Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
Folquet de Lunel
Quan Beutatz me fetz de primier
Testo

Edizione e note: Federica Bianchi. – Rialto 15.ii.2003.

Mss.

C 323r, R 98r.

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizione critica: Franz Eichelkraut, Der Troubadour Folquet de Lunel, Berlin 1872 (rist. anast. Gèneve 1975), pp. 13 (I).

Metrica e musica

Metrica: a8 b8 b8 a8 c7’ c8’ d8 d8 (Frank 577:235). Cinque coblas unissonans di otto versi più due tornadas di quattro versi.

Informazioni generali

Canzone. Essendo il componimento che in C apre la sezione dedicata al trovatore, nel manoscritto la canzone è preceduta dalla rubrica Aissi comensa Folquet de Lunelh. Il Reis Jacmes del v. 41 è identificabile con il re d’Aragona (reys darago è chiamato nella lezione di C, rifiutata a causa dell’ipermetria provocata al verso) Giacomo I il Conquistatore (1213-1276). Secondo il quadro ricostruito da Alfred Jeanroy (La poésie lyrique des troubadours, 2 voll., Paris 1934, I, pp. 195-199), la sua corte non sembra essere stata visitata da numerosi trovatori ed egli sembra aver avuto «d’autres soucis que protéger les lettres». Di migliore fama sembra invece aver goduto il suo successore e figlio Pietro III, al quale, quando era ancora infante, Folquet accenna nel suo sirventese con parole lusinghiere (BdT 154.1, vv. 17-24). Anche in virtù di questo riferimento al re Giacomo I, si può affermare che il Coms de Rodes del v. 45 sia Ugo IV e il componimento anteriore al 1274, anno della successione di Enrico II a conte di Rodez. Particolare risulta essere il contenuto della canzone, che tratta uno dei temi cari ai trovatori (la forza del potere di amore sull’innamorato e la difficoltà di quest’ultimo a sottrarsi al dominio di questo sentimento) attraverso una suggestiva similitudine: i pericoli incontrati dal marinaio in alto mare, dove trova un tempo ostile e contrario alle sue aspettative, e ai quali non può sottrarsi, diventano il simbolo delle pene d’amore che l’innamorato, rappresentato dallo stesso trovatore, non solo non può, ma non vuole evitare. L’impianto retorico e sintattico del componimento (ricco soprattutto di parallelismi, chiasmi e similitudini) è interamente finalizzato all’intensificazione della corrispondenza tra le due esperienze. Vorrei sottolineare in proposito solo il significativo gioco lessicale tra l’espressione auta mar (v. 10) e aut amar (v. 18), tutto incentrato sulla segmentazione della catena fonica, che rende diverse le parole altrimenti identiche.

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