I.
II.
III.
Edizione: Antonella Negri 2006; note: Antonella Negri, Stefania Romualdi.– Rialto 27.i.2007 (rev. 28.i.08).
Da 188r.
Edizione diplomatica: Adolfo Mussafia, «Del codice estense di rime provenzali», Sitzungs-Berichte der kais. Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Klasse, LV, 1867, pp. 339-450, a p. 442.
Edizioni critiche: Adolf Kolsen, Dichtungen der Trobadors, 3 voll., Halle 1916-1919, vol. III, p. 238; Ferruccio Blasi, Le poesie di Guilhem de la Tor, Genève - Firenze 1934, I, p. 3; Antonella Negri, Le liriche del trovatore Guilhem de la Tor, Soveria Mannelli 2006, p. 141.
Metrica: a7’ b7 a7’ b9 b7 c7’ b6 b7 c6’ (Frank 322:1). Tre coblas unissonans di nove versi.
L’iter argomentativo della canzone presenta in forma di tesi e antitesi i temi dell’ortodossia cortese e offre un primo esempio utile a illustrare la reinterpretazione della fin’amor operata in ambito italiano. Riprendendo le affermazioni di un trovatore che Guillem privilegia, e a cui spesso si richiama (cfr. BdT 236.5 e 236.5a), Aimeric de Pegulhan nella canzone Hom ditz que gaugz non es senes amor (BdT 10.29), ma capovolgendo quanto sostenuto ai vv. 18-20, l’autore mette a nudo, mediante una ironica riflessione, l’inconsistenza di un amore impossibile, come è quello rivolto alla regina di Francia, di cui chiunque aderisca alle regole dell’amore trobadorico, può in definitiva finire per fregiarsi.