Cobla serbata adespota in P, dove è il n. 111 del florilegio di esparsas e triadas, ma attribuita a Peire Milo in N, dove è l’ottavo e ultimo dei poemi assegnati in rubrica a questo trovatore e (diversamente da quanto supposto in passato) fa parte a principio della sezione a lui dedicata [1]. Non c’è dunque ragione di dubitare che essa sia arrivata a N come opera di Peire Milo, né valgono, contro questa attribuzione, l’anonimato riservatole in P (è destino comune a gran parte delle coblas raccolte nei florilegi), o la constatazione che essa sola non figura nel canzoniere più ricco di testi sicuramente miloniani (a), e al contrario di questi ultimi non presenta devianze fonetiche o morfologiche: la sua stessa brevità la salvaguardava da simili accidenti, e comunque la sua tessitura sintattica, piuttosto sciatta, è compatibile col resto della produzione del trovatore.
Solo la redazione di N – 10 versi – ha goduto di edizioni interpretative, procurate da Raynouard (1820), Mahn (1886) e Appel (1896) [2]; quella di P – 12 versi – è stata stampata unicamente nell’edizione diplomatica del canzoniere (Stengel 1872), e quindi non è neppur censita in Frank, benché sia proprio un dato metrico a destare il sospetto che i due versi in più, teoricamente accettabili dal punto di vista del senso come della dimensione del componimento [3], vi siano stati interpolati per meglio esplicitare il gioco verbale su cui regge l’intera cobla. Questa è infatti un epigramma paretimologico, esattamente come la cobla anonima che, non per caso, la precede immediatamente nel florilegio di P, e cioè Dompna, s’ieu vos clamei amia (BdT 461.97, edita in Rialto da Claudio Franchi), dove il nome amia è indicato come la somma di a, interiezione di sconforto, e di mia, possessivo alludente al legame cortese tra l’io lirico e l’amata (così secondo Franchi; ma si potrebbe anche intendere mi a ‘mi ha’, che alluderebbe invece al potere che l’amata esercita sull’io lirico). Nel nostro caso la falsa scomposizione riguarda amor, che se pronunciato ‘sospirando’ (= in due emissioni di fiato) si rivela formato anch’esso dall’interiezione a, ma poi dalla voce verbale mor ‘muoio’: chi ama davvero ‘muore piangendo’ ogni giorno, come accade all’io lirico.
Un’altra esecuzione di questa interpretatio nominis si trova nella lirica duecentesca italiana, e bisognerà verificare se essa e quella miloniana siano solo relitti casuali e irrelati d’una tradizione più larga e ben consolidata, o se vi sia stato qualche rapporto tra le due. In ogni caso, il confronto col dettato italiano consiglia di attenersi, nell’edizione della cobla, alla redazione più lunga e più argomentativa di P, pur adottando in più punti le forme, meno trasandate, di quella di N [4].
[1] Secondo Giosue Lachin, «La composizione materiale del codice provenzale N (New York, Pierpont Morgan Library, M 819)», in La filologia romanza e i codici. Atti del Convegno Messina (Università degli studi, Facoltà di lettere e filosofia, 19-22 dicembre 1991), Messina 1993, pp. 589-607, alle pp. 596 n. 11 e 597 n. 13, gli ultimi quattro degli undici pezzi ufficialmente compresi nella sezione miloniana (e cioè tra la capitale con miniatura del primo testo rubricato peire milon e la capitale con miniatura del primo rubricato Ugh de San Sist) mancherebbero tutti di rubrica e, poiché sia il primo sia l’ultimo di essi – l’ottavo, qui in causa, e l’undicesimo – sono «semplici coblas», potrebbero costituire nel loro insieme «un riempitivo», come le due serie di coblas trascritte nei bianchi rimasti dopo le sezioni (subito precedenti) di Peirol e Peire Vidal. L’ipotesi è contraddetta non tanto dalla presenza della rubrica sulla cobla in causa (potrebbe trattarsi di un ‘trascinamento’ dai testi precedenti) quanto, prima di tutto, dal fatto che il decimo testo, la canzone BdT 349.2, è bensì adespoto in N ma assegnato a Peire Milo dagli altri latori (Ma): pare improbabile che il materiale usato per colmare il bianco successivo a una sezione potesse casualmente includere un pezzo appartenente proprio al titolare della sezione. Inoltre, il nono e l’undicesimo testo mostrano delle affinità, di contenuto o/e di forma, col decimo, BdT 349.2: il nono, la canzone d'attribuzione controversa BdT 10.8 (ascritta ad Aimeric de Peguillan in CDaEG1QUc e alla prima comparsa in IKR, nonché nel Breviari d’amor, ma a Guillem Figueira in CRegD e alla seconda comparsa in IKR, a Guiraut de Borneill in P, e lasciata anonima in L come in N), condivide con esso il tema di ‘occhi’ e ‘cuore’ e alcuni rimanti (per altro vulgati) in -ensa; l’undicesimo, la cobla anonima BdT 461.170b, condivide con esso lo schema metrico, e in più ha tra i rimanti una voce verbale rara, la 3a sing. del cong. pres. seia, che compare nel sesto dei testi rubricati in N a Peire Milo (la canzone BdT 349.8, intestata al nostro trovatore anche in IKdMaz’). Si può dunque presumere che i quattro componenti del presunto riempitivo siano in realtà parte integrante della sezione miloniana: la cobla in causa, che è dotata di rubrica, vi sarà stata accolta a pieno titolo, mentre gli altri tre, che vi sono stati collocati nelle ultime posizioni e senza indicazione di paternità, rappresenteranno delle proposte d’attribuzione a Peire Milo, formulate (dal compilatore o dalla sua fonte) sulla base forse di informazioni ricevute nel caso del decimo testo (BdT 349.2), e di confronti personalmente effettuati nel caso del nono e dell’undicesimo.
[2] Tutte poco soddisfacenti: sia Mahn sia Appel (che per altro non aveva visionato direttamente N) hanno ripreso quasi in toto il testo di Raynouard (una sola eccezione da parte di Mahn al v. 1, due da parte di Appel ai vv. 1 e 11).
[3] La dimensione prevalente delle coblas esparsas è 10 versi, ma non mancano esemplari estesi su 12.
[4] Anche se la divergenza tra le due redazioni, cospicua a fronte della brevità e della semplicità concettuale del testo, sembra presupporre una tradizione piuttosto ‘attiva’ e induce a chiedersi se sia estensibile anche a singole coblas come questa l’eventualità, prospettata per i florilegi da Maria Luisa Meneghetti, «Les florilèges dans la tradition lyrique des troubadours», in Lyrique romane médiévale: la tradition des chansonniers. Actes du Colloque de Liège, 1989 édités par Madeleine Tyssens, Liège 1991, pp. 43-56, a p. 54, che a lato del veicolo di trasmissione scritto ve ne fosse uno orale, «représenté par toutes les utilisations performatives possibles, normalement partielles et liées à des situations et circonstances précises».