Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
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Peire Vidal
Ajostar e lassar
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Peire Vidal
Ajostar e lassar
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Trad. it.
Note

I. Così bene so mettere insieme e legare parole e musica, che nella poesia ricca e preziosa nessuno riesce a starmi dietro, quando ne ho buon argomento. Ma la bella cui appartengo mi tormenta così come se io avessi commesso verso di lei un torto o un tradimento. Quando l’ho vista, a tal punto ha colpito il mio cuore avido, che sempre mi sforzo di ottenere il suo vantaggio, e non mi fa se non del male. Mi vuole male e non so perché, tranne che per il solo fatto che amo lei più di me.

II. Davvero sembra che mi abbia voluto allontanare dalla sua regione, quando mi ha fatto oltrepassare il mare, e di questo l’accuso. Ma non la temo, perché io l’ho servita con cuore puro, finché ho potuto senza riserve, e non ne ho avuto ricompensa, se non con un piccolo pegno. Sì che l’ho avuta [scil. una ricompensa], che un mattino sono entrato nella sua dimora e le ho rubato un bacio sulla bocca e sul mento. Questo ne ho avuto, e nient’altro, e sono davvero morto se si tiene il di più.

III. Mi fa molto spesso sospirare e piangere, mentre preferirei rallegrarmi e cantare, se le facesse piacere; ma ha cuore di drago, che a me parla con malumore e agli altri intorno sorride, e mi fa occhi da leone: per tale mancanza fece di me un pellegrino, che mai un pio pellegrino fu così forzato al pellegrinaggio. E se si vuol dire il vero, ognuno dovrebbe perseguire il suo bene, prima che un cattivo signore lo tratti male.

IV. Mi fa infiammare e bruciare come il fuoco il carbone. Quando la guardo, tanto vedo chiaramente i suoi occhi e il suo volto, che non conosco salvezza se cambio e mi distolgo dall’amarla. Ahi signori! come mi tiene nella sua prigione Amore, che vinse Salomone e anche Davide e il forte Sansone e li tenne nella sua prigione, che mai ebbero riscatto fino alla morte; e poiché mi tiene, dovrò stare alla sua mercé.

V. Mi fa sperare e attendere invano come un bretone, visto che mai l’amore o l’onore le ho contestato. Anzi, che Dio mi perdoni, mi sono allontanato da una tale che mi avrebbe dato un dono tanto grande che il buon re d’Aragona ne sarebbe onorato; e allora perché mi ha mandato in esilio? che io vi assicuro, quando ne sento dire la buona fama, una gioia perfetta mi impone di farne una canzone. E quindi poiché a tal punto l’amo e ho fiducia in lei non ci devo trovare malafede.

VI. Poiché non posso avere riposo né quiete in nessun momento, me ne voglio ritornare e andare al più presto fra Arles e Tolone di nascosto, perché preferisco qui un piccolo campo, che avere là Le Daron, o avere Le Toron o Ibelin: ma vili, falsi calunniatori avidi mi hanno mosso contesa e allontanato dal Peiro e Don Drogoman non mi ascolta né mi vede, perché allontana da sé il mio caro Amico.

VII. Invio la mia canzone laggiù, al mio amico Folcone, perché la canti per me in un luogo adatto ovunque gioia va e viene.

VIII. Mala sorte Dio faccia avere a colui che il conte d’Avignone ha messo in così dura lite con me, che Donna Vierna non mi vede.

IX. E mi affido a Tripoli, perché quando gli altri baroni cacciano via il pregio, lui lo mantiene e non lo lascia allontanare da sé.

1-5. Vanto di abilità poetiche in apertura. Sul registro del gap si veda Massimo Bonafin, La tradizione del Voyage de Charlemagne e il gabbo, Alessandria 1990, pp. 99-106, in particolare alle pp. 101-103 (si ripercorrono gli studi sulla natura letteraria del gabbare dedicati in maniera esclusiva o prevalente alla lirica occitana [problema genere / non genere e confronto con i gabbi epici]). Sugli stessi argomenti è tornato di recente John L. Grigsby, The gab as a latent genre in Medieval French Literature: Drinking and boasting in the Middle Ages, Cambridge 2000.

25-28. Si fa esplicito riferimento all’avventura del bacio rubato, argomento della razo di Pos tornatz sui en Proensa (BdT 364.37) (cfr. Jean Boutière - Alexander H. Schutz, Biographies des troubadours. Textes provençaux des XIIIe et XIVe siècles, Paris 1964, p. 361). Si ricordi con Avalle che il motivo del «bacio involato nel sonno» è già in Bernart de Ventadorn, Quan l’erba fresc’e·l foilla par (BdT 70.39), v. 41 e seguenti (cfr. Avalle, p. 356, nota 41).

68. Il bos reis d’Arago è Alfonso II (1162-1196) (Avalle, p. 41, nota 68).

80. Il territorio fra Arles e Tolone, corrispondente alla parte occidentale della contea di Provenza, di cui è signore Alfonso II d’Aragona, è compreso nell’odierno dipartimento delle Bocche del Rodano (Avalle, p. 41, nota 80).

83-85. Castelli e fortezze in Palestina (Lo Daro è un castello, capoluogo di una baronia di Gerusalemme [forse Deir-el-Bulat]; Lo Toro è una fortezza a sud-est di Tiro e Ibeli dal feudo di Ibelin fra Giaffa e Ascalona) (Avalle, p. 42, note 83, 84 e 85).

88. Il Peiro è uno dei quartieri di Tolosa, città di cui è signore Raimondo V, il comte d’Avinho del v. 96 (Avalle, p. 42, nota 88 e p. 43, nota 96). 

89. Drogomans, cui il Vidal, in base alla cronologia di Avalle, ha già dedicato il celebre vanto Drogoman senher, s’ieu agues bon destrier, è Guglielmo VIII di Montpellier, che nel 1187 ripudia (part de se) la moglie Eudossia di Costantinopoli (il car Amic del Vidal, per cui si veda BdT 364.9, vv. 1,13, 22) (da ultimo Avalle, vol. II, p. 221 e vol. I, p. 42, nota 90).

91. Folco è Folchetto di Marsiglia (cfr. Avalle, p. 43, nota 91).

99-102. La terza tornada, presente solo nel canzoniere D e assente nell’edizione Bartsch nonché nella prima edizione Anglade, è stata segnalata per la prima volta da Adolf Kolsen che ne identificò il destinatario (Adolf Kolsen, «Altprovenzalisches Nr. 1-2», in Zeitschrift für romanische Philologie, 38, 1917, pp. 578-585, alle pp. 584-585). Il signore di Tripoli (v. 99) è Raimondo II, cugino di Raimondo V di Tolosa, secondo reggente di Gerusalemme e signore di Tiberiade dal 1183 al 1187 (si veda da ultimo Avalle, p. 43, nota 99).

Testo

Edizione: d'Arco Silvio Avalle 1960; traduzione e note: Antonella Martorano. – Rialto 5.xii.2003.

Mss.

A 95r, C 37r, D 26v (è l’unico che conservi la terza tornada), H 7r, I 41r, K 28v, L 141r (adespoto), M 55v, N 90v, R 65v (gli ultimi 11 vv. della strofa 3 sono sostituiti dagli ultimi 11 della strofa 4 e viceversa), T 256v, Mh2 1, c 59r, e 1.

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizioni critiche: Karl Bartsch, Peire Vidal’s Lieder, Berlin 1857, p. 19 (VII) (secondo CIKLMNRT); Joseph Anglade, Les poésies de Peire Vidal, deuxième édition revue, Paris 1923 (Les classiques français du moyen âge, 11), p. 61 (XX) (aggiunge varianti di AHc); Peire Vidal, Poesie. Edizione critica e commento a cura di d’Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli 1960, II voll., vol., I, p. 33 (III) (testo secondo il «codice antico»).

Altre edizioni: Frede Jensen, Troubadour Lyrics: A Bilingual Anthology, New York 1998, p. 312 (testo Avalle; con traduzione inglese); Veronica Fraser, The Songs of Peire Vidal. Translation and Commentary, New York ecc., 2006, p. 37.

Metrica e musica

Metrica: (a)a3+3 b6 (a)a3+3 b6 b6 (c)c3+3 b6 b6 b6 (c)c3+3 b6 b6 b6 d8 d8 (Frank 103:1). Canzone di sei coblas unissonans di quindici versi con quattro rimalmezzo ai vv. 1, 3, 6 e 10 di ogni cobla, più tre tornate di quattro versi. Si veda la canzone di Raimon de Miraval, S’eu en chantar soven (BdT 406.38), l’unica, insieme alla nostra, che sia composta su stanze di versi maschili di sei sillabe chiuse da una coppia di versi maschili di otto sillabe (Frank 198:1). Mot tornat en rim ai vv. 32, 77 (sazo) (tutti i mss. sono concordi tranne D che al v. 77 ha una lectio singularis).

Informazioni generali

La canzone è stata scritta sicuramente prima del 3 ottobre 1187 (data della conquista di Gerusalemme da parte del Saladino e anno della morte di Raimondo II, il destinatario del componimento), forse, più precisamente, prima della disfatta dei cristiani a Hattin (4 luglio 1187) a cui manca qui qualsiasi accenno (cfr. Avalle, p. 36 e Ernest Hoepffner, Le Troubadour Peire Vidal. Sa vie et son oeuvre, Paris 1961, p. 57).

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