I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
I. Per amore e per diletto, e per mantenere la vera gioia, e, se posso, per fare piacere a colei dalla quale [mi] fu concessa, compongo una lieve canzonetta, e perché io seguo una regola tale che notte e giorno non mi abbandona l’amor cortese che porto a colei che ad amare mi fortifica.
II. E nonostante si sia menato rumore, poiché si dice che oggigiorno non può aver alcun valore comporre una canzone, certo per questo un amante cortese, quando è ben avviato sul cammino d’amore, non conviene che si astenga dal comporre canzoni, se sa farlo, benché tutti gli antichi dottori abbiano composto canti di cui si è loro molto riconoscenti.
III. Ma a causa di tracotanti censori non voglio affatto astenermi dall’offrire il mio devoto sapere, quando eleveranno al seggio, per il suo integro valore, il prode conte di Rodes, ser Enrico, a lodare il quale non si mente mai.
IV. Ma è questa un’epoca in cui c’è spesso chi canta con scarsa competenza, tediosamente e non dicendo il vero a chiunque di questo sia pago; e chi compone una canzone vera su un argomento decoroso non riesce a lui gradito tanto quanto sono strida servili, di cui gioia e canto e pregio si angustiano.
V. E non deve essere biasimato chi elogia ciò di cui dice il vero, anzi gli si deve essere riconoscenti quando elogia dichiarando quel che è la verità; ma chi elogio vano fa con argomenti mendaci, lo si deve senz’altro biasimare e avversare: e non perché lodi la mia signora, che non ha mai commesso errori.
VI. Se il nostro conte rinuncerà alla negra vecchiaccia, che assomiglia ad uno spaventapasseri da faveto, e cesserà di parlar male della mia, la più gentile, tutti ne saremo pienamente lieti.
VII. Donna Beatrice, di Lunelh, ha modi così affascinanti, che sono suoi amici devoti tutti quelli che la vedono tanto gentile: Dio l’ha resa perfetta!
5. «chansoneta leugeira».
7, gic: se gequir, giquir ‘lasciare, abbandonare’ (cfr. v. 44, in cui il senso è ‘astenersi da’, ‘cessare di’).
16. doctor è un’evidente allusione ai «doctors de trobar», che «an maistria | del sobiran trobar», nella Declaratio scritta da Guiraut Riquier, alla fine di giugno del 1275, in nome e per conto di Alfonso X, quale risposta (fittizia) alla Supplicatio da lui rivolta al re di Castiglia l’anno precedente (1274), e che Folquet conosceva certamente, visto che in quegli anni intercorrevano tra i due rapporti abbastanza stretti, attestati anche dai due partimens conservati a loro nome. Cfr. Emilio Vuolo, «Per il testo della supplica di Guiraut Riquier ad Alfonso X», Studi Medievali, 32, 1968, pp. 729-806, a p. 805.
39. Non trovo altra attestazione del sintagma far enic. SW dichiara «Unklar ist mir die Bedeutung der … Stelle» e cita, scarsamente convinto, la traduzione (‘ducken’) che ne dà Victor Lowinsky («Zum geistlichen Kunstliede in der provenzalischen Litteratur», Zeitschrift für französische Sprache und Literatur, 20, Berlin 1898, pp. 163-271). Poiché in genere le costruzioni con far + agg. equivalgono alla forma verbale derivata dall’aggettivo stesso, ritengo che su un significato di enic ‘abgeneigt’ (‘avverso, ostile’) si possa postulare, per l’espressione con far, il valore di ‘avversare’.
41. Controversa l’interpretazione di vilhassa neira; vilhassa sembra essere un hapax (né compare mai, nella poesia dei trovatori, il maschile vilhas, assunto a lemma in SW), tradotto da Lowinsky con ‘Dirne’; Levy preferisce invece intendere ‘häßliche Alten’, con rinvio a Frédéric Mistral (Lou Tresor dóu Felibrige ou dictionnaire Provençal-Français, Barcelona 1968, 2 voll.) che registra vieias, vieiasso con il valore di ‘vieux, vieille, en mauvaise part’ (cioè, ‘in senso peggiorativo’). Non v’è dubbio che etimologicamente la lettura di Lowinsky non ha riscontri. Il senso dell’allusione sembra comunque evidente: il conte di Rodes teneva presso di sé una cortigiana mora: che poi costei fosse effettivamente una vecchia più o meno decrepita, o che tale la vedesse Folquet confrontandola con la sua «genser», non è rilevante.
43, se laissar de: ‘rinunciare a, liberarsi di’ (SW ‘abstehen von’).
44. Rari gli esempi di genser in funzione di complemento; gli unici certi, o quasi, appartengono a trovatori della seconda metà del XIII secolo («per la genser» nella III strofa del partimen di Guiraut Riquier con Jordan IV de L’Isle-Jourdain, Raimon Izarn e Paulet de Marselha, BdT 248.77), o inseribili presumibilmente tra i rappresentanti delle ultime generazioni («ab la genser» nell’alba anonima BdT 461.3, secondo l’edizione di Carl August Friedrich Mahn, Gedichte der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1856-1873, vol. IV, corretto in «Ab la gensor» da Pillet-Carstens; e «que anc Dieus genser no·n volc far» nella canzone di Guilhem Godi Si·l gens cors d’estiu es remas, BdT 219.1). La stessa scarsità degli esempi e la loro concentrazione in epoca quasi certamente tarda, potrebbero avallare l’ipotesi che l’uso di genser al caso obliquo possa essere in pari misura attribuito ai copisti come ai poeti. Ma a favore di una responsabilità diretta di Folquet nella scelta di genser in questo luogo sta la concordanza tra i due testimoni.
46. Il «de Lunelh» è evidentemente riferito a Na Beatriz (v. 45) e «a» è forma di aver. Tutt’altro che raro, nella tornada, l’uso di distribuire tra due versi adiacenti il sintagma nominale che indica il destinatario: altri esempi in Folquet nelle tornadas di Si quon la fuelha el ramelh (BdT 154.6, vv. 49-50 «e·l pros coms... / de Rodes...»), in Guirautz, don’ap beutatz granda (BdT 154.2b, vv. 49-50 «Be·l senhers... | de Canpendut...); un caso analogo è quello dell’«enjambement» ai vv. 531-532 del Romans («car yeu, Folquet, de Mondana / Vid’ay fag Romans...»). Ma si potrebbe aggiungere che l’interpretazione esplicita (Beatrice di Lunel ha modi affascinanti) ne implica una più sottile (Beatrice vanta pregi che a Lunel sono usuali), e che Folquet abbia di proposito giocato sull’ambiguità di una duplice lettura, di cui mi sembra lecito tener conto.
Edizione e traduzione: Giuseppe Tavani 2004, con modifiche; note: Giuseppe Tavani. – Rialto 26.xii.2007.
C 324r, R 97rA-B 820.
Edizioni critiche: Franz Eichelkraut, Der Troubadour Folquet de Lunel, Berlin 1872 (rist. anast. Gèneve 1975), p. 17 (III); Federica Bianchi, BdT 154.4, Rialto 2003; Giuseppe Tavani, Folquet de Lunel, Le poesie e il Romanzo della vita mondana, Alessandria 2004, p. 46.
Altra edizione: Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provezalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1853, vol. III, pp. 164.
Metrica: a7 b7 b7 a7 c7’ c7’ d10 d10 (Frank 577:262, «Sirventés-chanson»). Cinque strofe unissonanti di otto versi più due tornadas di quattro versi.