I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
I. Tanto a lungo ho cercato ciò che non mi serviva, che l’ho trovato proprio come lo volevo. Ho perso e m’è mancato ciò che solevo avere, e non ho guadagnato nulla che faccia sorridere il Mio Amico. E lo stolto, quando fa una stoltezza, crede di fare una cosa intelligente e non se ne avvede finché non gli va male; e io mi sono allontanato dal piacere e dall’onore e mercé non mi fa avanzare per niente verso di lei, che il corpo e il cuore e il valore ha di me e non mi dà vantaggio né io mi volgo altrove.
II. Della gioia di cui ha grande abbondanza mi fa carestia, a mio danno ho visto la sua grande bellezza e la sua cortesia. Mi ha tradito e ingannato; con apparenza gentile mi ha rubato tutto il mio cuore tanto che mai avrei potuto crederlo. Amo lei più di me stesso, e me ne rimprovero e cerco il mio danno consapevolmente; con lei non trovo infatti amicizia né pietà né mercé né alcun accordo; perché io chiedo mercé e mercé non mi soccorre; mentre chiedo mercé mi pare di morire di dolore.
III. Tanto chiedo umilmente mercé ogni giorno, che mercé farebbe peccato se non me ne giovasse. Molto ho gridato mercé e in confronto mi è servito a poco; poiché presso di lei non l’ho trovata, io credo che sia morta. La mia signora ha ucciso mercé e misericordia, mentono il suo dolce sguardo e i suoi begli occhi, con cui mi ha mostrato così cortese aspetto che io ho pensato di avere più del re di Francia. Per questo mi sembra un eretico e un traditore perché con apparenza gentile mette l’uomo in errore.
IV. Ah! gentile signor Castiat, come muoio di dispetto, perché con aspetto gentile mi ha ferito a morte la mia cattiva nemica. E non mi mostrerebbe neanche tanta bontà da amarmi come un cognato, che con quel tanto già vivrei; un uomo bisognoso, infatti, che ha desiderio d’amore, ciò che ne può avere, quello prende; e io sto in bilico così. Ma spero in un buon risarcimento, che mi soccorra dalle pene d’amore, perché la dama deve portare soccorso al suo amante.
V. Ora temo di dire una grande sciocchezza per mia leggerezza: e mi deve essere perdonato, perché non so cosa dico. Mi vedo infatti soggiogato completamente a fare ciò che le piace: faccia di me la sua volontà, che potrebbe significare l’accordo. Valente signora, se volete, a voi mi rendo, e anche se non volete, lo faccio ugualmente; perché so bene che in nessun modo posso resistervi: davvero soffre una grave disavventura l’infelice che cade in ira di signore e non trova sostegno né chi lo aiuti.
VI. Prima che io abbia passato il Rodano là verso la Lombardia, non avrò il cuore appagato, in qualunque modo io stia qui. Tanto sono stato lontano dalla Provenza, che temo che la mia dama mi uccida e mi farebbe onore se subito lo facesse. E devo proprio avere vergogna e spavento, visto che sono stato lontano da lei tanto a lungo. Se la disperazione non fosse un tal peccato, mi sarei disperato senza dubbio, e invece mi rendo a lei come un bugiardo, e lei faccia di me ciò che le torna a onore.
VII. Occhi di mercé, bocca di misericordia, nessuno vi vede senza che lo rendiate gioioso. Perciò io ho riposto in voi ferma fiducia e tutto il mio cuore e tutta la mia speranza, e faccio di voi la mia dama e il mio signore e vi dono la mia persona di buon cuore e con amore.
VIII. Donna Vierna, sarei felice per amor vostro, se solo vedessi Chastiat il mio signore.
Edizione: d'Arco Silvio Avalle 1960; traduzione e note: Antonella Martorano. – Rialto 6.ii.2004.
A 98v, C 32v, D 21r, Dc 248v, E 22r, H 5v, I 44v, K 32r, L 111r (adespota), M 65v, N 87v, O 65r (adespota), P 20r, R 46v, S 17r, T 253v, c 66v, e 105.
Edizioni critiche: Karl Bartsch, Peire Vidal’s Lieder, Berlin 1857, p. 80 (XLIV) (secondo CDcEIKMRST); Joseph Anglade, Les poésies de Peire Vidal, deuxième édition revue, Paris 1923 (Les classiques français du moyen âge, 11), p. 25 (X) (aggiunge varianti di AHOP); Peire Vidal, Poesie. Edizione critica e commento a cura di d’Arco Silvio Avalle, 2 voll., Milano-Napoli 1960, vol., I, p. 81 (VIII) («testo secondo il codice antico»).
Altre edizioni: Paul Blackburn, Peire Vidal, New York 1972, p. 35 (traduzione inglese sul testo di Anglade).
Metrica: a7 b5’ a7 b5’ a7 b5’ a7 b5’ c10 c10 d10 d10 e10 e10 (Frank 254:1, unicum). Canzone di sei coblas unissonans di 14 versi e due tornate, di cui la prima di 6 versi e la seconda di 2 versi.
Se il Chastiat dei vv. 43 e 92 è Raimondo V di Tolosa, la canzone è stata scritta prima del 1194 (anno della sua morte). Non ci sono altri elementi interni per stabilirne la data di composizione, ma cfr. Avalle 1960, p. 74 (1190 circa o primi anni ’90, cioè dopo l’avventura del bacio e la seconda rottura con Vierna) e id., pp. 83-84 (riepilogo della bibliografia pregressa); si veda inoltre Ernest Hoepffner, Le troubadour Peire Vidal. Sa vie et son oeuvre, Paris 1961, p. 34 (la canzone risalirebbe ai primi anni dell’attività poetica del Vidal, cioè prima della rottura con Castiat).