I.
II.
III.
Edizione: Margherita Beretta Spampinato 1978; note: Antonio Petrossi. – Rialto 12.xii.2006.
C 210v, D 176-622r, E 137r, I 140v, K 126v, R 39-333v.
Edizioni critiche: Otto Klein, Die Dicthungen des Mönchs von Montaudon, Marburg 1885, p. 87; Fritz Naudieth, Der trobador Guillem Magret, Halle 1914, p. 141; Michael J. Routledge 1977, Les poésies du Moine Montaudon, p. 179; Margherita Beretta Spampinato, Berenguer de Palol, Modena 1978, p. 167.
Altre edizioni: Wilhelm Keller, Lieder Guillems von Berguedan, Miltau-Leipzig 1869, p. 15; Emil Philippson, Der Mönchs von Montaudon, Halle 1873, p. 28; duc de la Salle de Rochemaure - Renè Lavaud, Les troubadours cantaliens: Notes complémentaires, Aurillac 1910, II, p. 28.
Metrica: a10’ b10 b10 a10’ c10 c10 c 10 c10 d8 d8 e8 e8. (Frank 569:1). Tre coblas unissonans di undici versi. Schema unico.
La paternità della canzone oscilla tra Berenguer de Palol, Guillem Maigret, Monge de Montaudo e Aimeric de Belenoi. – La canzone si apre con una metafora feudale, nella quale l’autore si dichiara in potere della dama. La dama-barone però non solo vanta dei diritti versi l’amante-vassallo, ma anche degli obblighi: la donna si rende colpevole di fellonia secondo il codice cortese, se rifiuta di riconoscere la reciprocità del dare e dell’avere propria del legame feudale. Difatti in chiusura dell’ultima stanza il trovatore non esita a chiederle esplicitamente la sua ricompensa.