Rialto

156.12

 

   

Falquet de Romans

 

 

 

 

    Quan lo dous temps ven e vay la freidors
    e de razo atruep mout gran viutat,
    ben dey chantar, quar trop n’aurai estat;
4   et a m’o tout marrimenz e dolors
    que ai quan vey anar a perdemen
    e destruyre sanhta crestiantat,
    e tot segle vey perdut e torbat,
8   per qu’ieu no·m puesc dar gran esbaudimen.
     
    Comtes e reys, ducs et emperadors
    e manh baro e manhta poestat
    vey guerreyar per plana cobeitat
12   e·l fort tolon als frevols lurs honors;
    e morrem tug, so sabem veramen;
    doncx laissara quascus sa heretat,
    e so qu’aurem de tort e de peccat
16   trobarem tuit al iorn del iutjamen.
     
    Quan Dieus dira: «Selh qu’an freytz ni calors
    sufert per mi ni lur sanc escampat,
    e m’an blandit e temsut e amat,
20   e m’an servit e fag be et honors,
    aquilh seran ab gaug ses marrimen;
    e selhs qu’auran de mi tort ni peccat,
    ses falhimen, que no·ls er perdonat,
24   cayran layns el foc d’ifern arden»,
     
    adoncs er fag l’ira e·l dols e·l plors;
    quan Dieus dira: «Anatz malaurat
    yns en infern, on seretz turmentat
28   per tostemps mais, ab pena e ab dolors,
    quar non crezetz qu’ieu sufri greu turmen:
    mortz suy per vos, don vos es mal membrat»;
    e poiran dir selh que morran crozat:
32   «E nos, Senher, mort per vos eyssamen».
     
    Ailas caitiu! con grieus er la dolors
    que aurem tuit quan serem ajostat
    en Camp Florit, on veyrem clavellat
36   Dieus en la crotz per totz nos peccadors,
    e pe·l costat nafrat ta malamen,
    e de ponhens espinas coronat;
    ben volriam adonc aver cobrat
40   la vera crotz e·l sieu sanh monimen!

 

 

 

Testo: Larghi 2009. – Rialto 12.xii.2009.


Mss.: C 229r, R 15v, M 247r (attribuisce il testo a uns clers).

Edizioni critiche: Carl August Friedrich Mahn, Die Werke des Troubadours in provenzalischer Sprache, Berlin 1846-1853, 4 voll., III, p. 96; Rudolph Zenker, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle 1896, p. 61; Vincenzo de Bartholomaeis, Poesie Provenzali Storiche relative all’Italia, Roma 1931, 2 voll, II, p. 90; Raymond Arveiller, Gérard Gouiran, L’oeuvre poetique de Falquet de Romans, Troubadour, Aix-en-Provence 1987, p. 99; Gerardo Larghi, Rialto 12.xii.2009.

Metrica: a10 b10 b10 a10 c10 b10 b10 c10 (Frank 544:1). Cinque coblas unissonans di otto decenari ciascuna.

Note: La canzone di crociata non è databile con sicurezza mancando elementi interni che consentano di situarne con precisione la stesura. È però probabile che sia da assegnare ai medesimi anni in cui fu scritta anche BdT 156.11, cioè tra 1225 e 1226, o comunque tra 1220 e 1227 al massimo. Questa canzone di crociata si distingue dalle altre del medesimo genere per il grande rilievo dato al discorso di Cristo nel giorno del giudizio che, occupando tre strofe su cinque, è il centro della poesia. – Per quanto attiene alla tradizione manoscritta, i tre codici che conservano Quan lo dous si dividono in due famiglie: da un lato vi sono CR, dall’altro isolato M. I codici linguadociani CR sono uniti dalla omissione del v. 33, e poi dalle forme els fortz (v. 12) e selhs (v. 31); senza dimenticare la banalizzazione del v. 11. I tre testimoni sono divisi anche per quanto attiene l’ordine delle strofe. Si osservi questa tabella:

 

 

1

2

3

4

5

C

I

II

III

IV

V

M

I

II

V

IV

III

R

I

II

III

IV

V

 

L’ordine strofico trasmesso da M è palesemente erroneo: le coblas II e III sono strettamente collegate fra loro, al punto che tra il v. 16 e il v. 17 lo svolgimento del pensiero non subisce interruzioni. Per di più affinità evidenti legano le strofe III e IV: oltre alla ripresa dell’espressione «Quan Dieus dira» (cf. v. 17 e 26), si rileva anche una sorta di capfinidas fra v. 24 «cayran layns el foc d’ifern arden», e i vv. 26-7 «quan Dieus dira “Anatz malauratz / yns en infern […]». A sua volta l’avverbio adonc di v. 29 non si può che riferire ad un discorso che lo precede e che non può essere, per ragioni di contenuto, quello della strofa V. L’omissione del v. 33 potrebbe essere l’origine dell’ordine strofico seguito da CR. È probabile, infatti, che questi due codici abbiano interpretato la strofa V alla stregua di una tornada e che l’intero dettato testuale sia stato rimodulato sulla falsariga degli invii. Complessivamente si ha la sensazione che la fonte di CR si sia trovata di fronte ad una lacuna che ha colmato modificando la natura stessa della cobla. La natura e la qualità delle varianti testuali non consentono di escludere la presenza di varianti redazionali (non d’autore). – Al v. 7, segle: senza articolo come la gran parte dei lemmi appartenenti al vocabolario religioso. Troblat: lezione del solo testimone M. Se ne conosce un solo altro esempio, citato da Emil Levy, SW, s. v. treblar: BdT 461.234, vv. 41-43 «qu’eu vei troblar terra e foc mar ez aire /quar renha falsetat[z] e bona fes / se.n vai de cors, ez on la trobares?». Giulio Bertoni, «Il pianto provenzale in morte di Re Manfredi», Romania, 43, 1914, pp. 167-176, a p. 170 n. 2, giudicò corretto l’accostamento a treblar proposto da Nicola Zingarelli, Re Manfredi nella memoria di un trovatore, Palermo 1907, rinviando a Falquet de Romans, BdT 156.13, entroblit. Levy, SW, espresse però perplessità su tale posizione sostenendo che «auch treblar ist, wie man sieht, selten. Das angefürte entroblit hat hier gar nichts zu tun». La lezione di M potrebbe rappresentare dunque un’altra testimonianza. Levy, SW, tradusse troblar con «troubler, salir, brouiller». Walter von Wartburg, Französische Etimologische Wörterbuch, Leipzig-Basel, 1922, voll. 25, 13, ii, p. 424, rinviò a «adauph. Troblar Ram, apr. Id. (ca 1270, R 43, 171 n. 2)» e fra le possibili traduzioni segnalò «en état de troubles (d’un pays)». – Ai vv. 11-12. e·l: accettabile anche la lezione concorrente di CR e·ls (forma contratta di e los): i codici però hanno interpretato ls come caso regime plurale (cf. fortz) sicché è preferibile adottare la soluzione propugnata già da Zenker. – Al v.13, morrem è la lezione esatta, come provano l’esperienza ed il parallelismo con sabem ed aurem. Anche la soluzione morran è accettabile, benché essa possa riferirsi unicamente ai lontani «fort che tolon ai frevols», cioè ai «duc, emperadors». Essa appare perciò meno economica di quella posta a testo. Al v. 17, la forma melhs di CR è stata respinta in quanto anomala e solo sporadicamente attestata, tra l’altro in testi tardi (cf. Silvio Pellegrini, Il pianto anonimo provenzale per Roberto d’Angiò, Torino 1934, p. 26). – Al v. 23, Carl Appel, «rec. di Rudolph Zenker, Folquet von Romans», Literaturblatt fur germanische und romanische Philologie, 17, 1896, col. 168, glossò «que ist doch dem», e di conseguenza andrebbe tolta la virgola tra falhimen e que. Migliore invece la suggestione di Alfred Jeanroy, «rec. di R. Zenker, Falquet von Romans», Revue Critique, 42, 1896, pp. 368-369, a p. 369, per il quale «ses falhimen entre deux virgules; la formule est purement explétive», aggiungendo inoltre che «que se rapporte à tort et à peccat». La congiunzione però ha valore causale: «giacché non gli …». La medesima soluzione era stata proposta da Stanislaw Stronski, Le troubadour Folquet de Marseilla, Krakow 1910, p. 231. Al v. 31. Appel, rec., col. 168, suggerì già di correggere selhs in selh.

[GL]


BdT    Falquet de Romans    Ed. Arveiller-Gouiran