I.
II.
III.
IV.
I. Chi la vede ne dice: poiché Dio ha posto così tanto bene in donna Beatrice, in lei non vi è alcuna pietà; ché tanto è il suo corpo gaio, cortese e nobilmente allevato che nessun piacere che non la contemplasse sarebbe incompleto. Il suo sguardo dolce, chiaro e cordiale, fiore dei più preziosi, conferirebbe piacere alle parole oscure, tanta ne è la dolcezza. Dal momento che il suo onorato onore, che è più alto dell’alto onore, e la sua grazia sono ugualmente piacevoli, nessun dono altrui mi vale altrettanto. Direi tanto, se dessi credito al mio cuore, cantando di lei, che mi farei nemica la bella che corteggio con amore. A che le gioverebbe, se perdessi colei che amo tanto e senza inganno? Ché io e la mia amata ne prenderemmo pena, e grande sarebbe il mio danno.
II. Non si è mai trovato un uomo nato da nessun popolo che, senza essere riamato, amasse tanto fedelmente. Sono sciocco, perché non attendo gioia né mi è concesso alcun favore. So di esser saggio nell’errore. Ne vorrei pace e forte accordo, tanto sono pensieroso, povero e senza alcun piacere. Le sue fattezze mi hanno ingannato; ché invece del conforto porto nel cuore i suoi due occhi. Guardate che consolazione! Mi hanno ucciso le sue dolci risposte, ché mi ha dato l’illusione dell’amore quando ho visto il suo corpo gaio, grazioso e inerme, e invece non mi rivolge gli occhi né ride davanti a me, e non vuole onorarmi né innalzarmi, anzi mi allontana da sé. Senza dubbio il suo pregio ne è diminuito, poiché m’uccide già da chino.
III. Poiché tutto mi ha vinto in modo che non possa distogliermi da lei, a cui m’inchino, e mai non trovo sollievo altrove, e poiché il suo fino pregio è come un raggio dei più puri, volesse e consentisse, ché sarebbe duro da sopportare per i malvagi, che con il suo benestare, così da pesare a loro, mi desse occasione e vero permesso di pregarla. Ora non vorrei che un’altra mi tenesse in un letto accanto a sé, né giacerci al sicuro, né che mi baciasse. Se io l’amo senza tirarmi indietro e le sono così fedele, posso fare poco o niente con un’altra, tanto le sono sottomesso. Ché cambiatore o ingannatore non lo sono, né un falso venale. Mi sembra, per mio padre!, che (per questo) me ne venga un male più profondo.
IV. È la più bella sotto la volta celeste sia per i buoni che per i malvagi, perché l’onore è fonte della sofferenza e la ricompensa (è) sicura.
3. Na Beatritz: secondo Shepard–Chambers, The poems, pp. 13-14 la dama evocata da Aimeric è con ogni probabilità Beatrice d’Este (1191/1192?-1226), figlia del marchese Azzo VI (1170-1212). Quest’identificazione risulta accolta da Gianfranco Folena, Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova, 1990, pp. 44-46 e potrebbe essere suffragata dalla fortuna del genere del descort in ambiente estense. Le maggiori riserve provengono invece da Bettini Biagini, La poesia provenzale, p. 54, la quale non esclude che si tratti piuttosto di Beatrice d’Oramala, «la figlia di Corrado Malaspina protagonista, con la sorella Selvaggia, della perduta composizione di cui la treva costituisce la conclusione: la mesclança e batailla che la critica attribuisce al Peguilhan» (p. 53). Ad ogni buon conto, l’identificazione con Beatrice d’Este (per la quale si propende in questa sede) consentirebbe di fissare l’epoca di composizione di Qui la vi en ditz prima della morte di Azzo VI, occorsa nel novembre 1212, e quasi sicuramente prima del 1220, anno della monacazione di Beatrice (cfr. Lorenzo Paolini, «Este, Beatrice d’», Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 43, Roma 1993, versione in rete [www.treccani.it]): si vedano le Circostanze storiche che contestualizzano il descort assieme ad altri due componimenti di Aimeric indirizzati a Na Beatriz, Ades vol, de l’aondanssa (BdT 10.2, v. 41) e Chantar vuilh per qe ja·m platz (BdT 10.16, v. 53).
11. parlars cars: per il riferimento all’oscurità delle parole, cfr. Shepard–Chambers, The poems, p. 216: «We take this to be used here has (sic!) in rims cars: unusual, therefore difficult of comprehension. Much of the present poem could be so described».
43. ses lansa: il significato di ‘inerme’, ‘disarmato’ è ulteriormente precisato nelle sue sfumature da Shepard–Chambers, The poems, p. 216: «We take E ses lansa to mean little more than “unharmed,” an expression which is explained thus: For she does not cast (like a lance) her eyes at me».
59. luec e lezer: su questa particolare dittologia si vedano anche gli esempi di Peire Cardenal, Dels quatre caps que a la cros (BdT 335.15, v. 35: «mentre qu’en a loc e lezer») e Peirol, Cora que·m fezes doler (BdT 366.9, v. 29: «e sabon luoc e lezer»).
68. sessals: il termine, di chiara ascendenza feudale (cfr. DOM s.v. cesal, censal ‘censitaire’), è risemantizzato in chiave cortese in ambito trobadorico, ove rinvia usualmente all’immagine della “sottomissione d’amore” del poeta alla dama. Altre occorrenze di sessal si rintracciano anche in Raimbaut d’Aurenga, Ara·m platz, Guiraut de Borneill (BdT 389.10a, v. 42: «que no·l deing ad home sesal») e Uc de l’Escura, De mots ricos no tem Peire Vidal (BdT 452.1, v. 28: «que an baissat a Pret son fieu sessal»).
75. maire: per il valore di ‘origine’, ‘causa’, si vedano già Shepard–Chambers, The poems, p. 216: «“mother,” and therefore “source, cause».
76. captals: il termine, letteralmente ‘guadagno, profitto’ (cfr. DOM s.v. capdal, captal ‘gain, profit’), è qui da intendere come un più generico ‘ricompensa’. Il termine è ben attestato nella poesia di Aimeric de Peguilhan, come si vede in Pos ma bela mal’ amia (BdT 10.43, v. 2: «M’a mes de cent sospirs captal») e Totz hom qui so blasma que deu lauzar (BdT 10.52, v. 48: «Tan n’ai d’onor que ben cobri·l captal»).
Edizione: William P. Shepard - Frank M. Chambers 1950; traduzione e note: Cesare Mascitelli. – Rialto 4.i.2023.
C 94r, D 67v, E 78, I 54v, K 40v, Q 16r, R 49r (mel.), a2 353, M 250v (anon.), N 47r, W 185r (mel.).
Edizioni critiche: Friedrich Diez, Die Poesie der Troubadours. Nach gedruckten und handschriftlichen Werken derselben dargestellt. Zweite vermehrte Auflage von Karl Bartsch, Leipzig 1883, p. 305; Nicola Zingarelli, Intorno a due trovatori in Italia, Firenze 1899, p. 65; William P. Shepard–Frank M. Chambers, The poems of Aimeric de Peguilhan, Evanston, Illinois 1950, p. 212.
Altra edizione: Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizioni vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 123 (testo Shepard–Chambers).
Metrica: a5 b5 b1 a5 b5 b1 a5 b5 b1 a5 b5 b1 c5 c1 d5 d1 c5 c1 d5 c5 c1 d5 d1 c5 c1 d5 e3’ e3’ f5 f1 e3’ e3’ f5 f1 e3’ e3’ f5 f1 e3’ e3’ f5 f1 (Frank 528:1). Descort isostrofico di 3 coblas singulars di 24 versi con rime a eco (eccetto i vv. 1, 3, 5, 7, 12 e 16 di ciascuna), più una tornada di 4 versi che recupera lo schema metrico-rimico dell’ultima. Rime: -itz, -es, -ars, -ors, -ia, -an (I); -en, -atz, -ort, -os, -ansa, -i (II); -is, -ays, -er, -es, -aire, -als (III); -aire, als (IV).
Questo descort, composto in lode di Beatrice d’Este (1191/1192?-1226) verosimilmente alla corte del marchese Azzo VI (1170-1212), sembra databile anteriormente al 1212-1213: si vedano le Circostanze storiche.