Va’, strofa, dal Giudice di Gallura; comunicagli che egli giuri e non spergiuri, perché non so incaricarlo d’altro, perciò fa bene a volermi fare dei doni.
2 iur] uir 3 no·l] nel
1. I quattro Giudicati o rennos di Sardegna erano le quattro partizioni politico-amministrative dell’isola medievale, probabile evoluzione delle forme amministrative della dominazione bizantina. Quella nord-orientale era il Giudicato di Gallura, passato attraverso matrimonio ai Visconti di Pisa all’inizio del XIII secolo.
3. Enpazar non è una forma autonoma, bensì una variante grafica del verbo empachar secondo una scripta usata in questa sezione del codice (si veda anche Per zo no·m voill desconortar, BdT 461.193, a cui il manoscritto appone i nostri quattro versi a mo’ di tornada). Il significato è «beauftragen» (SW, II:371, accezione 3), eventualmente da conservare nel senso etimologico di ‘impacciare, ingombrare (con un incarico o incombenza)’. È corretta anche la supposizione di Levy (SW, II:372) che si domanda se nel presente nel ms. non sia da emendare in nol > no·l: in effetti, lo scambio di e per o occorre altrove in questa sezione del codice (cfr. Seigner Iuge, ben aug dir a la gen, BdT 461.217).
Edizione, traduzione e note: Giorgio Barachini. – Rialto 28.ix.2018.
P 63v (adespoto).
Edizioni critiche: Ernesto Monaci, Testi antichi provenzali, Roma 1889, c. 98; Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 302 (insieme a Ges al meu grat non sui ioglar, BdT 461.126 e Per zo no·m voill desconortar, BdT 461.193); Giuseppe Noto, «Anonimo, Ges al meu grat non sui joglar (BdT 461.126) con Anonimi, Per zo no·m voil desconortar (BdT 461.193), Va, cobla: al Juge de Galur (BdT 461.246), Seigner Juge, ben aug dir a la gen (BdT 461.217), Ges per li diz non er bons prez sabuz (BdT 461.133)», Lecturae tropatorum, 5, 2012, pp. 1-23, a p. 16.
Il testo è copiato a guisa di tornada di Per zo no·m voill desconortar (BdT 461.193).
Metrica: a8 a7 b8 b8 (Frank 130:4, ma con formula a8 a8 b8 b8). Rime: -ur, -ar. Il secondo verso ha sette sillabe e i problemi posti dal breve componimento non permettono di capire se sia il metro originario o se vi sia una lacuna. Un altro esempio di tale metro è un testo di Berenguer d’Anoia in acrostico («Berenger d’Anoia·m dits hom; / mon payre fo asats prom. / En Incha fo mos naximens, / e a Noia naschron mos parens»; Rialc 5,1a). Il componimento è di difficile classificazione; viene trascritto nel codice come tornada irregolare di Per zo no·m voill desconortar (BdT 461.193). Potrebbe trattarsi di una tornada o di un frammento di cobla di quattro versi. È impossibile determinarlo sulla scorta di quanto ci è rimasto. BdT lo indica come «Tornada», Frank come «fragm. [tornade]» (frammenti sono tutti i testi registrati sotto il n. 130) e «cobl.», BEdT come «cobla (tornada)». Secondo Kolsen, Zwei provenzalische Sirventese nebst einer Anzahl Einzelstrophen, Halle (Saale) 1919, p. 1, nota 2 si tratta della tornada di Seigner Iuge, ben aug dir a la gen (BdT 461.217), ma ciò è impossibile per il metro (decasillabico l’uno, ottosillabico l’altro), lo schema rimico differente e la presenza della sola rima ar in comune. De Bartholomaeis pubblica i quattro versi come tornada delle coblas Ges al meu grat non sui ioglar (BdT 461.126) e Per zo no·m voil desconortar (BdT 461.193), che nel ms. sono trascritte immediatamente prima, ma ostano due fattori: la cobla Ges al meu grat (BdT 461.126) è in realtà trascritta come testo distinto nel ms. (tra essa e la cobla Per zo no·m voill, BdT 461.193, che la segue c’è una riga bianca, come accade per tutti i testi considerati distinti dal copista), pertanto essa potrebbe essere solo la tornada di Per zo no·m voill (BdT 461.193), ma non anche di Ges al meu grat (BdT 461.126; sui problemi posti da quest’ultimo testo si veda la relativa edizione). In secondo luogo, pur essendo usati dal ms. P in funzione di tornada di Per zo no·m voill (BdT 461.193), i quattro versi di cui si compone Va, cobla, al Iuge de Galur (BdT 461.246) non condividono con Per zo no·m voill (BdT 461.193) la medesima formula metrica, pertanto, come si legge in BdT, «scheint Torn. zu 461,193 zu sein, ist es aber nicht», quantomeno dal punto di vista formale. Tuttavia, BEdT pretende che Va, cobla sia «compatibile per metro e con rima -ar in comune» con Per zo no·m voill (BdT 461.193), argomenti ripresi da Antonio Petrossi, Le “coblas esparsas” occitane anonime. Studio ed edizione dei testi, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2009, p. 241. Tale compatibilità mi sembra molto limitata, perché Per zo no·m voill (BdT 461.193) ha uno schema rimico differente (a8 b8 b8 a8 c8’ c8’ d8 d8 a8; rime: -ar, -ó(r)s, -acha,-ens), dove sono presenti anche rime femminili; la coincidenza di rima -ar può ben essere casuale, data la sua altissima frequenza nella poesia provenzale. Inoltre, BEdT, come Frank, dà una formula metrica composta di soli ottosillabi, ma nei quattro versi pervenuti il secondo ha solo sette sillabe, pertanto anche la compatibilità metrica non è verificata. Il collegamento tra i due testi non è avvenuto a livello formale, ma forse sul piano dell’ambiente di composizione; in effetti, anche a livello tematico gli onori immeritati di cui si parla in chiave moraleggiante in Per zo no·m voill sono lontani della liberalità invocata in Va, cobla (si vedano anche le Circostanze storiche).
I versi, incentrati sul tema della liberalità, sono inviati al Giudice di Gallura. Questi è il pisano Nino Visconti (regnante 1275-1296), guelfo, nipote di Ugolino della Gherardesca per parte di madre, amico di Dante e probabilmente vicino all’ambiente di Terramagnino da Pisa, autore del trattato Doctrina d’acort (Terramagnino era il modo in cui i sardi indicavano gli abitanti del continente): cfr. le Circostanze storiche. A lui è esplicitamente inviata anche la cobla Seigner Iuge, ben aug dir a la gen (BdT 461.217), dove ritorna anche il tema della liberalità. Il senso complessivo dei quattro versi è che il Giudice si è impegnato a essere liberale con il trovatore (v. 4), che quindi lo invita – ed è questo l’unica incombenza che gli dà (v. 3) – a tener fede alla parola data (‘giuri e non spergiuri’, v. 2).