Rialto

156.11

 

 

 

Falquet de Romans

 

 

 

 

 

 

Quan cug chantar eu planc e plor

 

 

per ço que vey esdevenir,

 

 

q’a per pauc no muer de dolor

 

 

quan en mon cor pens e cossir

5

 

la perd’e·l gran dampnatge

 

 

q’a pres cortezia e solatz;

 

 

que si de servir vos mesclatz

 

 

ni·us donatz alegratge,

 

 

totz diran vos etz fols proatz

10

 

si de tot ioi no vos layssatz.

 

 

 

 

 

Tornatz es en pauc de valor

 

 

lo segle, qi·l ver en vol dir;

 

 

e·l clergue son ia li peior,

 

 

qe degran los bes mantenir

15

 

et an aital uzatge

 

 

que mais amon guerra que patz,

 

 

tan lur play maleza e peccatz;

 

 

per qu’al premier passatge

 

 

m’en volria esser passatz

20

 

qe·l mais de quan vey mi desplatz.

 

 

 

 

 

E son ves els mezeys trachor

 

 

li ric malvat, per que·ls azir,

 

 

qu’il an huelhs e non an lugor

 

 

ny·n re sabon avenir

25

 

que sia d’agradatge:

 

 

qu’ayssi·ls eysorba cobeitatz,

 

 

enjans, feunia e malvestatz

 

 

que perdut an paratge,

 

 

e per aisso pert sas clardatz

30

 

pretz e valor e lialtatz.

 

 

 

 

 

Be volgra aguessem un senhor

 

 

ab tan de poder e d’albir

 

 

qu’als avols tolgues la ricor

 

 

e no·ls laisse terra tenir,

35

 

e dones l’eretatge

 

 

a tal que fos pros e prezatz,

 

 

qu’aissi fo·l segle comensatz:

 

 

e no·y guardes linhatge;

 

 

e mudes hom los ricx malvatz,

40

 

si cum fan Lombart poestatz.

 

 

 

 

 

E prec al bon emperador

 

 

que s’es crozatz per Dieu servir,

 

 

que mov’ab forss’e ab vigor

 

 

ves la terr’on Dieus volc murir

45

 

e mes son cors en gatge

 

 

per nos, e·n fo en crotz levatz

 

 

et es tot hom desesperatz

 

 

qi no i a ferm corage

 

 

qi ve com el fo clavellaz

50

 

per nos e batutz e nafratz.

 

 

 

 

 

Tuit deuriam aver paor

 

 

qar mielç no li sabem grazir

 

 

so qu’el sofri per nostr’amor,

 

 

qu’el receup mort per mort aucir,

55

 

tan volc nostr’homenage;

 

 

per que fo de bon’ora naz

 

 

toz hom qe·l servira crosatz

 

 

ni fara·l sieu viatge,

 

 

q’anc puois qu’el fo deseretatz

60

 

non ac honor crestiandatz.

 

 

 

 

 

Emperaire, si be·us pessatz

 

 

cum fay Dieus vostras voluntatz

 

 

e l’avetz fin coratge,

 

 

hom dira vos etz coronatz

65

 

de pretz sobre totz e renhatz.

 

 

 

 

 

Serventes, Moncenis passatz,

 

 

es a n’Oth del Carret digatz

 

 

q’ie·us tramet per message

 

 

qez an lai on Iesus fo naz,

70

 

puois er son bon pretz coronatz.

 

 

 

Testo: Larghi 2009. – Rialto 18.xii.2009.


Mss.: C 229v, M 238v (attribuisce il testo a G. enfigera), P 62r (vv. 31-40), Q 50v (vv. 31-40), R 52v, T 183v, c 18r.

Edizioni critiche: Carl August Friedrich Mahn, Die Werke des Troubadours in provenzalischer Sprache, Berlin 1846-1853, 4 voll., III, p. 106; Emil Levy, Guilhem Figueira, ein provenzalischer Troubadour, Berlin 1880, p. 70; Rudolph Zenker, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle 1896, p. 57; Adolf Kolsen, Zwei provenzalische Sirventese nebst einer Anzahl Einzelslrophen, Halle 1919, p. 14 (solo la str. IV); Vincenzo de Bartholomaeis, Poesie Provenzali Storiche relative all’Italia, Roma 1931, 2 voll, II, p. 86; Raymond Arveiller, Gérard Gouiran, L’oeuvre poetique de Falquet de Romans, Troubadour, Aix-en-Provence 1987, p. 59; Gerardo Larghi, Rialto 18.xii.2009.

Metrica: a8 b8 a8 b8 c6’ d8 d8 c6’ d8 d8 (Frank 424:4). Sirventese formato da sei coblas unissonans di dieci versi e due tornadas di cinque versi ciascuna.

Note: La poesia si divide in due parti. La prima è caratterizzata da lamenti sulla decadenza del mondo e si conclude con una proposta che vorrebbe ovviare a tutti gli inconvenienti elencati: il poeta si augura che si torni alle origini, e torni a regnare valor; segue la seconda porzione di testo nella quale l’imperatore Federico II è invitato a partire per la crociata. – Questo sirventese fu composto da Falquet in Francia prima che lo Hohenstaufen prendesse la via del mare e la sua stesura si situa dunque fra il 1220 ed il 1228. L’analisi dei contenuti storici del sirventese e delle allusioni politiche che in esso si rinvengono consente di situarne l’ideazione tra 1225 e 1226, all’indomani della diffusione dei provvedimenti presi da Federico II per limitare l’autonomia dei comuni provenzali. Il testo fu composto con l’intento di divulgare nella regione bagnata dal Rodano i concetti cardine della politica imperiale, ad iniziare dal rapporto di dipendenza che legava, dal punto di vista dello Hohenstaufen, i municipia alla autorità del sovrano tedesco. – La fortuna che arrise a BdT 156.11 è confermata dal fatto che la tradizione cui fa capo Sg ne riprese la strofa IV e la intercalò nella sua redazione di Be·m platz lo gais temps de pascor (BdT 80.8a), un sirventese bellicoso e di paternità contestata. In altri termini si può congetturare che, a un certo momento della sua storia, Be·m platz sia stata rimaneggiata, nella versione Sg, nella valle del Rodano (ove circolò la versione contenente il riferimento ai podestà), e che i versi di Falquet siano stati scelti proprio perché facilmente inseribili in una canzone sirventese di cui si volevano rimarcare le connessioni con la situazione pubblica regionale del primo terzo del secolo XIII. Il sirventese fu inviato, di lì a pochi anni, in Italia dove su di esso intervenne probabilmente un poeta (o un giullare?) che intese adattarne il dettato al nuovo pubblico e che concentrò il proprio intervento soprattutto sui vv. 39-40. La doppia redazione, o forse meglio sarebbe dire doppia edizione, fu completata entro gli anni Trenta del XIII secolo giacché oltre il 1240 si perdono le tracce biografiche di Otto del Carretto, destinatario degli elogi del poeta di Romans. – Al v. 2, per ço que: C legge d’aisso que, R de so que: i manoscritti hanno sostituito il complemento di causa introdotto da «per», con un analogo complemento introdotto da «de» (entrambe le costruzioni sono ammissibili per la sintassi occitanica: cf. Frede Jensen, The Syntax of Medieval Occitan, Tübingen 1986, §§ 949 e 965). La lezione è isolata in un ramo dello stemma. – Si può ipotizzare anche una ricostruzione differente del v. 5, congetturando che un gruppo di manoscritti abbia inteso eliminare uno iato, pareggiando la misura con gran. Il verso andrebbe ricostruito così: * la perda e·l dampnatge. Tale restauro testuale permetterebbe di stabilire un parallelismo più marcato fra i due lemmi, con una struttura poetica che sarebbe da porre in relazione inoltre con le iterazioni dei vv. 4 e 6. – Al v. 9: in CR proatz è sostituito dalla variante auratz. Emil Levy, SW, tradusse aurat come «thricht, närisch», vale a dire «pazzo, folle», mentre interpretò proat come «erwiesen, anerkannt, offenbar» e dunque «riconosciuto, attestato». Lo stesso Levy rinviò per altre attestazioni di proat all’esempio di Flamenca, v. 1167 «mais voil esser gelos proatz»: Ulrich Gschwind, Le roman de Flamenca, 2 voll., Bern 1976, II, p. 327, gloss. s. v. tradusse l’espressione con «jaloux prouvé, dont la réputation est bien établie». A sua volta Martín de Riquer, Guillem de Berguedà, 2 voll., Abadía de Poblet 1971, nel commentare il verso del trovatore bergitano «quar ben es vils e recrezens proatz» (BdT 210.3, v. 18), assegnò al lemma il valore «juridico de convicto». In CR perciò auratz è una variante di fols, che ha sostituito proatz. Ci troviamo dunque di fronte ad una doppia lezione confluita in un ramo dello stemma e di cui anche C non si sarebbe accorto. – Al v. 18: secondo de Bartholomaeis, Poesie, II, p. 87, «il primo passaggio è forse non la prima crociata, secondo che qualche critico ha opinato, bensì la crociata precedente, cioè la quarta» (così anche Palmer A. Throop, «Criticism on Papal Crusade Policy in Old French and Provençal», Speculum, 13, 1938, pp. 379-412, a p. 393, e Arveiller-Gouiran, Falquet, pp. 95-96). È però meglio seguire l’interpretazione di Gianfelice Peron, «Temi e motivi politico-religiosi della poesia trobadorica in Italia nella prima metà del Duecento», Storia e cultura a Padova nell’età di sant’Antonio. Convegno internazionale di studi, 1-4 ottobre 1981 Padova-Monselice, Padova 1985, pp. 255-299, a p. 278, secondo il quale «esser passatz» è infinito presente passivo e «premier passatge» indicherebbe la prossima crociata. – Erich Köhler, Sociologia della Fin’Amor. Saggi trobadorici, a cura di M. Mancini, Padova 1976, p. 54, a proposito della quarta cobla glossò: «Nessun altro trovatore del suo tempo si era spinto così avanti. Questo era possibile soltanto all’interno dei nuovi orizzonti mentali aperti dagli avvenimenti politici italiani che Falquet conosceva bene per i suoi stretti rapporti con l’imperatore. Certo anche l’esempio lombardo non può portare le riflessioni di Falquet al di fuori della sfera dello stato feudale. Anche Federico II può presentarsi soltanto come il più alto signore di una società feudale ben ordinata». Questa interpretazione però non sembra essere perfettamente congruente con il contesto storico coevo.

[GL]


BdT    Falquet de Romans    Ed. Arveiller-Gouiran