Rialto    IdT

16.13

 

   

Albertet

 

 

 

 

   

I.

   

En amor trob tantz de mals seignoratges,

   

tant lonc desir e tantz malvatz usatges,

   

per q’ieu serai de las dompnas salvatges,

4  

ni no·is cuidon qu’eu oimais chant de lor;

   

car estat ai lor hom e lor messatges

   

et enanssat lor pretz e lor valor:

   

c’anc no·i trobiei mas destrics e dampnatges,

8  

gardatz oimais si dei chantar d’amor!

   

 

   

II.

   

D’amor non chan ni vuoill aver amia

   

bella, ni pro, ni ab gran cortesia,

   

c’anc no·i trobiei mas engan e bauzia,

12  

e fals semblan messongier trahidor;

   

e qand ieu plus la cuich tener per mia,

   

adoncs la trob plus salvatga e pejor:

   

doncs ben es fols totz hom q’en lor si fia,

16  

et ieu meteus ai part en la follor.

   

 

   

III.

   

Era gardatz de lor amor si greva:

   

qe·ill primieira sap hom que fo na Eva,

   

que fetz a Dieu rompre covenz e treva,

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don nos em tuich enqeras pechador;

   

per que fai mal totz hom c’ab ellas treva,

   

puois c’om non pot conoiser la meillor;

   

tals las lauza no sap d’amor qe·is leva,

24  

c’anc non ac joi ni plazer ni dolor.

   

 

   

IV.

   

Q’el mon non es duchessa ni reïna,

   

si·m volia de s’amor far aizina,

   

q’ieu la preses, ni la comtessa fina

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de Proenssa, c’om ten per la genzor;

   

de Salussa no vuoil que n’Agnesina

   

mi retenga per son entendedor,

   

ni·l comtessa Biatritz sa cosina

32  

de Vianes, ab la fresca color.

   

 

   

V.

   

Si Salvatga la bella d’Auramala,

   

qe de bon pretz a faich palaitz e sala,

   

non s’o tengues ad orguoill ni a tala,

36  

non amera ni lieis ni sa seror,

   

si tot de pretz son en l’aussor escala

   

e son fillas d’en Colrat, mon seignor;

   

pero s’amors m’agra ferit sotz l’ala,

40  

s’amar degues, mas non ai ges paor.

   

 

   

VI.

   

Si n’Alazais de Castel e de Massa,

   

que tot bon pretz ajosta et amassa,

   

m’en pregava, tota·n seria lassa

44  

anz que m’agues conquist per amador.

   

Gardatz cum es bella, fresca e grassa!

   

Sembla rosa novella de pascor,

   

e siei beill huoill lanson cairel que passa

48  

del cors al cor, ab una gran doussor.

   

 

   

VII.

   

Si·m donava s’amor la pros comtessa,

   

cill del Carret, q’es de pretz seignoressa,

   

non faria per lieis un’esdemessa,

52  

(gardatz s’ieu ai dich orguoill ni follor!),

   

que jes mos cors plus en dompnas non pessa;

   

enans lor er a percassar aillor,

   

ni jes no vuoill que neguna m’aguessa

56  

colgat ab se desotz son cobertor.

   

 

   

VIII.

   

Domnas, huimais non voill vostra promessa,

   

ni non serai de vos entendedor.

   

 

   

IX.

   

Seign’en Colrat, grans es vostra despessa,

60  

don poja ades e creis vostra lauzor.

 

 

Traduzione [FS]

I. In amore trovo tanti cattivi modi di dominare, così lungo struggimento e così malvagie regole, che sarò spietato nei confronti delle dame, e non credano che d’ora in avanti io canti di loro; e sono stato loro vassallo e loro messaggero e ho innalzato il loro pregio e il loro valore: giacché non ci trovai se non pene e dolori, giudicate se d’ora in poi devo cantar d’amore!

II. Non canto d’amore e non voglio avere amica bella, né nobile, né di gran cortesia, perché non ci trovai se non inganno e bugia, e falsa apparenza menzognera e traditrice; e quanto più credo di averla conquistata, allora la trovo più distante da me e più cattiva: dunque è ben folle chiunque si fida di loro, e io stesso ho parte nella follia.

III. Ora giudicate se il loro amore arreca danno: la prima si sa che fu donna Eva, che fece infrangere accordi e tregua con Dio, per cui siamo ancora tutti peccatori; perciò ciascuno che viene a patti con loro sbaglia, visto che non è possibile riconoscere la migliore; se qualcuno le loda non sa che cosa comporta amore, e non ha mai avuto gioia né piacere né dolore.

IV. Al mondo non c’è duchessa né regina che io sarei pronto ad accettare, se volesse farmi offerta del suo amore, nemmeno la sincera contessa di Provenza, che è considerata la più gentile; né voglio che Agnesina di Saluzzo mi prenda come suo innamorato, e neppure sua cugina la contessa Beatrice di Viennese, dal fresco colore.

V. Se la bella Selvaggia di Oramala, che ha fatto di buon pregio palazzo e sala, non considerasse ciò orgoglio o difetto, non amerei lei né sua sorella, sebbene siano sul più alto gradino di virtù e siano figlie di Corrado, mio signore; tuttavia il loro amore mi ferirebbe sotto l’ascella, se dovessi amare, ma di ciò non ho affatto timore.

VI. Se donna Adalasia del Castello e di Massa, che riunisce e raccoglie tutto il nobile valore, mi pregasse, ne sarebbe del tutto stanca prima di avermi conquistato come amante. Guardate come è bella, fresca e prosperosa! Sembra una rosa novella di primavera, e i suoi begli occhi lanciano una freccia che passa dal corpo al cuore, con grande dolcezza.

VII. Se mi donasse il suo amore la contessa valente, quella del Carretto, che è signora di virtù, non mi lancerei per lei, (valutate se ho detto una presunzione o una sciocchezza!), perché il mio cuore non pensa più alle dame; piuttosto toccherà loro cercare altrove, e non voglio affatto che alcuna mi tenga disteso con sé sotto la sua coperta.

VIII. Dame, non voglio d’ora in poi la vostra promessa, e non sarò più il vostro innamorato.

IX. Signor Corrado, la vostra generosità è grande, per cui si eleva sempre e cresce la vostra fama.

 

 

 

Testo: Sanguineti 2012, con modifiche. – Rialto 16.vi.2015.


Mss.: A 55r, C 238r, D 76v, E 90, G 80r, I 133v, K 119v, M 127v, O 20, R 58v.

Edizioni critiche: Carl Appel, Bernart von Ventadorn: seine Lieder mit Einleitung und Glossar, Halle 1915, p. 291; Jean Boutière, «Les poésies du troubadour Albertet», Studi medievali, 10, 1937, pp. 1-129, a p. 43; Andrea Poli, Aimeric de Belenoi. Saggio di edizione critica (BdT 9.5, 9.9, 9.10, 9.21 e 16.13), Napoli 1992, p. 61; Aimeric de Belenoi, Le poesie, ed. a cura di Andrea Poli, Firenze 1997, p. 278; Gilda Caïti-Russo, Les troubadours et la cour des Malaspina, Montpellier 2005, p. 335; Francesca Sanguineti, Il trovatore Albertet, Modena 2012, p. 181.

Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 16 (riproduce il testo Appel con lievi modifiche); Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 59 (testo Appel).

Metrica: a10’ a10’ a10’ b10 a10’ b10 a10’ b10 (Frank 57:3). Canzone di sette coblas singulars composte da otto decenari, più due tornadas di due versi ciascuna. Rime: -atges, -ia, -eva, -ina, -ala, -assa, -essa (a), -or (b). Costituisce il modello metrico di Tant es d’amor honratz sos seignoratges (BdT 9.21), replica di Aimeric de Belenoi, che riprende da Albertet non solo lo schema metrico e le rime, ma anche le medesime parole in rima in uguale ordine. Lo schema metrico originale ha dato inoltre vita ad altre tre imitazioni: lo ritroviamo nella tenzone tra Folquet de Lunel e Guiraut Riquier, Guirautz, pos em ab senhor cui agensa (BdT 154.2a = 248.38), nella cobla di Sordel, Si tot m’asaill de sirventes Figeira (BdT 437.33), e nel sirventese di Peire Cardenal, Tals cuida be aver filh de s’esposa (BdT 335.52); cfr. Frank 57. Per quanto riguarda il sirventese di Peire Cardenal, repertoriato in Frank 259:1, si rimanda alle osservazioni fatte da John H. Marshall, «Imitation of Metrical Form in Peire Cardenal», Romance Philology, 32, 1978-1979, pp. 18-48, a p. 41, il quale ha messo in luce che, se si prescinde dalle rime interne presenti in cesura, il componimento riproduce lo stesso schema metrico della canzone di Albertet. Un collegamento interstrofico secondo il principio delle coblas capfinidas è presente tra le prime due strofi. La rima b è invariabile.

Ed. 2012: 56 coberton.

Note: La canzone di Albertet è databile non prima del 1221, come suggerisce anche Gianfranco Folena, Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 1-137, a p. 41, quando cioè il trovatore soggiornava presso Corrado Malaspina nel castello di Oramala. Come infatti sottolinea De Bartholomaeis, dai vv. 33-38 apprendiamo che Albertet si trovava, all’epoca in cui compose il testo, presso la corte di Corrado Malaspina, che viene qui menzionato insieme alle due figlie, Selvaggia e Beatrice, ed è esplicitamente definito mon seignor. La datazione è inoltre provata anche dall’accenno alla nobile contessa di Provenza, al v. 27, cioè a Beatrice di Savoia, figlia di Tommaso I e andata in sposa a Raimondo Berengario IV di Provenza intorno al 1220, per cui il componimento va necessariamente ritenuto successivo.

1. Per il primo verso Albertet sembra trarre spunto, come già segnalato da De Bartholomaeis, alla cui nota rimanda anche Boutière, dalla canzone di Bernart de Ventadorn, Can vei la flor, l’erba vert e la folha (BdT 70.42), v. 15: «Mas en amor non a om senhoratge». Proprio la somiglianza dell’incipit con questo verso spiega l’attribuzione della canzone a Bernart de Ventadorn da parte di R e dell’indice di C.

27-28. La nobile contessa di Provenza, che viene qui menzionata e a cui fa riferimento anche Aimeric de Belenoi, va identificata in Beatrice di Savoia, figlia del conte Tommaso I e andata in sposa a Raimondo Berengario IV nel 1220, data quest’ultima che aiuta a fissare il terminus a quo del componimento. Su Beatrice di Savoia, che fu cantata da molti trovatori, cfr. anche Fritz Bergert, Die von den Trobadors genannten oder gefeierten Damen, Halle 1913, pp. 44-47.

29. La lezione Salussa, già proposta da Appel e accolta da De Bartholomaeis, Boutière e Caïti-Russo, è ricostruita sulla base della varia lectio dei codici e trova una conferma nella risposta di Aimeric de Belenoi, Tant es d’amor honratz sos seignoratges (BdT 9.21). I mss. CER leggono infatti salutz, O saluda, varianti che si avvicinano a Salussa (G ha per guasto saluaza). Più difficile è comprendere l’errore generatosi nella famiglia di testimoni ADIK, in cui D legge plazasc e IK plosas, mentre A tramanda addirittura polomnac. Le grafie plazasc e plosas rimandano a Piossasco, in Piemonte, è perciò possibile che A abbia sostituito il nome proprio di una località italiana con quello di una località francese (Polignac in Alvernia) nota al copista. La lezione tràdita da DIK trova invece un parallelo nella Treva di Guillem de la Tor, Pos n’Aimerics a fait far meslança e batailla (BdT 236.5a), dove ai vv. 23-24 si parla proprio di alcune dame di Piossasco: «e cellas de Plozacs, cui jois e prez agrada, / venon a esperon a la treva nomnada». Secondo Poli proprio questo confronto può aiutare a comprendere l’errore di ADIK, che avrebbero in questo caso interpolato il testo. Il riferimento fatto da Albertet è quindi con certezza ad Agnesina di Saluzzo, nome non compreso e variamente alterato dai copisti (CE leggono erroneamente nelguizina / naguizina, mentre R rielabora l’intero verso). Che si tratti di Agnesina di Saluzzo è inoltre provato dai successivi vv. 31-32, in cui il trovatore fa accenno alla parentela con Beatrice di Monferrato, cugina appunto di Agnesina. Giulio Bertoni, «Agnesina di Saluzzo e Agnesina di Piossasco», Archivum Romanicum, 24, 1940, pp. 422-423, ritiene che la variante Piossasco del gruppo DIK sia dovuta all’intervento attivo da parte di copisti italiani della metà o della fine del secolo XIII, che avrebbero sostituito il nome di Agnesina di Saluzzo con quello della cronologicamente più vicina, anche se meno celebre, Agnesina di Piossasco, la quale disponeva per testamento dei suoi beni il 18 sett. 1275 e il 5 lugl. 1278. Per Agnesina di Saluzzo, figlia di Bonifacio di Saluzzo e di Maria la Sarda, sorella perciò di Manfredi III, chiamata Agnesina proprio per distinguerla dalla zia Agnese e di cui non si hanno più notizie a partire all’incirca dal 1220, cfr. Dizionario biografico degli italiani (DBI), Roma 1960-, vol. I, p. 438; De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, pp. 17-18 e Bergert, Die von den Trobadors, pp. 92-93.

31-32. Il riferimento è a Beatrice di Monferrato, figlia di Guglielmo IV, che sposò il delfino di Vienna Andrea nel 1220, per cui Albertet la definisce al verso seguente de Vianes. Il trovatore menziona inoltre il legame di parentela con Agnesina di Saluzzo, cugina di terzo grado. Su Beatrice di Monferrato cfr. De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 18, e Bergert, Die von den Trobadors, pp. 91-92. Come fa notare giustamente Caïti-Russo, Poli sembra confondere questa figura con la destinataria principale del Carros di Raimbaut de Vaqueiras, che è Beatrice di Monferrato, figlia del marchese Bonifacio I.

33. Salvatga è la figlia di Corrado Malaspina e la sorella di Beatrice, alla quale Albertet fa un accenno al v. 36 (sa seror), ed è la protagonista della Treva di Guillem de la Tor, incentrata appunto sulla fine della disputa tra le due sorelle per chi detenga il primato di valore e virtù. Cfr. Bergert, Die von den Trobadors, pp. 85-86.

38. Colrat è Corrado Malaspina, padre di Selvaggia e Beatrice, ed è il dedicatario del componimento (cfr. v. 59). Albertet, che già aveva trovato ospitalità presso Guglielmo Malaspina, si rivolge a Corrado anche nel congedo della canzone Mout es greus mals de qu’om no s’auza planher (BdT 16.18), in cui esprime ai vv. 41-42 il desiderio di vederlo.

41. In Alazais va riconosciuta, come individuato da Poli, Adelasia di Torres, qui citata come Adelasia di Castello e di Massa, figlia del giudice di Torres (Logudoro) Mariano e di Agnese di Massa, con la quale la identificarono erroneamente De Bartholomaeis e Boutière. Secondo Francesco Torraca, Le donne italiane nella poesia provenzale, Firenze 1901, p. 30, il riferimento è invece alla moglie di Guglielmo di Massa, Adelaide Malaspina, in realtà madre di Agnese e nonna del personaggio menzionato, per cui l’identificazione si rivela incompatibile dal punto di vista cronologico. Per Adelasia di Torres cfr. DBI, vol. I, pp. 255-257, e Aurelio Roncaglia, «“Angelica figura”», Cultura neolatina, 45, 1995, pp. 41-65. Segnaliamo, da ultimo, un recentissimo contributo divulgativo di Alessandro Soddu, I Vandali, Bisanzio e il Medioevo dei Giudici, in La Sardegna. Tutta la storia in mille domande, a cura di Manlio Brigaglia, 10 voll., Sassari 2011, vol. IV, n. 357 (Benedetta di Massa. Perché le giudicesse erano mogli ambite? Per esempio, Benedetta di Massa), pp. 127-128, che propone un’interpretazione alternativa rispetto alla vulgata, suggerendo il riconoscimento della dama ricordata da Albertet in Benedetta di Massa, figlia di Guglielmo di Massa e, pertanto, sorella di Agnese e zia di Adelasia.

49-50. La contessa del Carretto, cantata da Albertet e in seguito da Aimeric de Belenoi nel suo sirventese, va forse identificata, come proponeva De Bartholomaeis, in Agata dei conti del Genovese, moglie di Enrico II del Carretto. Una contessina del Carretto è anche nella Treva di Guillem de la Tor, al v. 31, e secondo Torraca, Le donne italiane, p. 42, n. 2, potrebbe trattarsi del medesimo personaggio, identificabile nella figlia di Enrico II e di Agata dei conti del Genovese, andata in sposa a Gratapaglia e di cui non ci è pervenuto il nome.

56. La forma erronea coberton, refuso presente nell’edizione critica a stampa, è stata qui emendata in cobertor (forma corretta con rima in -or).

[FS]


BdT    Albertet   IdT

Circostanze storiche