I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
9-10. Il concetto espresso in questi versi, mutuato da fonti mediolatine, torna in altri testi di Cardenal (BdT 335.14a, 335.64).
11. Gli Jacopi sono i Domenicani di Parigi. Al medesimo verso Vatteroni ripristina n’an queza, ipotizzando che la varia lectio presenti una diffrazione in assenza (IK non aquesta, K corregge in quesza; T noz queza; f non queza) originata dalla difficoltà della lezione queza sostantivo femminile (‘silenzio, calma’).
22. Sulla fortuna iconografica di San Martino che dona il mantello si veda la ricca nota di Vatteroni, che segnala anche l’allusione alla leggenda, anche qui in chiave anticlericale, presente in Raimon Gaucelm (BdT 401.3, vv. 33-5).
28-30. Vatteroni, come Lavaud, interpreta i versi assegnando a liar l’accezione ‘allacciare i calzari’, e aggiunge «Non si può escludere del tutto che il sintagma ben ferm liatz, riferito ai calzari o, meno probabilmente, alle vesti, nasconda una allusione velata alla cintura monastica, il che getterebbe una luce di sottile ironia sul verso successivo [...]».
33-56. Per l’identificazione delle pietanze enumerate nelle coblas V e VI, dedicate all’opposizione fra morigeratezza e intemperanza alimentare, si veda il puntuale commento di Vatteroni (n. 33 e segg.).
49-52. I versi associano un’ascendenza paremiografica alla quaestio dei femoralia, per proporre un argomento - quello della lussuria dei chierici - caro a Cardenal (si confronti BdT 335.64).
53-56. Per l’allusione alle beghine si consulti l’ampia nota di Vatteroni, che dimostra inequivocabilmente il tenore ironico della notazione, analogamente ad un corposo insieme di testi mediolatini e volgari, di contro in particolare all’interpretazione in chiave “elogiativa” di M. Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989 (p. 222).
Edizione: Sergio Vatteroni 1990; note: Elisa Guadagnini. – Rialto 27.v.2005.
I 172v, K 157v, T 92v, f 17r, d 334v.
Edizioni critiche: Karl Vossler, Peire Cardinal. Ein Satiriker aus dem Zeitalter der Albigenserkriege, München 1916, p. 165 (ed. condotta su TI, con esclusione dell’ultima cobla); René Lavaud, Poésies complètes du troubadour Peire Cardenal (1180-1278), Toulouse 1957, p. 160, XXVIII; Sergio Vatteroni, «Le poesie di Peire Cardenal I», Studi mediolatini e volgari, 36, 1990, pp. 73-259, p. 127.
Altre edizioni: Robert T. Hill - Thomas G. Bergin, Anthology of the Provençal Troubadours, New Haven 1941, p. 162 (testo Vossler); Jean-Claude Rivière, Anthologie des Troubadours Auvergnats, Clermont Ferrand s.d., p. 112 (testo Lavaud); Pèire Cardenal. Tròces causits amb una introduccion e de notas per C. Camprós, Montpelhier 1970, p. 50, XI; Martín de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, 3 voll., Barcelona 1975, p. 1508 (testo Lavaud); René Nelli, Écrivains anticonformistes du moyen-âge occitan, 2 voll., Paris 1977, vol. II, p. 274 (testo Lavaud); Dietmar Rieger, Mittelalterliche Lyrik Frankreichs, Stuttgart 1980, p. 220 (testo Lavaud); Costanzo Di Girolamo, I trovatori, Torino 1989, p. 179 (testo Lavaud); Francesco Zambon, I trovatori e la Crociata contro gli Albigesi, Milano-Trento 1999, p. 94 (testo Vatteroni).
Metrica: a10’ b10 a10’ b10 c8’ c8’ d10 d10 (Frank 382:65). Sette coblas unissonans di 8 versi di dieci sillabe. F. W. Maus, Peire Cardenals Strophenbau in seinem Verhältniss zu dem anderer Trobadors, Marburg 1884 (p. 77) e John H. Marshall, «Imitation of Metrical Form in Peire Cardenal», in Romance Philology, 32, 1978, pp. 18-48 (p. 23) indicano come modello metrico Peirol, M’entencion ai tot’en un vers mesa (BdT 366.20), imitato da Cardenal anche in BdT 335.6 e 335.8 (in entrambi i casi imperfettamente). Il sirventese di Cardenal mostra identità di schema metrico e rime anche con i seguenti testi, tutti della metà o seconda metà del secolo XIII: Alexandre BdT 19.1, Austorc d’Aurillac BdT 40.1, Bernart de Rouvenac BdT 66.2, Bertran d’Alamanon BdT 76.10; Bertran Carbonel BdT 82.73, 82.23, 82.26, Jacme Mote BdT 259.1, Luchetto Gattilusio BdT 290.1a, Ricaut Bonomel BdT 439.1.
Il sirventese è databile agli anni ’30 del Duecento, se si accetta l’ipotesi di Lavaud che i vv. 13-14 alludano polemicamente al tribunale dell’Inquisizione: esso sorge infatti a Tolosa fra il 1233 e il 1234, e sospende l’attività nel 1238. – Dà problema l’ordine delle strofe, che Vatteroni ricostruisce sulla base di T postulando l’inversione delle coblas V-VI (presente in tutti i testimoni) come errore d’archetipo. La tradizione, secondo lo stemma approntato da Vatteroni, si bipartirebbe fra IK, come al solito strettamente congiunti, e Tf, risalenti indipendentemente ad una medesima fonte. – Per le fonti bibliche e mediolatine del primo verso si veda il puntuale commento di Vatteroni.