Rialto    IdT

461.200

 

   

Anonimo

 

 

 

 

   

I.

   

Quant [eu] escavalcai l’autr’an

   

per lo chastel de Montejan,

   

escavalcai per Jacobin

   

qe mester en avia gran;

5  

e regardai jus en una valeta,

   

la u tuta ren luis e resplan

   

per la clartat d’un’avinent roseta

   

qe s’en vai sola deportan.

   

Vau m’en a le, josta le a l’umbreta

10  

e salutai la enclinan.

   

 

   

II.

   

Mon salut me rent tremolan:

   

«Segner, Deu vos meta en bon an

   

e vos don zo qe anaz qiran,

   

a ço q’eu non i aia dan.

15  

Deu confonda Roberzon et Audeta:

   

ja mais m’amistat non auran,

   

q’encoi tot jor m’an lassata soleta,

   

lo quals no m’aven mais ojan;

   

no·l farai [mai]; mais no·s vi tant nessieta:

20  

ben sai q’en coi lo conpraran».

   

 

   

III.

   

«Tosetta de bella faizon,

   

ben saveç dir vostra raison;

   

laissaz estar questo sermon,

   

qe trobat avez compaignon

25  

per cui serez aunorada e servida

   

mais trestant qe de Roberzon.

   

Ne trovareç a jor de vostra vida

   

si tost ve·n renda gederdon

   

cum effarai se vos m’estat aisida

30  

de zo q’eu vos querrai per don».

   

 

   

IV.

   

«Segner, no m’es bel ni m’es bon

   

qe ja mon cors vos abandon.

   

Ben me podez querir tal don,

   

q’eu vos diria ben de non.

35  

Ja Deu non plaz qu’eu faz[a] tal fallida

   

– e s’eu la faz, non me·l perdon –

   

qe vos digaz qe vos m’amaç chausida;

   

en ver, s’eu força[da] non son,

   

tant malament m’avez oi assallida,

40  

a coitada del esperon».

   

 

   

V.

   

«O toseta, s’el ve plaugues

   

humilitat e chausiment,

   

ancor n’ai mais de cinqecent

   

entre cosin, frer’e parent,

45  

per tuttu zo remaner non poiria;

   

no sui tant coat ni tant lent

   

qe·l pro Guillem Ma[la]s[p]ina diria

   

q’eu fust coart et recredent

   

qel qu’e[s] signor de la cavalaria,

50  

de las armas pro e valent».

 

Traduzione [gb]

I. Quando cavalcai l’anno scorso verso il castello di Montigiano, cavalcai in cerca di un domenicano perché ne avevo grande bisogno; e guardai giù in una valletta, là dove ogni elemento riluce e risplende per il chiarore di una bella rosellina che si diverte da sola. Me ne vado da lei, vicino a lei all’ombra, e la salutai con un inchino.

II. Mi restituisce il saluto tremando: «Signore, Dio vi conceda buona sorte e vi doni ciò che andate cercando, a patto che io non ne abbia danno. Dio confonda Robertino e Audetta: non avranno mai la mia amicizia, perché oggi mi hanno lasciata sola tutto il giorno, e questo non è mai capitato quest’anno; non lo farò più; non si è mai vista una tanto sempliciotta: so per certo che oggi la pagheranno».

III. «Tosetta di bell’aspetto, sapete proprio spiegare le vostre idee; lasciate stare questo sermone, perché avete trovato un compagno dal quale sarete onorata e servita tre volte di più che da Robertino. Non troverete in nessun giorno della vostra vita chi vi dia una ricompensa tanto velocemente quanto farò io, se voi mi sarete accomodante di ciò che vi chiederò in dono».

IV. «Signore, non mi è bello né gradito che vi conceda mai il mio corpo. Assai mi potete chiedere questo dono, ma io vi dirò assai di no. A Dio non piace proprio che io faccia questo sbaglio – e se lo faccio, non me lo perdoni –, cioè che voi possiate dire che amate me che vi sono indulgente; in verità, se non vengo forzata, oggi mi avete assalita in modo davvero sgradevole, con tanta fretta».

V. «Tosetta, se vi piacessero umiltà e pietà, ne ho ancor più di cinquecento tra cugini, fratelli e familiari, per tutto ciò non potrei rimanere; non sono tanto viziato né tanto lento che il valoroso Guglielmo Malaspina possa dire che io sia codardo e mi tiri indietro, lui che è un signore di cavalleria, valoroso e prode con le armi».

 

 

 

Testo: Caïti-Russo 2005, con modifiche di gb, anche relative all’interpunzione. ‒ Rialto 29.ii.2020.


Ms.: Q 4v.

Edizioni critiche: William Paden, The Medieval Pastourelle, 2 voll., New York - London 1987, p. 96; Gilda Caïti-Russo, Les troubadours et la cour des Malaspina, Montpellier 2005, p. 124; Peter T. Ricketts, «Quant eu cavalcava l’autr’an (PC 461,200): édition et traduction», Revue des langues romanes, 110, 2006, pp. 451-456.

Altra edizione: Pastorelle occitane, a cura di Claudio Franchi, Alessandria 2006, p. 327 (testo Caïti-Russo, con modifiche).

Metrica: Pastorela (definita balada in rubrica) in cinque coblas doblas incompleta (manca l’ultima strofa, ma il caso non è isolato nel panorama provenzale) con formula a8 a8 a8 a8 b10’ a8 b10’ a8 b10’ a8 (Frank 26:1; unicum). Rime: -an (-er, -in), -on, -en (-és) (a); -éta, -ida, -ia (b). Un’ultima strofa potrebbe essere caduta in quanto la strofa V conteneva il nome del destinatario. Le rime presentano diverse irregolarità, talvolta emendate dagli editori, probabilmente a torto perché l’imperizia linguistica dell’autore non è circoscritta a questi soli fatti: cfr. vv. 1, 3, 19, 41.

Ed. Caïti-Russo: 2 Montigiano, 12 Deu, 15 Deu, 20 no·l farai mais, 49 q’el es.

Note: Il componimento si colloca forse prima della fine d’aprile del 1220, quando morì Guglielmo Malaspina, che pare nominato nella strofa V (cfr. Circostanze storiche). — Il testo presenta dei vistosi italianismi, o meglio toscanismi, che l’edizione di Caïti-Russo preserva il più possibile; è in effetti probabile che almeno una parte di essi risalga all’autore, d’origine probabilmente toscana nordoccidentale (cfr. Stefano Resconi, «La lirica trobadorica nella Toscana del duecento: canali e forme della diffusione», Carte Romanze, 2, 2014, pp. 269-300, alle pp. 278-279), soprattutto quando tali forme hanno conseguenze metriche come al v. 43. Caïti-Russo sostiene che una parte di esse può essere riconducibile anche a un sostrato ligure-genovese, volendo con questo ricondurre la genesi della pastorella alla Lunigiana dei Malaspina; il fatto resta, tuttavia, incerto sia perché l’afferenza di tali forme al ligure avviene solo in presenza delle corrispondenti toscane, sia perché la Lunigiana storica non fa parte del dominio linguistico ligure né di quello toscano, che la lambiscono a ovest e a est, bensì rappresenta un sottogruppo di quello emiliano. Le forme interessate sono: la terminazione -ai del perfetto al posto del prov. -ei (v. 1, 5, 10), per (v. 3) direttivo al posto di ves, la qual cosa (v. 18), certamente toscano, corretto in ugual modo da Paden e Caïti-Russo (in «lo cals»), tosetta (v. 21) con la geminata, questo (v. 23), ve (v. 28; da intendersi come pronome combinato, it. ve ne; cfr. v. 41) per vo, effarai (v. 29) geminazione di area lucchese dovuta all’incontro di pronome e verbo, estat (v. 29) per estatz, ve (v. 41; cfr. v. 28) per vos, cinqecent (v. 43) per cinc cent, tuttu (v. 45) per tot, signor (v. 49) per segner, a cui si possono aggiungere anche altre forme già rabberciate dal copista: claratat (v. 7) con la seconda a espunta, soletta (v. 17) con la prima t espunta.

1. Il ms. legge: «quant escavalcai lautrer». Il verso è ipometro. Seguendo Paden, Caïti-Russo introduce il pronome soggetto e, in più rispetto a Paden, corregge la rima errata: lautrer diventa «l’autr’an» (anche se nella traduzione permane «avant-hier»). La proposta alternativa di Ricketts è più invasiva: «Quant eu cavalcava l’autr’an» ed elimina il verbo escavalgar che è presente anche al v. 3. Caïti-Russo vede inoltre nel verbo escavalgar, non attestato in provenzale, un italianismo da scavalcare, con un valore intensivo che però si ritrova in epoca più tarda (il GDLI fornisce un esempio del XV secolo). Da scartare, anche se allettante in riferimento allo scollinare da un versante all’altro della montagna (per l’ubicazione cfr. nota al v. 2), è anche il significato ‘superare, oltrepassare’, che è ancora più tardo. Tra i significati antichi dell’italiano potrebbe essere adatto ‘smontare da cavallo’, o estensivamente ‘fare una sosta, una tappa’, a cui però dovrebbe seguire un complemento di stato in luogo. Nella traduzione si assume il verbo come corrispettivo toscanizzante, anche se non trasparente nel suo uso, del prov. cavalgar, che è verbo stereotipato nell’incipit di una pastorella.

2. Montejan, che deve essere rettificato nell’edizione di riferimento dove è stampato «Montigiano» confluito anche in Resconi («La lirica trobadorica», p. 279), è luogo che Caïti-Russo propone di identificare con Montigiano (ant. Montisciano) sulla propaggine montuosa che divide Lucca da Viareggio (in questa chiave escavalgar si spiegherebbe come ‘oltrepassare’, ma si vedano le remore nella nota al v. 1). La proposta è – mi sembra – da accogliere: il casale presente in quel luogo è attestato fin dal X secolo, anche se non costituiva un chastel, ma questa indicazione potrebbe essere un’iperbole scherzosa (su Montigiano cfr. Emanuele Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca Garfagnana e Lunigiana, 6 voll., Firenze 1833-1846, vol. II, s.v.).

3. Jacobin erano detti, verso la fine del secondo decennio del XIII secolo, i frati predicatori di San Domenico, i domenicani. Secondo Paden e Ricketts, quindi, il cavaliere sta cercando un frate, la cui introduzione nel discorso doveva avere un’intenzione comico-antifrastica rispetto a ciò che si racconta in seguito. Caïti-Russo non crede che si tratti di un frate, bensì di un giullare, lo stesso nominato nello scambio di coblas tra Aimeric de Pegulhan e Guilhem Figueira (BdT 10.9 = 217.1a. v. 3), ma la prima opzione, a mio avviso, è preferibile, perché non si vede in quale chiave venga introdotta qui la menzione di un personaggio che non ha nessuna funzione nel testo (Resconi, «La lirica trobadorica», p. 281, conviene invece con Caïti-Russo in virtù del sostrato toscano del testo visibile anche nel suddetto scambio di coblas). Di Ricketts non si può, invece, accettare la completa riscrittura del verso («anava jacobin cercan»), per sopperire alla mancanza di rima. Si dovrebbe qui avere una rima -an, ma, se l’irregolarità non è originale, il verso si presenta così corrotto da sconsigliare ogni tentativo d’emendamento.

6. Il verso è ipermetro; Ricketts elimina «la», mentre Caïti-Russo preferisce considerare «la u» come monosillabico (in effetti scritto unito nel codice). La forma «u» (< lat. UBI) è un altro possibile toscanismo attestato anche in Dante ed è seguito da un’altra forma toscaneggiante («tuta» per tota).

7. La roseta, che richiama la tosetta del v. 21, è la donzella che il cavaliere vuole blandire.

9. Per le forma lombarda, emiliana e genovese del pronome femminile di terza persona, si veda Caïti-Russo, Les troubadours, p. 127, nota 9. Per «a l’umbreta» il codice legge alimibreta.

15. Evidentemente due compagni della donzella.

18. lo cals è nesso relativo; nel ms. si ha la qual cosa ipermetro e toscaneggiante.

19. Il verso è ipometro nell’edizione di riferimento, senza che ciò sia spiegato dall’editrice. Paden emendava: «No·l faran mais. No·s vi tanta nessieta!», mentre Ricketts: «No·l farai! Mais no·s vi tanta nessieza!». Il secondo intervento falsa la rima che è corretta nel codice. Il ms. presenta un primo mai espunto dopo farai e non è da escludere che la lezione fosse corretta e non andasse espunta: lo reintegro pertanto nel testo. La forma nessieta resta problematica sia per la forma sia per il referente.

26. Il verso è ipermetro nel ms. mais de trestant qe de roberzon. La soluzione di Caïti-Russo a testo presuppone un altro italianismo (de introduce il complemento d’agente come da in italiano, ma per in provenzale, cfr. il verso precedente). Anche le altre soluzioni sono incerte: Paden «mais de tant qe de Roberzon», «much more than Roberzon»; più invasivo Ricketts: «trestant e mais qe de Roberzon» «autant et plus que Roberzon».

30. Caïti-Russo non mette a testo, come Paden e Ricketts, un problematico «perdon» ‘perdono’ che creerebbe un’espressione querre perdon piuttosto inusitata, ma separa diversamente le parole e ottiene «per don» ‘in dono’.

35. Il verso è ipometro. Tutte le correzioni proposte convergono nel riconoscere la necessità di un congiuntivo: Paden lo affida al primo verbo plaz (> «plassa») che richiederebbe però un congiuntivo anche nella subordinata, Ricketts e Caïti-Russo al secondo.

37. Il ms. legge mainaç chausida, emendato in «aviaç» da Paden, «auriaç» da Ricketts, «amaç» da Caïti-Russo che assume chausida come aggettivo con il significato di ‘favorevole’ concordato con il pronome all’accusativo. La soluzione di Paden, pur essendo la più semplice sul piano ricostruttivo, prevede un indicativo piuccheperfetto difficilmente ammissibile in dipendenza da un presente.

40. Il ms. ha a coitandadeus esperon, con la prima n espunta. Escluso che deus indichi la divinità come assunto da Paden («[... I pray] God to come spurring in haste»), questa parola vuole esprimere probabilmente un plurale (dels), come ha evidenziato Ricketts; essendo impossibile, tuttavia, che anche esperon lo sia perché la rima ne risulterebbe falsata, bisogna pensare che il plurale sia stato introdotto a senso dal copista, poiché gli speroni vanno di solito a coppie. Quanto a coitada, la forma participiale femminile è rara rispetto al sostantivo cocha.

41. Il verso, edito nella forma in cui si presenta nel ms., falsa la rima che dovrebbe essere -ent, ma è forte il dubbio che si tratti di errore d’autore. Ricketts emenda in modo invasivo in «se·t ve plazent» «si humilité et discrétion te sont si agréables», mentre Paden e Caïti-Russo conservano la lezione del codice che in definitiva fonde la formula di cortesia costruita con il verbo plazer, adottando però, come al v. 28, la forma toscana del pronome (ve).

44. L’ordine delle parole a testo è diverso da quello tradito dal codice che legge entre frere cosin eparent con ipermetria. Caïti-Russo inverte frere e cosin per recuperare una sillaba. Migliori, tuttavia, gli interventi di Paden («entre frer, cosin e parent») e Ricketts («entre frere, cosin, parent»).

47. Sulla lezione «Guillem Malaspina», tratto da guille(m) ma sina, si vedano le Circostanze storiche.

48. Il codice legge qel quesignor. La correzione di Ricketts, poi accolta da Caïti-Russo, non è spiegata da nessuno dei due. L’intento degli editori è unicamente quello di rendere leggibile il testo, ma un passaggio que > es è difficilmente giustificabile. Sostituisco a testo, con un piccolo ritocco, la lezione edita da Paden «qel qu’e» «he who is».

[gb]


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