I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
I. Han detto tanto bene del marchese giullari infidi e fanfaroni, e tutti ne hanno detto il vero, che io non so che dire; ma suo è il merito, da cui nasce e ha origine il buon pregio, e vi rinnova il valore e ne fa dire vera lode.
II. E se il re d’Aragona non m’avesse tolto l’allegria, io godrei di una compiuta e perfetta gioia con le dame del Carcassese, di cui apprezzo e trovo belli i modi e il portamento, e del Carcassese mi piacciono i cavalieri e i conti e i baroni e i valvassori.
III. È per questo che mi hanno conquistato i Lombardi, perché mi chiamò «caro signore» una donna tale, che non hai mai visto un arciere tirare così diritto e così bene; e mi colpisce al cuore senza errore, con una freccia di piacere forgiata nel fuoco dell’amore e temprata di dolcezza.
IV. Gli occhi e le ciglia nere e folte, e il naso come il fusto della balestra, ecco l’arco che tira con uno sguardo fulminante colpi tali che nessuno scudo ne difende; e poiché le piace vincermi, non me lo prendo come un disonore, se i forti sono vinti dai più forti.
V. Tanto è cortese la sua bella persona, e le parole tanto allegre e piacevoli, che non c’è al mondo un cavaliere che non desideri vederla; perché ha modi e parole e aspetto di Mombello e d’Argenta e il colorito del Mioroseto e la sua camera è di Valfiore.
VI. Il suo valore è raddoppiato mille volte più del conto della scacchiera, perché al suo perfetto e autentico pregio non manca nulla; e poiché mi accettò senza indugio, sono più ricco qui che là in Provenza, perché ora qui vivo con più onori, e ci si deve attaccare al meglio.
VII. E se il mio Fratello sapesse chi mi tiene al suo servizio, neanche delle catene d’acciaio lo tratterrebbero dal venire a vederla. E troverebbe senza dubbio un dolce frutto di onorato seme e una corte di valorosi signori con un gran bell’arciere.
5. Vincenzo De Bartholomaeis e Francesco Ugolini stampano Valensa presupponendo un gioco di parole (c’è infatti una Valenza nel Monferrato); ugualmente al v. 22 preferiscono Plazensa (così anche Gianfranco Folena, Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, p. 26, dove si riportano, con traduzione, i vv. 17-24). Si veda un riepilogo della questione in Frank M. Chambers, «The Lady from Plazensa», in French and Provençal Lexicography: Essays presented to honor Alexander Herman Schutz, Columbus 1964, pp. 196-210, alle pp. 198-200.
33-40. Sui giochi di parole per etymologiam, si vedano Aurelio Roncaglia, «Marcabruno: “Al departir del brau tempier”», Cultura neolatina, 13, 1953, pp. 5-33, p. 18, nota al v. 26 (BdT 293.3 ); Chambers, The Lady from Plazensa, con esempi da Peire Vidal, Aimeric de Peguilhan, Torcafol, Guillem de Luserna, Peire Bremon Ricas Novas e Peire Cardenal, e Sergio Vatteroni, «Le poesie di Peire Cardenal I», Studi mediolatini e volgari, 36, 1990, pp. 73-259, p. 190, nota 33, a proposito di Peire Cardenal, Qui se vol tal fais cargar que·l fais lo vensa (BdT 335.44), vv. 33 e seguenti. Con giochi verbali si intende in questi studi un’alterazione della forma di una o più parole, rispondente a schemi fissi, in connessione con determinati scopi, come designare, in modo molto preciso, le qualità di una città o di un personaggio.
41-42. I vv. contengono il noto riferimento alla leggenda araba sull’invenzione del gioco degli scacchi; su questa iperbole cfr. Le poesie di Folchetto di Marsiglia. Edizione critica a cura di Paolo Squillacioti, Pisa 1999, pp. 293-294, nota 53-54 a proposito di FqMars, En chantan m’aven a membrar (BdT 155.8), vv. 53-54 (contiene passi paralleli [fra i trovatori vi allude Marcabruno, Al departir del brau tempier, BdT 293.3, vv. 29-32] e bibliografia).
Edizione: d'Arci Silvio Avalle 1960; traduzione e note: Antonella Martorano. – Rialto 27.vii.2004.
C 40v, Da 162v, Dc 249v, E 30v, I 40r, K 28r, N 100r, Q 70v, R 65v (la razo attribuisce il testo a Raimbaut de Vaqueiras [cfr. Jean Boutière - Alexander H. Schutz, Biographies des troubadours. Textes provençaux des XIIIe et XIVe siècles, Paris 1964, p. 462]).
Edizioni critiche: Karl Bartsch, Peire Vidal’s Lieder, Berlin 1857, p. 26 (XII) (secondo CDcEIKR); Joseph Anglade, Les poésies de Peire Vidal, deuxième édition revue, Paris 1923 (Les classiques français du moyen âge, 11), p. 110 (XXXV) (aggiunge varianti di Q); Francesco A. Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 7 (aggiunge varianti di Da); Peire Vidal, Poesie. Edizione critica e commento a cura di d’Arco Silvio Avalle, 2 voll., Milano-Napoli 1960, vol. I, p. 107 (XI) (testo secondo beta [DaDcEIKNQR]).
Altre edizioni: Henri Pascal de Rochegude, Le parnasse occitanien ou choix de poésies originales des troubadours, Toulouse 1819, p. 198 (CINR); François Just Marie Raynouard, LR, vol. I, p. 401; Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846, vol. I, p. 229 (come Raynouard); Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. I, p. 43 (testo secondo Bartsch e Anglade; con traduzione).
Metrica: a7 b7 b7 a7 c7’ c7’ d7 d7 (Frank 577:274). Canzone di 7 coblas unissonans di 8 versi. Parola in rima identica in strofe differenti ai vv. 3 e 43 (vertadier) (cfr. Peire Vidal, Poesie, Indice linguistico, vol. II, p. 462, s.v. Rima, mot tornat en rim); si aggiunga la rima equivoca-identica in strofe differenti ai vv. 21e 53 (ses falhensa).
La canzone è stata composta in Italia, alla corte del Monferrato, dopo il 1192 (Bonifacio I è il marchese di Monferrato, di cui si parla nella cobla I) e prima del 1196 (data della morte di Alfonso II d’Aragona, il reis aragones cui il poeta accenna al v. 9) (cfr. Peire Vidal, Poesie, pp. 105-106 [qui anche il riepilogo della bibliografia pregressa, che assegnava dubitativamente la composizione del testo al 1195 circa]).