I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII.
XIX.
XX.
XXI.
XXII.
XXIII.
XXIV.
XXV.
XXVI.
XXVII.
XXVIII.
XXIX.
I. Dio glorioso, fonte di ogni bene, a voi porgo la mia preghiera, desiderando ardentemente che illuminiate, vi prego, il mio cuore perché adesso sappia narrare cantando un pianto amaro, doloroso, unanime. Farà piangere la Linguadoca, farà versare lacrime e lamentare la Provenza. Morte amara, gran danno ci hai recato, di quale buon signore hai reso orfana Provenza!
II. Vero valore, di gran valentia, lo posso dire senza sbagliare. Ah, re Roberto, frutto, fiore e radice di ogni qualità, nutrito nella scienza! Abbiamo perso la maestà regia di Sicilia! Oh, contea di Provenza, di che buon signore sei rimasta senza!
III. Grandi e piccoli, in Provenza tutti devono piangere, gemere, gridare. E vi dirò perché: lui li amava tutti di cuore, perché ogni volta li ha riconosciuti leali. Morte amara, sei proprio villana ad averci tolto il fiore di questa lingua! Ah, re Roberto, che perdita per paraggio!
IV. Molti buoni uomini ricevevano protezione da re Roberto, ora dovranno ritornare nel loro paese! La sua morte si piange fin dentro Parigi e attraversa i luoghi più disparati quando echeggia il ricordo di tutte le virtù in cui eccelleva. Chi andasse bandito a Napoli, dove risiedeva, il re lo accoglieva presso di sé.
V. Oh re Roberto, gentil fiore di nobiltà! Chi potrà mai trovare un così buon signore? Mai fece alzare taglie e chieste in Provenza, l’ha conservata nella pace. Il vero Dio, che fu sollevato in croce, non punisca la sua anima ma la mandi là dove il gaudio è eterno.
VI. Nessuno udì raccontare un dolore più grande di quel giorno in cui il buon re stava per morire: convocò davanti a sé i suoi cavalieri, la regina era già lì. Sospirando disse loro molto umilmente: «Signori, a voi tutti chiedo perdono». Con sforzo cominciò il suo sermone: «Quaggiù ho vissuto come ostinato peccatore ...».
VII. Dicono che baciò piangendo il giovane re, figlio di quel che regna in Ungheria, e: «O figliolo, che Dio ti protegga, stai attento, mi raccomando! E ti prego: sii umile nella Chiesa; se lo sei, Dio Padre ti guiderà nelle tue esitazioni.
VIIII. E poi ti prego, abbi cura dei Provenzali che sono leali e non ingannano: se ti servirà, loro ti verranno in aiuto, devi solo amarli e conservare la pace. Pagali bene, così li avrai sempre fidati e leali: se ne avessi bisogno saranno i primi, come sono stati sempre».
IX. Prima di spirare, l’onorato re Roberto, convocò il suo vicecancelliere e volle sapere se tutti gli stipendiati erano stati pagati: lui rispose di no. Il nobile re, che era saggio, buono e probo, comanda allora che tutti siano pagati fino all’ultimo soldo, ovunque sia custodito.
X. Pietà colse tutti quelli che ascoltavano re Roberto prima che spirasse: «Porta i miei saluti al re di Sant Denis, a quello di Maiorca e quello d’Aragona. Quel Signore che soffrì passione doni loro la pace, a tutti quanti, e al Santo Padre doni cuore e talento di governare ad onore di Dio. Tutti moriranno e non conoscono il giorno».
XI. La gente era molto addolorata a quelle parole, umilmente la raccomanda a Dio: «Avrei voluto andare pellegrino davanti al sacro altare di san Ludovico, fosse piaciuto a Dio!, presso Cristo Gesù interceda per me! La mia anima affido alla umile Vergine Santa Maria, che a lei provveda».
XII. Non si può raccontare il dolore grande che mostravano quelli intorno al re Roberto, che Dio lo perdoni! Chiama a sé i nipoti, maschi e femmine, avrebbe voluto tanto vedere il Delfino, suo nipote di sangue e di lignaggio: «Salutatemelo», disse ai suoi baroni,
XIII. e ditegli che si ricordi di me, che per amor mio stia dalla parte dei Provenzali. I Marsigliesi, che son buoni e leali, a causa mia hanno sofferto angustie e grandi affanni, in Sicilia sono stati coraggiosi e mal pagati, e questo mi dispiace, è certo. Dio sia con loro e li guardi tutti dalla tribolazione!».
XIV. Prima di spirare, il re, a stento, chiese affettuosamente al suo erede di amare con tutto il cuore i del Balzo, il conte Novello e tutti gli altri, quello d’Avellino e tutti i suoi: «Prego che uniti in nome di Dio si ricordino di sostenersi l’un l’altro come possono».
XV. Disse parole che è bene ricordare il re Roberto prima di morire: «Portami il Fiore di Giglio!». Poi lo baciò e disse sospirando al re di oggi: «Figlio caro, non fare il bambino, prometti che serberai il Fiore. Se la Chiesa facesse l’imperatore, non cedere per debolezza, ma specchiati nel tuo lignaggio.
XVI. Come hanno retto e custodito il Fiore i nostri avi – Re Carlo primo e mio padre hanno avuto al loro servizio molti bravi mercenari, e il Duca di Calabria, che era mio figlio, ha affrontato molti pericoli per conservare la terra di Sicilia – così fa’ tu, difendi la tua signoria».
XVII. Una volta re Roberto meditava su Dio in grande sofferenza, era la notte dell’Epifania. Dio gli mandò il suo angelo che gli disse: «Ah, re Roberto, la fine è vicina!». Gli predisse il giorno in cui sarebbe morto: le mani giunte, si piega al volere del Cielo.
XVIII. Cercò ancora i suoi due nipoti e la nipote. Sul capo del pupillo pose la corona. Gemendo disse dolcemente: «Figlio caro, ti consegno il Regno, che san Ludovico ti preservi dai pericoli! E ricordati sempre dei tuoi cugini, proteggili tutti per amor mio».
XIX. Umilmente, e come poteva, il re disse prima di morire: «Non meravigliatevi se ho investito della corona Andrea, che oggi è re. È perché è giusto: Carlo Martello, suo nonno e mio fratello nato prima di me, più di me avrebbe dovuto governare il Regno. Avevo coscienza del torto certo, per questo ho deciso che il Regno sia restituito ai suoi».
XX. E poi spirò. Allora fu grande lutto: c’è chi ha visto stracciarsi i mantelli, molti lacerare le vesti e i visi, strapparsi i capelli, piangere e urlare. Non c’era nessuno che non si lamentasse dicendo: «Abbiamo perso un grande signore! Che la sua anima non soffra pena!». Grande era il dolore tra la sua gente.
XXI. Grande dolore provò chi sentì la morte di re Roberto vicino alla donna gentile! La regina lanciò un alto grido: «Ah, caro amore, è giunto il momento di separarci! Se fosse piaciuto a Dio, avrei voluto morire prima di voi. Ma Dio Padre così vuole e devo rimettermi al suo volere!».
XXII. Il re sentì che la donna piangeva. Come può la conforta: «Oggi è il giorno della chiamata di Dio. Gli siano rese grazie, ché qui ho vissuto a lungo, poiché gli piace che sia così, il suo volere mi salva. A Lui mi consegno da peccatore: disponga del mio corpo e della mia anima».
XXIII. Tutta la Santa Chiesa deve piangere la sua morte, e a ragione, per tutta la sua vita è stato servitore della Chiesa: gonfaloniere di Papa Clemente quinto, e lo sarebbe stato anche del sesto. Se fosse vissuto ancora avrebbe continuato a sorreggerlo la fede spirituale: in lui aveva un gran sostenitore.
XXIV. Nacque dalla radice di Francia, ecco perché i Francesi lo devono rimpiangere e versare lacrime e lamentarsi per la sua morte. Quanti uomini piangeranno re Roberto! La sua vita ebbe un tale contegno che tutti porteranno il lutto, specialmente il nobile re di Francia.
XXV. Il conte d’Avellino, ah! come piange e sospira la morte del re! Ed è giusto, ché l’amava con affetto sincero. Per poco non gli si spezza il cuore a sentire della sua morte! A capo chino dice: «Mio buon Dio, mi hai proprio reso orfano di un buon signore! Ma sia lodato Dio, e la umile Vergine Maria provveda alla sua anima!
XXVI. Conplansa vai, percorri veloce il Paese. Passa per prima in Provenza e attraversala da levante a ponente. Comincerai entrando a Nizza fino a Santa Maria del Mar, passando per Marsiglia e per Arles, fin dove si estende il regno di re Carlo.
XXVII. Ad Aix, conplancha, saluterai umilmente piccoli e grandi, e non sbagli, perché era uno dei luoghi che il re amava di più della Provenza. Prega con devozione Santa Chiara per il buon re valente: gli sia avvocata in Paradiso, tutti i suoi appelli non conoscano ostacoli.
XXVIII. Ad Avignone dal Santo Padre vattene poi, e così sia; poi dai cardinali, al Collegio, e da tutti i Reali. Qui nasce e fiorisce la fede nel vero Dio, sostegno del mondo: che l’anima del re non soffra pena alcuna! Preghiamo tutti la Umile piena di grazia!
XXIX. Da san Ludovico, il sacro cuore di Marsiglia, vai conplancha con gran devozione: che quel Signore che soffrì passione preghi per il grande re, e accolga l’anima nel Regno di gloria e nella sua santa casa, dove ogni peccatore di fede gode della gioia eterna. Amen.
3 esclay/zir scritto nell’intercolunnio 4 Iue yeu ms. 24 gages scritto nel margine esterno 69 Lo rey rey robert ms. 70 dauid ms. 111 si la la g. ms.
2. vos prec prezant, deziros am dezir: Nel testo pubblicato da Pellegrini, Il “Pianto”, p. 30 e nota a p. 42, il verso presenta una diversa interpunzione: «vos prec, prezant deziros am dezir». Tuttavia, nel 1963, sulla scorta della recensione al suo lavoro di edizione fatta da Kurt Lewent, Zeitschrift für französische Sprache und Literatur, 60, 1936, pp. 224-236, a p. 229 – a cui l’interpretazione pareva non convincente (Pellegrini infatti intendeva: «Vos prec deziros am prezant dezir») – lo studioso italiano ritorna sulla forma prezant proponendo di correggerla in pregant: «prec pregant, modo generato dal gusto per l’annominazione e l’alliterazione, farebbe il paio nello stesso verso con deziros am dezir» (Silvio Pellegrini, «Ancora sul ‘pianto’ provenzale per Roberto d’Angiò», Studi francesi, 19, 1963, pp. 79-81, § 6, p. 80). Essendo evidente la sequenza di figure etimologiche al v. 2, mi pare che prezant potrebbe intendersi come variante di preant, da un esito dell’infinito con dileguo della velare intervocalica → prear (cfr. TF, vol. II, 639, che attesta l’esito prea ← rom. pregar nel «dialecte des Alpes» e nel Rouergue) con un’inserzione consonantica anti-iato, la stessa che si nota in VII 92 Prozensals e IX 34 Prozensa. Se così fosse, avrebbe senso anche non intervenire sulla forma della 3a ps. dell’ind. presente pre a VIII 54, come fa Pellegrini, Il “Pianto”.
4. a present: nella traduzione seguo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, vol. II, p. 324: «adesso», piuttosto che Pellegrini, Il “Pianto”, p. 39: «pubblicamente». La stessa locuzione avverbiale si trova nel roman de Saint Trophime, ai vv. 304-306 e 800-801, cfr. Nicola Zingarelli, «Le roman de saint Trophime», Annales du Midi, 13, 1901, pp. 297-345.
21-22. Amara mort, ben yest descumenals / car nos as tout la flor d’aquest lengage!: la traduzione di lengage come ‘provincia, regione’, concorda sostanzialmente con «nazione» pubblicato da De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, e «paese» da Pellegrini, Il “Pianto”, che però non commentano; penso sia possibile si tratti di un riferimento alla langue de Provence come a una delle sette linguae fondanti le ripartizioni risalenti ai fratres dell’Ordine degli Ospitalieri (che comprendeva le regioni di Provenza, Languedoc, Gascogne e Guienne) e che ormai doveva essere entrato nell’uso per indicare una regione individuabile non solo per lingua ma anche per cultura, religiosa e politica. Intorno al 1340 il magnus preceptor Hospitalis proveniva dalla Provenza, cfr. Jürgen Sarnowsky, «Mendicants, Military Orders, and Regionalism», in Mendicants, Military Orders, and Regionalism in Medieval Europe, edited by Jürgen Sarnowsky, Aldershot 1999, pp. 283-288; Jochen Burgtorf, The Central Convent of Hospitallers and Templars. History, Organization, and Personnel (1099/1120-1310), Leiden-Boston 2008, pp. 96, 140, 146, e TF, s.v. lengo.
30. desconselhat: per il significato attribuito al participio ‘sottoposto al processo e giudicato eretico dal consilium sapientis inquisitoriale’, si veda l’abate Célestin Douais, «La formule Communicato bonorum virorum consilio des sentences inquisitoriales», Le Moyen Age, 11, 1898, pp. 157-171, alle pp. 172-192 e 286-311 per le pièces justificatives, e Corinne Leveleux-Teixeira, «La pratique du conseil devant l’Inquisition (1323-1329)», in Les justices d’Église dans le Midi (XIe-XVe siècle), Toulouse 2007 (= Cahiers de Fanjeaux, 42), pp. 165-198; da ultimo Riccardo Parmeggiani, «Consiliatores dell’Inquisizione fiorentina al tempo di Dante: cultura giuridico-letteraria nell’orbita di una oligarchia politico-finanziaria», in «Il mondo errante». Dante fra letteratura, eresia e storia. Atti del Convegno internazionale di studio (Bertinoro, 13-16 settembre 2010), a cura di Marco Veglia, Lorenzo Paolini, Riccardo Parmeggiani, Spoleto 2013, pp. 57-79.
40-46. Viscut sa ay coma forfag peccayre / …: non si può non pensare al «re da sermone» di Pd VIII 147 quando Carlo Martello incontrando Dante nel cielo di Venere tra gli spiriti amanti dichiara amaramente: «Ma voi torcete a la religione / tal che fia nato a cignersi la spada, / e fate re di tal ch’è da sermone». Si conoscono bene i frequenti interventi di Roberto in occasioni pubbliche, da solo o col suo logoteta Bartolomeo da Capua, e durante il suo regno si ha notizia di almeno venti sermoni funebri pronunciati per le esequie di esponenti angioini, cfr. Samantha Kelly, The New Salomon. Robert of Naples (1309-1343) and Fourteenth-Century Kingship, Leiden-Boston 2003, pp. 126-130. Sui Sermones de mortuis, cfr. David d’Avray, Death and the Prince. Memorial Preaching before 1350, Oxford 1994.
62. vicicancellier: Filippo di Cabassole, provenzale, vescovo di Cavaillon dal 1334; un anno prima era stato incaricato da Roberto di dirigere la cancelleria di Sancia.
70. Daunis: la lezione a testo è congettura di Bartsch, Denkmäler, p. viii, che interviene sulla lettura dauid del ms.
88. Dalfin: è Umberto II delfino di Vienne, pronipote di Roberto d’Angiò.
101. lo com Novel: si tratta di Bertrando III del Balzo, che nel 1308 aveva sposato Beatrice, sorella di Roberto, e nel 1333 aveva fatto parte della delegazione che accolse a Vieste Caroberto e Andrea. L’avevano chiamato Novello nel 1312 quando gli fu affidato per la prima volta il comando militare di 5000 cavalieri angioini per soccorrere Firenze, cfr. Joachim Göbbels, «Del Balzo, Bertrando», in Dizionario Biografico degli Italiani, 36, 1988 (in rete). Su di lui fa il punto Pellegrini, Il “Pianto”, pp. 65-67.
102. cel de Velli: si tratta di Ugo II del Balzo, regio consigliere dal 1333 e siniscalco di Provenza e Forcalquier dal 1343 al 1346. Il suo nome figura tra i garanti del testamento di Sancia. Si veda anche Pellegrini, Il “Pianto”, pp. 67-68.
107. Flor de Lys: emblema della dinastia angioina e del partito guelfo in Italia.
117-118. e·l duc, qu’era mon filh, / de Calabria: è Carlo di Calabria, figlio di Roberto e Iolanda d’Aragona, morto a Napoli nel 1328.
121. En sa vida: la locuzione temporale è stata tradotta con ‘una volta’, indice di tempo indefinito. Diverse le traduzioni in De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, vol. II, 325: «durante la sua vita», e Pellegrini, Il “Pianto”, p. 40: «In sua vita», che si associano invece regolarmente all’espressione en son vivent di XXIII 166, e en sa vida di XXIV 176.
124-125. Dieus li trames son angel: la figura dell’angelo messaggero, ‘predittore’ della morte imminente dell’imperatore, si trova anche nella Reina d’Oriente di Antonio Pucci (terzo quarto del secolo XIV), cfr. Attilio Motta - William Robins, Cantari della Reina d’Oriente di Antonio Pucci, Bologna 2007, p. xvii (secondo cantare, ottava 13, terzo cantare, ottava 33). Le apparizioni angeliche sono elemento fondante anche nelle sacre rappresentazioni.
128-134. Roberto fa avvicinare i nipoti, maschi e femmine. La figura di Roberto, politicamente perfetta e ideale del re saggio che in punto di morte consola quanti sono attorno a lui e si dà pensiero per i suoi giovanissimi e vulnerabili eredi, si ritrova in Francesco Petrarca nel terzo libro dei Rerum memorandarum libri, cap. 96,9: «... Videbat adulescentulos regni successores et etatem multis obiectam periculis verebatur ...», cfr. Francesco Petrarca, Rerum memorandarum libri, a cura di Marco Petoletti, Firenze 2014.
144-149. Una scena enfaticamente simile è nella anonima «ballatuzza di lamento per la rotta di Montecatini» (29 agosto 1315) Deh, avrestù veduto messer Piero, al v. 30, pronunciato dalla Reina madre Maria d’Ungheria all’annuncio della morte del figlio Piero il Tempesta, conte di Gravina, fratello minore di Roberto: «Chi biasma s’i’ mi straccio e mi scapiglio?»; e più sotto, al v. 45 per voce del messaggero: «[Reina] Non pianger né percuoter più tua faccia». Per la tradizione italiana del compianto in morte di un personaggio illustre nel Due e Trecento, si veda Marco D. Limongelli, «Il pianto italiano in morte di un personaggio politico (secc. XIII-XV in.)», Nuova rivista di letteratura italiana, 20, 2017, pp. 11-72.
152. donna gentil: richiama «l’alta e gentile e nobile reina» del serventese in morte del duca di Calabria (XXV 98), cfr. Selene M. Vatteroni, «Un serventese in morte di Carlo di Calabria», Studi linguistici italiani, 37, 2011, pp. 170-231. Molto significativa è anche la corrispondenza tra XXI 153: «La regina va gitar un gran quil» e l’ottava XLVIII 3 del secondo cantare della Reina d’Oriente di Antonio Pucci: «e la reina alor mise gran guai», cfr. Motta - Robins, Cantari della Reina d’Oriente.
168: Gonfaronier de papa Quin Clement: da papa Clemente V, in realtà, Roberto aveva ottenuto il vicariato imperiale sull’Italia nel 1314, ma non ne fu mai Gonfaloniere; a meno che non stia a significare semplicemente ‘rappresentante, portavoce’.
169-170. Nel testo qui presentato il v. 169 si chiude con una pausa; Pellegrini, Il “Pianto”, pubblica invece i vv. 169-170 legati da enjambement: «e del Seyzen el fora eysament / si agues vescut;».
171. Fe sperital en el bon pe avia: per l’interpretazione si vedano le espressioni linguadociane registrate in TF, vol. II, 514 s.v. pèd, pè: «teni pèd, tène pèd (l.): ‘piéter, être assidu à son travail’».
188. conplansa: la denominazione, per quanto rara, è attestata nella tradizione trobadorica in epoca contemporanea; il salut anonimo occitano Si trobess tan leials messatje (BdT 461.VII) è rubricato come complainta nel ms. L al f. 52r e al suo interno contiene due volte questa designazione, vv. 11 e 14. Il genere andrà comunque collegato alla tradizione francese della complainte, che riguarda essenzialmente un lamento di contenuto amoroso, politico o funebre.
204. Reals era l’appellativo dato ai principi consanguinei della corte angioina.
Edizione, traduzione e note: Anna Radaelli. – Rialto 11.ix.2018.
γ (Paris, BnF, fr. 1049) 14v (Sur le trepas du roy Robert de Sicile comte de Provence, rubrica scritta in maiuscolo da Peiresc sul margine superiore del folio).
Edizioni critiche: Karl Bartsch, Denkmäler der provenzalischen Literatur, Stuttgart 1856, p. 50; Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 315; Silvio Pellegrini, Il “Pianto” anonimo provenzale per Roberto d’Angiò, Torino 1934, p. 30; Anna Radaelli, «Tra finzione e realtà: la conplancha per Roberto d’Angiò, una voce per un re immaginato», Lecturae tropatorum, 11, 2018, 70 pp., p. 61.
Altra edizione: Ernesto Monaci, Testi antichi provenzali, Roma 1889, col. 105 (testo Bartsch).
Il testo della conplancha è trascritto nel secondo fascicolo del manoscritto Paris, BnF, fr. 1049, preceduto dai quattro racconti evangelici della Passione di Cristo (ff. 1r-14r) che vanno considerati come preludio al compianto (ff. 14v-16v). È molto probabile che i primi due quaderni del codice, privi di cartulazione antica, circolassero insieme e autonomamente.
Metrica: a10’ b10 b10 c10 c10 d10’ d10’ (schema prevalente, Frank 705:note); varianti di schema: a10’ b10 b10 c10 c10 a10’ a10’ (Frank 678a:note), a10’ b10 b10 c10 c10 d10 d10 a10’ a10’ (schema non registrato in Frank). Ventinove coblas singulars di numero variabile di versi (sette / nove). Rime: -ensa, -ir, -ent, -ar, -atz, -e, -als, -age, -is, -ava, -eza, -ura, -aire, -on, -ia, -ils, -as, -an, -ansa, -ier, -ieu, -i, -enha, -als, -ors, -alha, -ens, -uda, -ilh, -oda, -et,-es, -at, -ena, -ida, -ut, -a, -ira, -arle, -elha, -os; rime imperfette e assonanze: II -atz, -at; V -as, -atz; XI -ieu, -ieus; XII -i, -in; XIII -ors, -os; XIV -os, -ors; XVII -i, -in; XX -irs, -itz; XXI -am, -an; XXVIII -e, -en; con la nasale mobile: X -o, -on. Al v. 119 Cisilia è quadrisillabo. Nella sua forma metrica più utilizzata, la conplancha può essere avvicinata alla tradizione italiana, a quello che Antonio da Tempo definisce serventesius sive sermontesius duplex et duatus (con forma AABBCC) nella variante con un verso iniziale a rima irrelata seguito da distici di décasyllabes a rima baciata (cfr. Antonio da Tempo, Summa Artis Rithimici Vulgaris Dictaminis, a cura di Richard Andrews, Bologna 1977, a p. 80). In area trobadorica, lo schema aabbcc su decenari (Frank 161:note) raccoglie il vers religioso Peccatz mortals di Cerverí de Girona (BdT 434a.45) e il planctum del Jeu de Sainte Agnes, Ai! Fil de Dieu ques en croz fust levaz (vv. 759-764, BdT 461.141a), cantato da Agnese in sonu Iham non ti quier que mi fasas perdo d’aquest pecat, Seyner, qu’ieu hanc feses, canto di pentimento non attestato altrove. Quanto invece alla configurazione minoritaria, quella che prevede la ripresa della rima del primo verso nel distico conclusivo, le strofi della conplancha assumono una struttura circolare, ‘ritornellata’, che le avvicina alla forma dell’ottava di ‘tipo toscano’, caratterizzata dallo schema ritmico a ripetizione con clausola monorima (con schema ABABABCC).
Conplancha che racconta le ultime ore di Roberto d’Angiò, che morì a Castelnuovo di Napoli nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1343 e con il quale si estingueva il ramo maschile della prima dinastia angioina di Sicilia-Provenza: si vedano le Circostanze storiche. – L’intero componimento si colloca in una terra di mezzo tra il ‘lamento storico’ italiano, che in quegli stessi anni si esprimeva in serventese, metro tipico della produzione storica, e il cantare. Fin dall’inizio, infatti, il testo sviluppa le sequenze narrative proprie della poesia storico-politica impiegando formule tipicamente canterine (lo stesso Silvio Pellegrini lo definisce «una insolita lunga rappresentazione narrativa», in «Un topos letterario-storiografico. A proposito del compianto provenzale per Roberto d’Angiò», Critica storica, 1, 1962, pp. 10-22 [poi in Id., Studi rolandiani e trobadorici, Bari 1964, pp. 203-221]). L’esordio introduce un tipico planh trobadorico che però amplifica vistosamente l’elemento drammaturgico connaturato al genere fino a farsi doglianza collettiva o conplancha, termine che compare per tre volte negli invii. La struttura complessiva del testo presenta procedimenti retorico-narrativi che rimandano a un serbatoio di stilemi, meccanismi di ripetizione e ripresa, e sequenze rimiche comuni a tutta la letteratura semipopolare.