I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
I. Mi piace tanto la compagnia gioiosa di uomini di valore, che, buon re, faccio velocemente una canzone tale che vi prego di prenderne conoscenza. E se mi domandate: «Perché cantate così spesso?» – «Perché è una noia per i vili e una gioia per noi che siamo allegri».
II. E sappiate che, se io fossi amato, ascoltereste da me canzonette finissime e di pregio, giacché ora che sono maltrattato compongo parole meravigliose con melodie dorate, e l’amore non mi aiuta in questo e non canto se non del mio cercare.
III. Creatura gentile, ben educata, abbiatene mercé. Pietà, consigliatela voi, perché io sono oppresso e tormentato. Ahi signora!, proteggete il mio cuore e non mi uccidete, che sarà inganno e torto e peccato, se io muoio senza speranza.
IV. Sarei meglio appagato di chiunque, se il bacio rubato mi fosse dato o anche solo concesso. E non voglio che mi domandiate dov’è tutto il mio diletto, perché molto facilmente mi fareste del male. Perché spesso la cupidigia fa cadere in fallo i più educati.
V. Poiché la bellezza rende temerari i più saggi, davvero è sciocco chi non si tiene celato. Ma io sono così stregato, se parlate con la mia dama, che non posso muovermi dal suo fianco: o sono un geloso provato, o del tutto innamorato.
VI. La viltà ci ha ingannati con piccoli dadi truccati, e da qui nasce l’avarizia. Signor Rainier, non smettete di non far mai altro che bene, finché avete vita. Perché un uomo ricco, giovane e avaro vale meno di un morto sotterrato.
VII. Donna Vierna, vorrei che il mio Castiatz mi desse tregua, perché sono tornato in Provenza a morire come lepre nella tana.
VIII. Neve e ghiaccio, perché non cessate? Già viene l’estate. E, bei prati, perché non rinverdite? Perché io sono più innamorato, grazie a lei che abbraccio, del nostro vano imperatore; mentre lui ha perduto, sappiatelo, settecento soldi, e non ha mai tenuto in mano i dadi.
41. L’immagine dei datz plombatz è in Marcabru, Estornel cueill ta volada (BdT 293.25), vv. 27-33 (cfr. Avalle, p. 48, nota 41). Si vedano anche Bertran de Born, No posc mudar un chantar non esparga (BdT 80.29), v. 20; Arnaut Daniel, Lanquan son passat li giure (BdT 29.11), v. 25. L’immagine di un dado plombat si trova già, ma con diverso e più malizioso significato, in Guglielmo IX, Ben voill que sapchon li pluzor (BdT 183.2), vv. 43-62 (cfr. Aurelio Roncaglia, «La tenzone tra Ugo Catola e Marcabruno», in Linguistica e filologia. Omaggio a Benvenuto Terracini, Milano 1968, pp. 203-254, alle pp. 237-238).
Edizione: d'Arco Silvio Avalle 1960; traduzione e note: Antonella Martorano. – Rialto 9.xii.2003.
A 97r, C 37v, D 24r, Dc 248v, H 25r, I 41v, K 29r, M 54r, N 92r, Q 74r, R 47v, b3 23, c 62r, ca 26, e 31.
Edizioni critiche: Karl Bartsch, Peire Vidal’s Lieder, Berlin 1857, p. 40 (XX) (secondo CDcHIKMNR); Joseph Anglade, Les poésies de Peire Vidal, deuxième édition revue, Paris 1923 (Les classiques français du moyen âge, 11), p. 83 (XXVI) (con varianti di AQcca); Peire Vidal, Poesie. Edizione critica e commento a cura di d’Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli 1960, 2 voll., vol. I, p. 44 (IV) (testo secondo il «codice antico»).
Metrica: 3a 4a 4a 3a 5a 7a 5a 7a 7a 7a oppure 7a 7a 5a 7a 5a 7a 7a 7a (Frank 7:2 con un errore nello schema metrico già segnalato in Peire Vidal, Poesie, p. 46). Canzone unissonans monorima di 6 coblas, ognuna delle quali può essere divisa in 8 versi (con una rimalmezzo nel primo e nel secondo) o in 10 versi e una tornada di 4 versi. I vv. 53-60 dell’edizione Avalle costituiscono in realtà una risposta per le rime (BdT 461.175a) a questa canzone del Vidal, saldatasi ad essa in una parte della tradizione manoscritta (mss. AQb3c; secondo Avalle è un’innovazione di Qc passata per contaminazione nel subarchetipo comune di Ab3 [cfr. Peire Vidal, Poesie, p. 45]).
La canzone è stata composta prima del 1192, data della morte di Raimon Jaufré Barral, citato al v. 44 (En Rainiers) e dopo il ritorno del poeta in Provenza dall’Oriente (cfr. v. 51), cioè la primavera del 1188 (cfr. Avalle, p. 46). Il terminus post quem varrà anche per il contrafactum di questa canzone, sicuramente composto dopo la primavera del 1188; probabilmente scritto dopo il 1204-1205, data di composizione di Neus ni gels ni ploja ni faing (BdT 364.30), il cui incipit è qui forse parodiato; e sicuramente prima del 1210, termine massimo dell’attività di Peire Vidal, che la parodia suppone in vita (si veda la scheda di BdT 461.175a in BedT. Assente nell’edizione Bartsch, quest’ultima cobla è stata pubblicata nelle «Notes Critiques» dell’edizione Anglade, p. 173, nella versione di c (cfr. Avalle, p. 46).