm). La str. VI unisce, come si diceva, la finzione cortese della richiesta di perdono ad un accenno autobiografico (il progetto di andare in pellegrinaggio) attraverso una reminescenza evangelica. L’ordine strofico di ARTa1p è chiaramente errato, in quanto la collocazione della str. IV in ultima posizione crea un passaggio dalla str. III alla str. V, privo di ogni consequenzialità logica; ancor più scoordinato risulta l’ordine di C e di f, con ripetuti passaggi dal generale al personale. Per le questioni ecdotiche si veda il § Analisi dei manoscritti.