I.
II.
III.
IV.
I. Mi aggradano il canto e il riso quando sono con i miei compagni e menzioniamo i baroni e parliamo del prode marchese, che si accompagna al nobile pregio; tuttavia [diciamo] che messer Enrico non ne ha affatto, giacché Renart, che pure fu astuto, non fu mai altrettanto esperto in spregevoli affari.
II. Ma io non stimo i miei nemici l’equivalente di un tronco: se essi sono rudi e orgogliosi non gli sarò mai sottomesso; tutti quanti non li temo una nocciola, tuttavia messer Ottone del Carretto, che è schietto e valente e ama e guadagna il nobile pregio, mi ha conquistato.
III. Ora dovrò cambiare proposito e converrà che io canti di coloro che dicono di no, e non posso fare altrimenti; ma credo di essere in Spagna quando entro nelle loro case: ciascuno indossa il suo cappuccio e mi si mostra un viso accigliato.
IV. Tuttavia prego Gesù del Cielo che li faccia abbassare, perché li vedo stare troppo in alto senza volontà di spendere o di donare; e voglio che venga a mancarmi ogni gioia se non denuncio i torti che commettono i ricchi malvagi e felloni prima che il gioco finisca.
2 a 3 mentauen 22 entrei
3. A differenza di Ricketts, che lascia a testo la lezione del ms. mentaven, si è preferito qui optare per la prima persona plurale, in accordo al successivo parlem.
4. marquis: va identificato con Ottone del Carretto, marchese di Savona, per cui si rimanda alle Circostanze storiche. È menzionato per nome ai vv. 14-15.
6. N’Aenris: assai difficile è l’identificazione di questo Enrico, nel quale, come hanno già sottolineato De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 132 e Ricketts, «Le troubadour Palais», p. 232, non può essere riconosciuto Enrico del Carretto, fratello di Ottone, dal momento che di quest’ultimo il trovatore tesse l’elogio ai versi precedenti. La lode di Ottone infatti contrasterebbe con le osservazioni diffamatorie riservate a N’Aenris ai vv. 6-8. Segnaliamo, tuttavia, la diversa proposta di Saverio Guida, «(Andrian de) Palais, trovatore lombardo?», in Studi di Filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, a cura di Pietro G. Beltrami, Maria Grazia Capusso, Fabrizio Cigni, Sergio Vatteroni, 2 voll., Pisa 2006, vol. I, pp. 685-721, alle pp. 691-693, nota 17, che sostiene invece l’identificazione di Aenris col secondo figlio di Enrico del Vasto. Guida, infatti, suggerisce di leggere «pero çai es n’Aenris» (ms. pero caies na enris), ipotizzando una omissione della cediglia sotto la c da parte del copista, sicché il senso del verso sarebbe «“di fatto qui c’è (=abbiamo) il signor Enrico” e avrebbe valenza, più che reprensivo-deploratoria, comico-scherzosa, con una chiusura ad effetto imbastita sulla rassomiglianza fono-grafica e sulla forza evocatrice del nome proprio finale riproducente con lievissime variazioni quello del celebre personaggio dell’epopea animalesca» (p. 693).
7. Rainarz: protagonista del Roman de Renart, si tratta di una volpe ingannatrice che rappresenta il prototipo medievale dell’imbroglione. Cfr. anche Guillem de Berguedan, nel partimen con Aimeric de Pegulhan, De Berguedan, d’estas doas razos (BdT 10.19 = 210.10), vv. 22-23: «N’Aimerics, tot enaissi o fais vos / com fez Rainautz qan del frug ac sabor»; Falconet nella tenzone con Taurel, Falconet, de Guillalmona (BdT 438.1 = 148.2), vv. 45-46: «q’aissi trais sa guerr’a fin / com fetz Rainaltz Esengrin»; Peire de Bussignac, Quan lo dous tems d’abril (BdT 332.1), vv. 55-59: «Anc Rainartz d’Isengri / no·s saup tan gent venjar, [...] / com ieu fas quan m’azir».
8. Ricketts stampa erroneamente barbaigna.
19. Restori, Palais, p. 8, e De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 133, suggerivano di cogliere in questo verso un’allusione a una famiglia “de Nono” ossia di Annone (Asti). Ricketts, «Le troubadour Palais», p. 233, osserva giustamente: «par un subtil jeu de mots, ce vers expose en même temps ceux qui refusent de faire des dons et des dépenses (voir v. 28)». Guida, «(Andrian de) Palais», p. 693, suggerisce di stampare Non con la maiuscola, intendendolo appunto come toponimo piemontese. Lo studioso tenta di ricostruire il contesto storico del componimento, cogliendo nella tirata di Palais contro aqels qe dizon de Non un riferimento ai contingenti militari germanici che presidiavano il castello di Annone su ordine di Tommaso d’Annone, primo podestà di Torino e vicario per l’intero Piemonte. In assenza di dati certi presenti nel testo, si è preferito stampare non con la minuscola, come del resto fanno De Bartholomaeis e Ricketts, perché evidente appare l’allusione ironica a coloro che non sono soliti elargire doni; per approfondimenti cfr. le Circostanze storiche.
21. Espaigna: Ricketts, «Le troubadour Palais», p. 233, commenta: «il faut penser que la mention de l’Espagne se rapport à une xénophobie à l’égard des Maures». Guida, «(Andrian de) Palais», p. 697, sostiene che questo accostamento nasca dalla percezione della Spagna come una zona di frontiera della cristianità occidentale, in cui i combattimenti erano continui e senza sosta: «non è da escludere che il paragone sia affiorato nella mente di Palais per effetto dell’emozione destata dalla rovinosa sconfitta degli eserciti ispanici ad Alarcos nel luglio 1195 e dalla conseguente trionfale avanzata fino al 1197 della spedizione del califfo almohade Abu Yusuf ‘qub al-Manșur».
23. chapiron: sembrerebbe una variante dei più attestati capion e capairon ‘cappuccio della cappa’ (PD, s.v. capion e capairon; LR, II:320-321). Cfr., per una forma simile con un significato affine, Sordel, Lo reproviers vai averan, so·m par (BdT 437.20), v. 35: «et en luoc d’elm fai capiron fresar». L’immagine di individui che indossano la cuffia o il cappuccio lasciando scoperta solo parte del volto, che si presenta oltretutto accigliato, contribuisce a rimandare ad uno stato di ostilità e belligeranza.
Testo: Francesca Sanguineti, Rialto 18.vii.2017.
Da 197r (Palais).
Edizioni critiche: Antonio Restori, Palais (Nozze Battistelli-Cielo), Cremona 1892, p. 15; Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie Provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 132; Peter T. Ricketts, «Le troubadour Palais: Edition critique, traduction et commentaire», in Studia occitanica in memoriam Paul Remy, 2 voll., Kalamazoo 1986, vol. I, pp. 227-240, a p. 230.
Altre edizioni: Carlos Alvar, La poesía trovadoresca in España y Portugal, Madrid 1978, p. 219 (str. III; testo De Bartholomaeis); Dario Mantovani, “Ans am ieu lo chant e·l ris”. Episodi di parodia e satira presso i trovatori, Milano 2008, p. 186 (testo Ricketts).
Il componimento è tramandato da un unico manoscritto, Da, sicché ci si attiene strettamente alla sua lezione, introducendo minimi emendamenti ai vv. 2, 3 e 22 (ab ms. a; prima plurale mentavem anziché terza plurale mentauen; presente entre in luogo del perfetto entrei).
Metrica: a7 b7 b7 a7 c7’ a7 b7 c7’ [strofi I-II], a7 b7 a7 b7 c7’ a7 a7 c7’ [strofi III-IV] (Frank 541:4, 348:1). Quattro coblas doblas di otto versi ciascuna. Rime: -is, -os, -aigna [strofi I-II], -on, -ar, -aigna [strofi III-IV]; la rima c è fissa. Il modello metrico per le prime due coblas è dato dalla canzone di Folquet de Marselha, Ja non volgra q’hom auzis (BdT 155.12). Più nello specifico, Dario Mantovani, «Prove di dialogo fra i trovatori: Bertran de Born, Monge de Montaudon, Folquet de Marselha, Palais», in La lirica romanza del Medioevo. Storia, tradizioni, interpretazioni. Atti del VI convegno triennale della Società Italiana di Filologia Romanza (Padova-Stra, 27 settembre - 1 ottobre 2006), a cura di Furio Brugnolo e Francesca Gambino, Padova 2009, pp. 197-216, ha analizzato l’identità metrica che legherebbe ben quattro testi: il sirventese di Bertran de Born, Be·m platz car trega ni fis (BdT 80.8), la tenzone fittizia del Monge de Montaudo, L’autrier fui en Paradis (BdT 305.12), la canzone di Folquet, Ja non volgra q’hom auzis (BdT 155.12), e infine il sirventese di Palais. Secondo Mantovani, si tratterebbe di un caso particolare di dialogo intertestuale tra trovatori e, nello specifico, egli suggerisce che i primi tre componimenti (Bertran de Born, Monge de Montaudo, Folquet de Marselha) siano stati composti in un lasso di tempo ristretto (1194) e abbiano avuto una iniziale circolazione congiunta, la quale spiegherebbe anche la conoscenza di questo ciclo da parte di Palais.
Sirventese satirico-encomiastico contro gli avari. La menzione di Ot del Carret ai vv. 14-15 consente una datazione prima del 1240, probabilmente anche di molto anteriore (si vedano le Circostanze storiche).