Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
Guillem de la Tor
De saint Martin me clam a saint Andreu
236.
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Guillem de la Tor
De saint Martin me clam a saint Andreu
Trad. it.

I. Mi appello a san Martino e sant’Andrea  e li prego intensamente di farmi giustizia,  perché non oso farlo con Corrado, faccia da Giudeo,  e con Faziol, dal momento che entrambi rimpiangono  di non essersi trovati a tradir Domineddio;  e poiché nessuno vuole darmi del suo,  lor nemico sarò, oltre misura.

II. Mi appello al marchese d’Este che mi assegnò il compito  di dir male della gente vile e meschina;  pensate dunque quale vantaggio ci possa venire, e qual danno  dai potenti malvagi che ci guastano il pascolo!  Non vorrei mille marchi aver per me  per farne l’uso che ne fa il fariseo,  diventando povero di cuore e ricco di mala ventura.

Testo

Edizione e traduzione: Antonella Negri 2006; note: Antonella Negri, Stefania Romualdi. – Rialto 27.i.2007 (rev. 28.i.08).

Mss.

Da 188v.

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizioni critiche: Celestino Cavedoni, «Delle accoglienze e degli onori ch’ebbero i trovatori provenzali alla corte dei Marchesi d’Este nel secolo XIII», Memorie della Reale Accademia di Scienze, Lettere e d'Arti di Modena, II, 1858, pp. 268-312, a p. 296; Antonio Restori, «Per un serventese di Guilhem de la Tor», Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, XXV, 1892, (Copia di Casa Carducci della miscellanea Rime antiche, XII, pp. 1-15, a p. 12) (i primi nove versi); Ferruccio Blasi, Le poesie di Guilhem de la Tor, Genève - Firenze 1934, XI, p. 43; Antonella Negri, Le liriche del trovatore Guilhem de la Tor, Soveria Mannelli 2006, p. 97.

Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 130 (testo Cavedoni); Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizioni vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 93 (testo Blasi).

Metrica e musica

Metrica: a10 b10’ a10 b10’ a10 a10 b10’ (Frank 215:2). Due coblas unissonans di sette versi.

Informazioni generali

Sirventese composto probabilmente dopo il 1220, periodo in cui sembra collocarsi la presenza di Guillem de la Tor presso la corte del marchese Azzo VII d’Este, dedicatario del componimento. Si vedano le Circostanze storiche. – Si tratta di un’invettiva personale contro la degenerazione dei ricchi malvagi che si comportano come farisei, con l’utilizzo di elementi tradizionali del codice trobadorico adattati alle mutate condizioni di vita sociale ed economica; infatti, Guillem non si limita qui a considerazioni nostalgiche, di matrice cortese, sull’avarizia, ma formula valutazioni che coinvolgono una visione storica del degrado dei costumi, imputabile al nascente ceto proto-borghese. – L’invocazione ai santi Martino e Andrea può essere spiegata ricorrendo a ragioni di natura calendVerdanae relative al Martimas, sorta di carnevale novembrino che anticipava l’Avvento e durante il quale entrambi i santi venivano celebrati. Inoltre, nel caso di san Martino la Chronica Parva di Riccobaldo da Ferrara testimonia l’esistenza di una pratica votiva molto diffusa nell’ambito della corte estense, in particolare in occasione dell’omonima fiera. – Difficile risulta identificare Corat e Faciol dei vv. 3-4. Cavedoni, Delle accoglienze, p. 297, ritiene si tratti rispettivamente di Corrado e Bonifacio di Monferrato, ipotesi difficile da condividere per il prestigio di cui i due marchesi godono presso i trovatori; Restori, Per un serventese, pp. 12-13, e Gianfranco Folena, «Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete», in Storia della cultura veneta. Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 453-562, a p. 494 [ora in Gianfranco Folena, Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990], si pronunciano invece a favore di Corrado Malaspina l’antico e del prozio di Azzo VII, ma anche questa ipotesi lascia ampi margini di perplessità data l’accoglienza e la protezione offerta da Corrado Malaspina nel castello di Oramala a molti trovatori, tra i quali Albertet de Sisteron e Aimeric de Belenoi.

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