Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
Falquet de Romans
Cantar vuoill amorosamen
156.
3
Falquet de Romans
Cantar vuoill amorosamen
Trad. it.
Apparato
Note

I. Voglio cantare d’amore anche se non vedo foglia o fiore, poiché il freddo ed il gelo non mi fanno paura, tanto ho il cuore felice e gioioso, e mi piace ugualmente essere allegro d’inverno come d’estate o cantare, poiché colei che è piena di ogni bene mi tiene come servitore.

II. Non vidi mai donna tanto piacente né con più perfetto valore e con colore più naturale della rosa o della rosa di macchia; ha bella bocca, begli occhi e narici e un parlare tanto gentile che non vi dirà mai se non cose piacevoli ed onorevoli e convenevoli.

III. E sappiate che nemmeno Florio amò più profondamente Biancofiore di come io ami lei, che mi aiuta e mi soccorre; e non sono in familiarità con gente vile: non mi piace affatto frequentare chi è villano né stare troppo a consiglio con chi sparla, poiché chi crede loro fa molto male e poco bene.

IV. Ogonet, portami subito la mia canzone all’imperatore, poiché lui sa scegliere il meglio; tanto ha di valore e di senno; e si vede bene da come vanno le faccende se egli è così valoroso che non vi fu mai uno pari a lui: quanto più me ne parla chi ne giunge, sempre più vi trovo del bene.

V. Imperatore, bel signore caro, non credo che vi sia un nobile più sincero del conte del Carretto che mantiene pretz e fa ogni giorno più bene.

2 situt] situtç; flor] flors    3 ce] ci; no·m] no; paur] paurs    7 per servidor] per son servidor    8 tut] tutç    10 valor] ssaiosrs    11 natural] fressca; color] colors    12 flor] frolr    13 nars] bel nas    14 et] om.    15 tenps] tenp    18 Blanciflor] blanciflors    20 soi] sont; gen] gentç    21 aprivasars] aprivasers    22 ab] abm    23 an] niab    26 ma] mas; emperador] eperadors    27 megllior] meglliors    28 valor] valors    31 pul o retra] plus soreter; qi en ve] qelve    33 emperaire] eperaire    36 giorntz] giortz

3. qe no·m: Raymond Arveiller, «Quelques remarques sur Falquet de Romans», in Mèlanges de philologie romane dèdiès à la mèmoire de Jean Boutière, Liège 1971, pp. 5 sgg., a p. 10, propone di accettare la lezione del ms. cino·m, e di riconoscere nel ci un qui con funzione di pronome relativo dativo (= cui). Il verso si tradurrebbe così: «moi a qui le froid ne fait pas peur […]». La proposta è grammaticalmente legittima ma una constatazione fa optare per la soluzione che fu già di Zenker, Die Gedichte, del qe causale. La strofa, infatti, è divisa abbastanza nettamente in due parti in cui ai vv. 1-4 si oppongono i vv. 5-8. Fra i due gruppi però si stabiliscono dei parallelismi: è il caso di v. 1 cantar vuoill, e 5-6 ·m plai cantars; o le coppie, inserite entrambe nel secondo verso di ogni gruppo, v. 2 fuogllia ni flor, e v. 6 d’ivern com d’estiu; il qe dunque corrisponde perfettamente al puois di v. 7.

5 e: Appel, Provenzalische, propone di correggere e in e[t], in modo da evitare la sinalefe, ma una situazione iatica è ipotizzabile anche senza dover correggere il testo. — alegrars: il raddoppiamento della consonante finale è una consuetudine grafica del copista di T (cfr. Arveiller, «Quelques remarques», p. 15).

7-8. L’espressione retener per servidor, frequente nei trovatori, ha assunto differenti valori semantici, come spiega Saverio Guida, Trovatori minori, Modena 2002, pp. 109-10 e 222.

9. Nel ms. il verso è trasmesso con nove sillabe, e per pareggiare la misura si è accolta la proposta di Zenker, Die Gedichte, di espungere son, il solo elemento ridondante.

11 ab plus natural: Zenker, Die Gedichte, ma la proposta era già di Appel, Provenzalische, corregge il verso ipometro nel manoscritto integrandolo: a be plus fresca, con lo scioglimento di ab che si legge nel codice, in a be. La soluzione è stata adottata anche da Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique. La corrispondenza con il verso precedente suggerisce però di verificare se sia accettabile un intervento che riguardi non ab bensì fresca, cui sostituire un trisillabo. Il solo altro verso in cui color compare in Falquet è nel salut d’amor Domna, eu pren comjat de vos (BdT 156.1, v. 91): «e vostra color natural». Data la assiduità delle autocitazioni in Falquet ritengo che questa possa essere la soluzione, forse meno invasiva ma che rientra nell’usus dello scrittore. Tanto più che natural di rado si accompagna a color, mentre la fresca è assai più diffuso e da ciò il copista potrebbe essere stato indotto alla sostituzione.

13. Il verso è ipermetro: si segue Zenker, Die Gedichte, che espunge il secondo bel, che ha più probabilità di essere stato indotto nel copista in analogia con i precedenti. — uogltz: Zenker, Die Gedichte, stampa voltz, ma già Carl Appel, nella recensione alla sua edizione, Literaturblatt für germanische und romanische Philologie, 17, 1896, col. 168, si era chiesto se non fosse il caso di ripristinare uolhz; in effetti osservando la grafia è chiaro che qui -gl- è proprio il segno per la liquida palatale (ancora in questa poesia v. 2 fuogllia, v. 22 consigliars, v. 27 meglliors) e dunque l’etimologia non può che essere OCULUM e non VULTUM. La soluzione uogltz è stata invece messa a testo in Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique; appoggia tale scelta il fatto che la locuzione bels voltz è un unicum (Christiane Leube-Fey, Bild und Funktion der dompna in der Lyrik des Trobadors, Heidelberg 1971, p. 45 n. 76: «Nur Folquets de Romans erwähnt einmal bels voltz»), di contro a bels uogltz è locuzione piuttosto comune. Il copista ha storpiato anche il seguente, e raro, nars (assicurato dalla rima), trasformandolo in un prosaico nas. Per la presenza di nars nella letteratura trobadorica, rinvio alla nota di Arveuiller et Gouiran, L’oeuvre poétique, p. 55.

18 Floris Blanciflor. Una disamina delle citazioni di tali personaggi romanzeschi nella poesia trobadorica si legge in Saverio Guida, Trovatori minori, p. 314.

20 no: nel ms. si legge noi, lezione conservata da Zenker, Die Gedichte, e da De Bartholomaeis, Poesie Provenzali, il quale traduce: «e non mancano intorno a me delle persone vili; ma a me non piace aver familiarità con nessuna persona abbietta». Di contro Appel, Provenzalische, seguito più recentemente da Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique, propone di correggere noi in no. La soluzione appare più logica e credibile e dunque la facciamo nostra. I due filologi francesi poi considerano privatz come aggettivo (lemma su cui si vedano le annotazioni di Saverio Guida, Il trovatore Gavaudan, Modena 1979, p. 201 n. 27), dal significato di «privé, intime, familier», e traducono: «auprès d’elle, je ne suis pas familier de personnes viles», aggiungendo a chiosa che «la compagnie de la dame est choisie» (p. 55).

21. aprivasers del manoscritto è forma oitanizzante.

22. Il verso è ipometro: Zenker, Die Gedichte, lo integra correggendo abm in ab un (e stampa infatti: ab un croi). La scelta di Zenker è criticata da Appel nella recensione citata all’edizione, dove si propone di ripristinare plai dopo ni, stabilendo una correlazione con il predicato di v. 21 (soluzione già avanzata in Appel, Provenzalische). Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique, invece a loro volta hanno stampato ab om, soluzione meno invasiva ma anche meno convincente di quella di Appel, che adottiamo.

23. Nel manoscritto il verso è ipermetro giacché si legge niab. Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique, vi riconoscono gli interventi di due diversi copisti. L’espunzione della congiunzione iniziale ristabilisce, a poco prezzo, l’esatta misura.

25. Ogonet: si tratta del giullare cui è affidata l’esecuzione della canzone. Nella letteratura trobadorica si contano tre soli personaggi di questo nome: due giullari ed un trovatore, il cui vero nome è però Uguet (cf. DBT, s.v.). Conosciamo inoltre altri due giullari. Il primo è citato da Luquet Gatelus in Anc mais nuls hom non trais aital tormen (BdT 282.1c), nella cui tornada un tale Ugonet viene invitato a portare il testo all’amata: si tratta di un testo tardo duecentesco e nulla spinge a immedesimare i due omonimi. Diverso invece il caso di Vai Hugonet, ses bistensa (BdT 461.247), un sirventese dalla paternità discussa, per quanto l’ipotesi più recente lo ritiene opera di Raimon de Miraval (cf. Saverio Guida, «L’autore ed il latore di Vai Hugonet ses bistensa», Cultura neolatina, 66, 2006, pp. 45-82) e identifica Hugonet con Uc de Saint Circ. Se così fosse, e considerata la presenza di Falquet nelle corti norditaliane e le relazioni che vi intrattenne (si vedano le Circostanze storiche), non è improponibile che Uguet possa essere Uc de Saint Circ. La diffusione del nome e la mancanza di altri elementi per ora impedisce comunque di esplorare questa ipotesi.

26 emperador: Federico II di Hohenstaufen.

27 triar lo melhor: Arveiller, «Quelques remarques», p. 13, giustamente sottolinea che «le superlatif peut s’appliquer à Falquet lui-même: qu’Ogonet porte la chanson à l’empereur, ce ne sera pas un don vain, car, en fait d’auteurs de chanson, celui – ci sait ‘discerner le meilleur, tant il a de valeur et de raison’». Interpretazione accolta nella edizione critica.

31-32. Nel manoscritto i due versi sono così trascritti: coplus soreter quelve adess itrop mais debe, lezione che richiede significativi interventi perché sia rispettosa della misura metrica, entrambi gli stichi risultando ipometri. Appel, Provenzalische, non avanza nessuna soluzione; Zenker, Die Gedichte, stampa Co plus om retrai que i ve / a des i trop eu mais de be, scelta che Appel, nella recensione all’edizione, ritiene essere poco aderente al testo, e Alfred Jeanroy, in un’altra recensione, Revue critique, 42, 1896, pp. 368-369, p. 368, considera poco significativa. Arveiller, «Quelques remarques, p. 14, opta per «une proportion dont le premier terme est introduit par une locution courante on plus et dont le deuxième contient un comparatif», ricostruendo così il distico: C’on pluss o retra qe lo ve / Adess i trop eu mais de be (cioè «si bien que plus celui qui le [l’empereur] voit rapporte cela […] plus je trouve en lui de bien»): la soluzione è adottata, con abbondanti giustificazioni di ordine ecdotico-paleografico, anche nella edizione definitiva. Se si tenesse conto però di Falquet de Romans, Far eu ay un sirventes (BdT 156.6), vv. 26-27: «Aisso m’en comtan per ver / quascus qui qu’en venha», allora si potrebbe correggere e sciogliere qelve in qi en ve, intendendo en ve < INDE VENIT. Se indiscussa e da tutti accettata è stata la soluzione retrai per reter (sulla quale cf. Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique, p. 56), maggiori dubbi hanno riguardato il verso 32 laddove i critici hanno oscillato tra l’integrazione sillabica di eu oppure di om. Seguiamo Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique, optando per il pronome personale di prima persona eu.

33 Bel·senher: ipotizzare l’assorbimento della -s flessionale di bels in senher fa accogliere la proposta di De Bartholomaeis, Poesie provenzali, che non richiede ulteriori interventi sul testo del codice.

35-36 comt del Caret: Otto del Carretto (si vedano le Circostanze storiche). La forma comt per il caso soggetto plurale (giuste le osservazioni di Arveiller et Gouiran, L’oeuvre poétique, p. 57 al riguardo) è attestata e la si mantiene anche qui. — Mais [de] be. L’integrazione, che fu proposta per prima da Appel, Provenzalische, è stata poi accolta da tutti gli editori e si fonda naturalmente sul dettato del v. 32.

Testo

Edizione, traduzione e note: Gerardo Larghi. – Rialto 28.i.2022. 

Mss.

T 183r (Folcett deroman).

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizioni critiche: Carl Appel, Provenzalische Inedita aus pariser Handschriften, Leipzig 1892, p. 96; Rudolph Zenker, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle 1896, pp. 48-49; Vincenzo de Bartholomaeis, Poesie Provenzali Storiche relative all’Italia, Roma 1931, 2 voll., II, pp. 43-45; Raymond Arveiller, Gérard Gouiran, L’oeuvre poétique de Falquet de Romans, Troubadour, Aix-en-Provence 1987, p. 50.

Nota filologica

La canzone-sirventese è trasmessa dal solo ms. T, ed è uno dei quindici unica leggibili nel codice parigino. Non è escluso che sia stata trasmessa da quella fonte di T proveniente dalla Provenza di Raimondo Berengario V messa in luce, con abbondanza di prove, da Giuseppina Brunetti, «Sul canzoniere provenzale T (Parigi, Bibl. Nat. F. fr. 15211)», Cultura Neolatina 50, 1990, pp. 45-73; Ead., «Per la storia del manoscritto provenzale T», Cultura Neolatina 51, 1991, pp. 27-41.

Metrica e musica

Metrica: a8 b8 b8 a8 c8 c8 d8 d8 (Frank 577:206). Quattro coblas unissonans di otto versi ottonari e una tornada. Rime: -en, -or, -ars, -e. Ogni strofa è composta da una fronte di rims crozatz, e una sirma di due coppie di versi a rima baciata; la parola rima be torna alla fine di ogni strofa. Lo schema è tra i più diffusi: nel Répertoire di Frank se ne contano oltre trecento esempi. La struttura metrica presenta alcune criticità in particolare in relazione alla lunghezza di taluni stichi, che nel manoscritto presentano ipometrie o, più raramente, ipermetrie. Tali punti critici sono resi ancor più delicati dall’esile tradizione che ci ha tramandato la canzone sirventese. Il penultimo stico di ogni strofa (cf. i vv. 7, 15, 23, 31), infatti, oscilla tra le 9 e le 7 lunghezze. Gli editori precedenti avevano senza eccezioni accettato l’ipotesi di una salomonica misura di tutti ottonari, ed è a questa soluzione che si è ritenuto, in ultima analisi di aderire, nonostante le incertezze di fronte ad interventi di necessità pesanti e, in prospettiva, forse anche arbitrari. — Secondo John H. Marshall, «Imitation of Metrical Form in Peire Cardenal», Romance Philology, 32, 1978-79, pp. 18-48, p. 43, il testo potrebbe essere stato influenzato, o aver influenzato, Non es cortes, ni l’es pretz agradius (BdT 335.39) di Peire Cardenal, dato il comune ricorso alla parola rima be al termine di ogni cobla. Interessante anche il caso della lirica di Trop ben m’estera, si·s tolgues (BdT 124.18) di Daude de Pradas, la quale ha in comune con la nostra, oltre alla struttura metrica, e rime be (Falquet v. 8; Daude v. 8), color (Falquet v. 11; Daude v. 26), ve (Falquet v. 31; Daude v. 31). Assai curioso anche il contatto con l’anonima D’ome fol ni desconoissen (BdT 461.86) che della canzone-sirventese di Falquet conserva tutte le rime. Infine, è da sottolineare il rapporto diretto con la lirica di Guido delle Colonne Gioiosamente canto (PSs II, 4.2), una canzone di cinque stanze singulars di dodici versi con fronte settenaria e sirma dodecasillabica.

Informazioni generali

Canzone sirventese nella quale ad una prima parte dedicata, attraverso l’accumulo di metafore e di stilemi topici della lirica occitanica, alla lode di una dama innominata, segue una seconda in cui vengono citati dapprima un imperatore che non può che essere Federico II e poi, nella tornada, si invia il testo al destinatario, il nobile ligure Ottone del Carretto. Si vedano le Circostanza storiche.

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