Alla lotta tra Federico II e i Comuni lombardi Guillem Figueira dedicò ben tre sirventesi nei quali la sua posizione varia da quella del consigliere a quella del fermo castigatore, a quella infine dell’indefesso e soddisfatto sostenitore.
Il primo componimento, Ia de far un sirventes (BdT 217.4), è caratterizzato dalla denuncia delle macchinazioni dei lombardi che non riconoscono l’imperatore come loro legittimo sovrano (cfr. Fasoli 1977). La prospettiva di Guillem appare molto chiara: l’opposizione dei Comuni a Federico è illegittima e costituisce una violazione del diritto, un’onta grave che è necessario vendicare. Questa visione del conflitto, chiaramente vicina a quella dell’imperatore, può essere più precisamente ricondotta a quella dei sostenitori del partito ghibellino: dietro l’emperi (v. 13) che si potrebbe lamentare dell’operato di Federico, vanno forse riconosciuti i signori dell’Italia settentrionale che spingevano all’intervento armato contro la Lega lombarda e che rappresentavano forse il pubblico al quale era rivolto il componimento. Un elemento interessante è costituito dal riferimento al diritto da ripristinare (vv. 15-16). Il ristabilimento degli iura imperii in Italia settentrionale costituì infatti il punto centrale della politica di Federico II fin dal 1226 e l’importanza dell’estensione della pace e del diritto fu a più riprese ribadita nei diplomi promulgati dalla cancelleria federiciana alla vigilia delle più importanti diete destinate a risolvere le controversie con i Comuni (Huillard-Bréholles 1852-1861, vol. II, p. 548; Weiland 1896, vol. II, p. 190 e p. 239). Guillem sembra dunque spronare l’imperatore adeguandosi agli stessi temi adoperati dalla sua propaganda. Il trovatore, inoltre, consiglia a Federico di essere munifico verso i suoi sostenitori, un obbligo preciso dettato dal suo ruolo poiché la virtù del donar appare come una legge imposta allo stato nobiliare, che possiede i beni materiali, dall’ordine divino del mondo, e l’essenza stessa della nobiltà si realizza, oltre che nella missione militare, nel valore fondamentale della largueza.
Nonostante i molti riferimenti alla realtà storica, non è possibile stabilire una datazione sicura di questo componimento e la critica si limita a collocarlo tra il 1226, data della costituzione della seconda Lega lombarda, e la battaglia di Cortenuova, nel 1237 (De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 118). Tra i pregi dell’edizione Peron 1999 va evidenziata la corretta ricostruzione del verso 43 sulla base della lezione del ms. a1, sconosciuto agli editori precedenti. Il verso, «que s’el torna sai vas nos», consente di ipotizzare che il sirventese fu realizzato in un periodo durante il quale Federico, pur progettando di lanciare una campagna contro i lombardi, era lontano dall’Italia settentrionale. Il sovrano fu lontano dal nord Italia a partire dall’aprile 1235 e fino all’agosto 1236, costretto a recarsi in Germania per regolare i contrasti con il figlio Enrico, colpevole di tradimento nei suoi confronti (cfr. Stürner 2009, pp. 700-736). Proprio in questo periodo, durante la dieta di Magonza dell’agosto 1235, l’imperatore rilanciò con forza la sua intenzione di ristabilire gli iura imperii e bandì la campagna militare contro i Comuni ribelli, pronunciandosi «ad ultionem iniuriarum et reformationum imperii et nominatim contra Lombardos imperii adversantes» (Weiland 1896, vol. II, p. 240). È possibile dunque che Guillem abbia composto questo sirventese di esortazione a Federico nei mesi successivi alla dieta di Magonza, in attesa che l’esercito assembrato dall’imperatore in Germania varcasse le Alpi e iniziasse la campagna militare che avrebbe sottomesso i lombardi ribelli all’autorità imperiale (cfr. Meliga 2005).
A Guillem Figueira è assegnato dall’unico testimone, il manoscritto a1, in una sezione dedicata ai sirventesi (cfr. Grimaldi 2011), anche Ja de far un sirventes (BdT 217.4a). L’attribuzione, sostenuta da Schultz-Gora 1902, Folena 1976 e Peron 1991, è stata messa in dubbio da Torraca 1902, Bertoni 1911 e più recentemente da Paterson 2013, a causa del contenuto del componimento, un attacco molto violento a Federico. Il testo si apre con una sorta di ripetizione parodica dei versi iniziali di Ia de far un sirventes (BdT 217.4). Secondo Peron la presenza della medesima espressione incipitaria e delle considerazioni sulla capacità di comporre sirventesi nei due testi costituiscono «quasi una firma» del trovatore (Peron 1991, p. 34). Quest’elemento non è tuttavia decisivo, in quanto si può sostenere che proprio la ripresa dell’incipit e di alcune espressioni da Ia de far un sirventes (BdT 217.4) potrebbe aver indotto il compilatore di a1 ad assegnare il secondo componimento a Guillem (cfr. Paterson 2013). Per questa ragione l’assegnazione a Guillem Figuera è da considerare dubbia, nonostante la rubrica dell’unico manoscritto latore.
In questo sirventese Federico è dipinto come un signore malvagio (v. 6), un nemico delle virtù cortesi (v. 14), un avaro e un codardo (vv. 49-50) la cui iniquità sarebbe stata conosciuta anche dai suoi vassalli oltremare in occasione della crociata (vv. 31-40). Simili accuse potrebbero essere ricondotte alla situazione in cui l’imperatore venne a trovarsi in seguito al fallito assedio della città di Brescia del 1238 (Stürner 2009, pp. 865-874). Il grave smacco subito in quest’occasione dall’esercito imperiale finì per sminuire la grande vittoria riportata da Federico sui Comuni nella battaglia di Cortenuova. L’autore del componimento si rivolge infatti ai fin conoiscedor (v. 21) che biasimano il comportamento dell’imperatore e che potrebbero essere identificati nei signori ghibellini più interessati alla continuazione dell’impresa militare contro i lombardi. Tra questi può essere annoverato Ezzelino da Romano, tiranno di Verona e uomo di punta della politica imperiale in Italia settentrionale, che nel dicembre 1238 inviò una lettera all’imperatore per spronarlo a completare l’opera di pacificazione dell’Italia e di sottomissione dei ribelli all’impero sospesa dopo gli eventi di Brescia (Huillard-Bréholles 1852-1861, vol. V, p. 266). Agli occhi dell’autore del sirventese, le dimostrazioni di forza di Federico che conduce per l’Italia settentrionale l’elefante (v. 56) non valgono a nulla in quanto egli indugia a portare l’attacco decisivo contro la Lega (vv. 51-60). Il riferimento alle cacce e agli svaghi di Federico ha consentito di ricondurre il componimento ai primi mesi del 1239, durante il soggiorno dell’imperatore a Padova (cfr. Schultz-Gora 1902, pp. 7-12; Peron 1991, p. 34-37). Qui, dopo aver congedato l’esercito, l’imperatore fu accolto con grandi onori ed ebbe ripetuti contatti con Ezzelino da Romano e con Azzo VII d’Este (Stürner 2009, pp. 871-873). Nella città veneta Federico si concesse una lunga pausa dai suoi impegni militari ed egli, come riporta il cronista Rolandino da Padova, «hinc ibat aliquando ad venandum, aliquando ad paissandum, ipsum namque plurimum hec et similia solacia delectabant» (Pertz 1866, p. 71). L’assenza di un qualsiasi accenno alla seconda scomunica che colpì l’imperatore mentre soggiornava a Padova ha spinto a proporre come termine ante quem del sirventese il 20 marzo 1239, data della promulgazione dell’anatema da parte di papa Gregorio IX (cfr. Stürner 2009, pp. 874-879; De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 143; Peron 1985, p. 295). Il testo è indirizzato tramite tornada a Manfredi II Lancia (vv. 71-73), vicario imperiale dal 1238 e condottiero infaticabile dell’esercito federiciano che continuò a muovere guerra nell’Italia settentrionale anche durante il periodo di inattività dell’imperatore e che avrebbe probabilmente voluto che le attività militari riprendessero con maggior vigore (cfr. Settia 2004).
Il trittico di Guillem si conclude con l’elogio più schietto in Un nou sirventes ai en cor que trameta (BdT 217.8). Sulla base dei nuovi successi e del periodo felice che arrideva all’imperatore nel 1240, il trovatore tesse le lodi di Federico, definito come il più generoso signore della terra (vv. 4-6). Anche in questo caso il discrimine tra l’encomio e il biasimo nei sirventesi attribuiti a Guillem sembra essere dettato dal comportamento dello Svevo e dalla sua capacità o meno di essere generoso nei confronti dei suoi sostenitori. Tra questi potrebbero esser annoverati anche i due signori citati in chiusura della prima cobla e a cui Guillem pare essere legato: ma dona Dia (v. 11), una dama sconosciuta, e En Taurel (v. 12), identificabile in Torello di Strada, uomo di fiducia dell’imperatore e già podestà di diverse città italiane e di Avignone nel 1237, oppure in un esponente della famiglia dei Torelli, Salinguerra II, signore ghibellino di Ferrara fino alla metà del 1240, o uno dei suoi discendenti.
Nel suo nou sirventes il trovatore esalta la potenza dell’imperatore e sottolinea i successi ottenuti sui suoi avversari, in particolare sul clero falso e sull’odiato pontefice. Nel marzo 1239 papa Gregorio IX, dopo aver inflitto una nuova scomunica all’imperatore, avviò contro di lui una vera e propria campagna militare, appoggiato dalle città della Lega lombarda e dal Comune di Genova che mirava a estendere il proprio dominio sul regno di Sicilia. Di fronte a questa situazione del tutto straordinaria, Federico non esitò a prendere le armi e lanciò una politica fortemente aggressiva nei confronti del papato che lo condusse nei primi mesi del 1240 a occupare molte località del Patrimonium petri. L’offensiva imperiale pose il papa in una situazione di forte difficoltà, resa ancora più grave da un’iniziativa degli stessi abitanti di Roma che invocarono la sovranità imperiale nella loro città (Stürner 2009, pp. 889-899). Forte dei successi ottenuti a scapito del papa e dei suoi alleati, nel marzo 1240 Federico poté tornare nel regno di Sicilia da cui mancava ormai da cinque anni. Qui, nell’aprile dello stesso anno, tenne a Foggia un colloquio generale con i notabili meridionali e con i suoi sostenitori dell’Italia settentrionale. Probabilmente a questo incontro si recò anche Guillem, forse presente nel seguito imperiale insieme al suo mecenate Taurel durante un soggiorno a Barletta (v. 27). La testimonianza offerta dal sirventese è preziosissima in quanto non sembra esser pervenuto alcun documento che testimoni la presenza di una legazione lombarda a Barletta anche se è noto che nella città pugliese furono deportati numerosi cittadini padani, fatti prigionieri in seguito alla battaglia di Cortenuova (Carbonetti Vendittelli 2002, vol. I, pp. 146-180).
In questo componimento, in contrasto con Ja de far un sirventes (BdT 217.4a), si registra una rivalutazione positiva della crociata federiciana e Guillem elogia la conquista pacifica di Gerusalemme e l’alleanza con Al-Kamil (vv. 37-40), sostenendo che Federico si è mostrato talmente generoso nei confronti del signore di Beirut da concedergli le terre che spettavano a lui in quanto re di Gerusalemme (cfr. Pacifico 2012, pp. 205-231).
Nell’ultima cobla il carattere encomiastico della poesia trobadorica dedicata a Federico tocca forse la sua massima intensità. Il trovatore ritorna sulla generosità dell’imperatore, mostrata a più riprese nei confronti dei suoi alleati, come i cittadini di Parma e Cremona (vv. 49-52), tra i più fedeli dell’intero scacchiere ghibellino almeno fino agli ultimi anni di impero. Proprio a fronte della rinnovata largueza imperiale, Guillem si professa indefesso sostenitore di Federico e si conferma essere un ghibellino animato da illimitata devozione nei suoi confronti.
Carbonetti Vendittelli 2002
Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di Cristina Carbonetti Vendittelli, 2 voll., Roma 2002.
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Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931.
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Historia diplomatica Friderici II sive constitutiones, privilegia, mandata, instrumenta quae supersunt istius imperatoris et filiorum eius, 6 voll., a cura di Jean Louis Alphonse Huillard-Bréholles, Paris 1852-1861.
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