I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
I. La bella stagione mi piace e ogni giorno sono felice, perché sempre mi ricordo, ove che io sia, dei miei amici di Provenza. Se li vedessi, tuttavia, mi rallegrerei maggiormente, perché con loro ho confidenza. Ed è giusto se tesso il loro elogio, perché hanno valore e il fiore del merito onorato e della cortesia.
II. Uno che mi si dimostra ostile se ne scappò dalla Lombardia a causa della sua condotta disonesta. Chiunque lo conoscesse, (si accorgerebbe che) è un giullare falso e perfido, a mio avviso. E, per quanto ne so, vive qui grazie alla sua giulleria. Lo conoscete, signori, quello che si lamenta di me quando io non l’ho mai disonorato? Ma volentieri gli direi la mia.
III. Temo sia una cosa sgradevole essere un giullare armato e perdere ritegno quando si arrabbia. Ce n’è qui uno delle parti di Piacenza che se mi raggiungesse non mi lascerebbe vivo per tutto l’oro del mondo. E poiché mi fa paura, prego il Creatore che mi faccia la grazia di distogliermi dalla sua strada.
IV. Il giullare va, per penitenza, sempre e comunque armato di ingratitudine, da quando si macchiò di tradimento. L’iniquità pare lo domini, e se qualcuno gliela estirpasse, mi chiedo con angoscia cosa gli resterebbe da dire. E se lo insulto, rimproverando la sua follia, non lo faccio per amore di lui, perché tanto ci perderei lo stesso.
V. Poiché non si rende conto della sua villania, credo non possa nemmeno dormire con sua moglie, che è sempre bella, a causa della sua codardia. Ma, se morisse, lo dico a tutti apertamente che lei non lo piangerebbe; anzi, penso piuttosto che lei veneri e preghi nostro Signore perché arrechi al giullare un malore tale che tosto lo uccida.
VI. Faccio lì sapere al trovatore, per ricchezza, e non per onore, che nulla vale in amore un uomo che sia giullare.
Edizione e traduzione: Paolo Di Luca 2008; note: Paolo Di Luca. – Rialto 10.xii.2009.
A 209v, D 140r.
Edizioni diplomatiche: Carl August Friedrich Mahn, Gedichte der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1873, IV, n. 1743 (diplomatica di A); Arthur Pakscher - Cesare De Lollis, «Il canzoniere provenzale A (Codice Vaticano 5232)», Studj di filologia romanza, III, 1891, pp. j-xxxij e 1-670, p. 647.
Edizioni critiche: François-Just-Marie Raynouard, Choix de poésies originales des troubadours, Paris 1816-1821, 6 voll., V, p. 299 (le prime due coblas); Giulio Bertoni - Alfred Jeanroy, «Un duel poétique au XIIIe siècle: les sirventés échangés entre Sordel et P. Brémon», Annales du Midi, 28, 1916, pp. 269-305, p. 281; Paolo Di Luca, Il trovatore Peire Bremon Ricas Novas, Modena 2008, p. 267.
Altre edizioni: Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-86, III, p. 255 (le prime due coblas; testo Raynouard); Jean Boutière, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, Toulouse-Paris 1930, p. 59 (XVI; testo e traduzione Bertoni - Jeanroy).
Metrica: a7’ b5’ a7’ b5’ a7’ b5’ a7’ b5’ c6 c6 c7 b5’ (Frank 243:2). Sirventese composto da cinque coblas unissonans polimetriche di dodici versi, più una tornada di quattro versi. Il modello metrico del sirventese è la canzone di Bernart de Ventadorn, Tant ai mon cor ple de joya (BdT 70.44), che ha ispirato anche l’intelaiatura formale del sirventese di Peire Cardenal, Falsedatz e desmezura (BdT 335.25). L’originale e quest’ultima imitazione prevedono il rinnovamento delle rime ad ogni cobla, e, in particolare, il sirventese di Peire Cardenal adotta rime b spesso diverse e rime a identiche o simili a quelle del modello, ma disposte in ordine di successione alterato. Ricas Novas, invece, mutua lo schema delle rime dall’ultima cobla del sirventese di Peire Cardenal, che probabilmente gli sarà servito come modello diretto di imitazione. Su questo gruppo di contrafacta occitani si veda il contributo di John H. Marshall, «Imitation of Metrical Form in Peire Cardenal», Romance Philology, 32, 1978-1979, pp. 18-48, p. 27.
Primo sirventese di Ricas Novas contro Sordello, composto in risposta a Qan q’ieu chantes (BdT 437.28). – L’allusione alla desleial captenenssa (v. 15) o alla bausia (v. 40) di Sordello è da riferirsi alle vicissitudini che videro coinvolto il mantovano negli anni immediatamente precedenti al suo approdo in Provenza: il famigerato rapimento di Cunizza da Romano, sorella dei suoi protettori, Ezzelino e di Alberico, dalla casa del marito, Rizzardo di San Bonifacio, a seguito del quale fu costretto a riparare nel meridione francese.