Cobla di plazer anonima serbata unicamente in N, dove chiude la sezione di Peire Milo. È infatti l’ultimo di quattro testi finora considerati estranei alla sezione (accodati ad essa après coup e casualmente, per riempire il bianco rimasto al suo termine), ma che invece devono esservi stati volutamente inseriti, dal curatore o già dalla fonte di N, il primo (la cobla BdT 349.3), che è rubricato Peire Milon, come opera autentica del trovatore, gli altri tre, adespoti, come items di probabile paternità miloniana [1]. Sembra in effetti possibile annettere seppur dubitativamente la cobla (edita in precedenza unicamente da Hermann Suchier, 1883) alla produzione di Peire Milo, anche se la scena di taverna che vi è disegnata, con la tecnica anaforica tipica dei plazer, è solo un quadretto di genere, troppo convenzionale per fornire indizi attributivi [2]: gran parte dei desiderabilia elencati – un fuoco vivace, abbondanza di vino e carne e pane, una stuzzicante presenza femminile – dovevano essere fra i più canonicamente connessi all’idea di bon ostage, dacché non solo se ne vede sparsamente predicata la gradevolezza dal presunto iniziatore del genere plazer, Bertran de Born [3], e per contro deprecata la mancanza dagli enuegs del Monge de Montaudo [4], ma li si trova già riuniti nel più antico esemplare di ‘buon ostello’ trobadorico, quello sia pur privato, e non aperto al pubblico, che descrive Guglielmo IX nel vers del gatto rosso [5]. Soli dettagli inconsueti sono il bel tovagliato, l’ampio assortimento di carni e la possibilità di non pagare il conto, ma concludere altrimenti la serata, e cioè, par di capire, facendo l’amore con la bel’osta compiacente.
Anche sotto il rispetto metrico la cobla non si mostra originale: segue lo schema abbaccdd come altri 303 componimenti, e come 101 di questi lo realizza interamente in décasyllabes [6]; usa inoltre le stesse rime (a = -age, b = -eia, c = -is, d = -ida) della canzone di Guillem de Cabestaing BdT 213.7, Mout m’alegra doussa votz per boscatge (Frank 577:151, ma nella V strofa Frank 382:51) e del suo contrafactum, il sirventese-canzone di Bertran de Born lo fills BdT 81.1a, Un sirventes voil obrar d’alegratge (Frank 577:150) [7], talché si è già proposto che ne sia anch’essa un contrafactum [8]; ulteriore contatto (fin qui non rilevato) con questi due testi è l’impiego come rimante d’una varietà rara del cong. pres. di esser, seia, che si trova alla terza pers. sing. nella cobla (v. 2) come nel sirventese-canzone (v. 10) [9], e alla prima sing. nella canzone (v. 18).
Nessuno di questi due testi è contenuto in N, dove però ne figura un altro – l’unico altro, fra tutti quelli che declinano lo schema abbaccdd in décasyllabes – che al pari di essi e della cobla ha a, b, d femminili e c maschile (a = -aire, b = -ura, c = -en, d = -ensa): si tratta della canzone BdT 349.2, A vos, Amors, voil retrar mon afaire, che compare nel manoscritto immediatamente prima della cobla, come penultimo degli adespoti posti nel finale della sezione miloniana, e che è intestata concordemente dagli altri due latori (Ma) a Peire Milo. Che la cobla non sia stata accostata per caso a questa canzone pienamente omometrica, ma sia sembrata attribuibile al medesimo autore [10] e dunque al titolare della sezione, potrebbe essere comprovato in primo luogo dal fatto che il suo rimante raro, seia, occorre già, anche all’interno del verso, in uno dei testi rubricati della sezione, la canzone BdT 349.8, S’eu anc d’amor sofers ni mal ni pena, riconosciuta a Peire Milo anche da IKdMa; e si noti, fra l’altro, che seia è in rima anche in un’altra canzone ascritta al trovatore (dall’unico relatore a), BdT 349.5, Pos l’us auzels envas l’autre s’atura, sicché è quasi una marca miloniana. In secondo luogo la cobla esibisce, sia pur fuori rima, una quantità di infrazioni flessive che, data la semplicità sintattica e concettuale del dettato, riesce difficile imputare tutte alla distrazione del copista, e che paiono invece in linea con la lingua deviante propria ai testi miloniani raccolti in N (e/o in altri canzonieri).
[1] Cfr. BdT 349.3, Premessa, nota 1.
[2] In Luciano Rossi, Agostino Ziino, «Mout m’alegra douza vos per boscaje», Cultura neolatina, 39, 1979, pp. 69-80, a p. 71, la cobla è definita «nient’altro che un plazer composto per gioco davanti a un buon fuoco e a un buon arrosto», nel Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters, vol. II, 1, 7B, Heidelberg 1990, p. 417, «espèce de plazer d’un jongleur».
[3] Cfr. BdT 80.19 vv. 1-4: «Ges de disnar no-n fora oi mais maitis, / qui s’agues pres bon ostau / e fos dedinz la carns e-l pans e-l vis, / e-l focs fos clars cum de fau» (ed. Gérard Gouiran, L’amour et la guerre. L’oeuvre de Bertran de Born, Aix-en-Provence 1985, vol. I, p. 44).
[4] Cfr. BdT 305.10 vv. 37-40: «Et enueia·m per vit’eterna, / manjar ses fuec quan fort hiverna / e jaser a veill’ab galerna / quant m’en ven flairor de taverna», e BdT 305.9 vv. 13-14: «Molt m’enueia, si Dieus me valha, / quan mi falh pas sobre toalha» (Michael J. Routledge, Les poésies du Moine de Montaudon, édition critique, Montpellier 1977, pp. 94 e 89).
[5] Cfr. BdT 183.12 vv. 36-48: «La una·m pres sotz son mantel / e mes m’en la cambra el fornel: / sapchatz q’a mi fo bon e bel, / e·l foc fo bos, / et eu calfei me volentiers / als gros carbos. / A manjar mi deron capos, / e sapchatz agui mais de dos; / et no·i ac cog ni cogastros, / mas sol nos tres; / e·l pans fo blancs e·l vins fo bos / e·l pebr’espes» (cfr. Guglielmo IX, Vers. Canti erotici e amorosi del più antico trovatore, a cura di Mario Eusebi, Parma 1995, pp. 45-46). Anche il motet antico-francese che a detta di Suchier, Denkmäler Provenzalischer Literatur, p. 555, svolge una «Schilderung der Winterfreuden» simile a quella della nostra cobla auspica la presenza «a la cheminee», in gennaio, di buon fuoco, buone carni, buon vino e una «dame bien paree» e allegra (ed. diplomatica in Gustav Jacobsthal, «Die Texte der Liederhandschrift von Montpellier H. 196. Diplomatischer Abdruck», Zeitschrift für romanische Philologie, 3, 1879, pp. 526-56, a p. 542; sul manoscritto cfr. Yvonne Rokseth, Polyphonies du XIIIe siècle. Le manuscrit 4196 de la Faculté de Médecine de Montpellier, Paris 1935-1939, 4 voll.: l’edizione interpretativa del mottetto e della relativa melodia si trova nel vol. II, pp. 58-59).
[6] Questo schema (Frank 577) è «by far the most popular in troubadour verse», osserva Frank M. Chambers, An Introduction to Old Provençal Versification, Philadelphia 1985, p. 114, aggiungendo ivi che parrebbe essere stato inaugurato da Guiraut de Borneill.
[7] Frank 577:150, 151 a dire il vero indica le rime «atge, eja, is, ia» per la canzone e il sirventese-canzone, nei quali però la rima -ia è in taluni casi il risultato evoluto di -ida < -ITAM (e anzi nei manoscritti della canzone, IKd, è rappresentata in questi casi proprio da -ida), sicché di fatto equivale alla rima d della cobla.
[8] Cfr. John H. Marshall, «Gautier de Coinci imitateur de Guilhem de Cabestaing», Romania, 98, 1977, pp. 245-49; Montserrat Cots, «Las poesías del trovador Guillem de Cabestany», Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona, 40, 1985-1986, pp. 227-330, a p. 299; Pietro Beltrami, Sergio Vatteroni, Rimario trobadorico provenzale. I. Indici del «Répertoire» di I. Frank, Pisa 1988, p. 258.
[9] A prova che la forma seia (su cui cfr. Luciana Borghi Cedrini, «La lingua dei trovatori fra grammatiche e edizioni», in corso di stampa in «Ab nou cor et ab nou talen». Nouvelles tendances de la recherche médiévale occitane, Colloque international AIEO, L’Aquila, 5-7 juillet 2001) era poco diffusa e poco familiare ai copisti vale il fatto che così nella cobla in N, come nel sirventese-canzone nell’unico testimone a1, essa è stata rimpiazzata con sia, a danno della rima.
[10] Si vedano le osservazioni di Guglielmo Gorni, «Metrica e filologia attributiva. Vent’anni dopo», in Carmina semper et citharae cordi. Etudes de philologie et de métriques offertes à Aldo Menichetti, Genève 2000, pp. 1-11, alle pp. 8-11, sulla possibilità che un testo lasciato anonimo, ma collocato nel testimone subito dopo uno omometrico e di autore dichiarato, sia da riferire anch’esso a quest’ultimo: nel nostro caso a dire il vero l’autore della canzone omometrica precedente (BdT 349.2) non è dichiarato, dacché manca la rubrica; ma, se si ammette che la canzone sia stata deliberatamente inserita nella sezione miloniana, è quanto meno proposto. Si osservi inoltre che anche il secondo dei testi rubricati della sezione, la canzone BdT 349.6 (intestata a Peire Milo pure da IKdaz’ω) realizza lo schema abbaccdd in décasyllabes, seppure tutti maschili.