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2, per ço que: C legge d’aisso que, R de so que: i manoscritti hanno sostituito il complemento di causa introdotto da «per», con un analogo complemento introdotto da «de» (entrambe le costruzioni sono ammissibili per la sintassi occitanica: cf. Frede Jensen, The Syntax of Medieval Occitan, Tübingen 1986, §§ 949 e 965). La lezione è isolata in un ramo dello stemma. – Si può ipotizzare anche una ricostruzione differente del v. 5, congetturando che un gruppo di manoscritti abbia inteso eliminare uno iato, pareggiando la misura con gran. Il verso andrebbe ricostruito così: * la perda e·l dampnatge. Tale restauro testuale permetterebbe di stabilire un parallelismo più marcato fra i due lemmi, con una struttura poetica che sarebbe da porre in relazione inoltre con le iterazioni dei vv. 4 e 6.
9: in CR proatz è sostituito dalla variante auratz. Emil Levy, SW, tradusse aurat come «thricht, närisch», vale a dire «pazzo, folle», mentre interpretò proat come «erwiesen, anerkannt, offenbar» e dunque «riconosciuto, attestato». Lo stesso Levy rinviò per altre attestazioni di proat all’esempio di Flamenca, v. 1167 «mais voil esser gelos proatz»: Ulrich Gschwind, Le roman de Flamenca, 2 voll., Bern 1976, II, p. 327, gloss. s. v. tradusse l’espressione con «jaloux prouvé, dont la réputation est bien établie». A sua volta Martín de Riquer, Guillem de Berguedà, 2 voll., Abadía de Poblet 1971, nel commentare il verso del trovatore bergitano «quar ben es vils e recrezens proatz» (BdT 210.3, v. 18), assegnò al lemma il valore «juridico de convicto». In CR perciò auratz è una variante di fols, che ha sostituito proatz. Ci troviamo dunque di fronte ad una doppia lezione confluita in un ramo dello stemma e di cui anche C non si sarebbe accorto.
18: secondo de Bartholomaeis, Poesie, II, p. 87, «il primo passaggio è forse non la prima crociata, secondo che qualche critico ha opinato, bensì la crociata precedente, cioè la quarta» (così anche Palmer A. Throop, «Criticism on Papal Crusade Policy in Old French and Provençal», Speculum, 13, 1938, pp. 379-412, a p. 393, e Arveiller-Gouiran, Falquet, pp. 95-96). È però meglio seguire l’interpretazione di Gianfelice Peron, «Temi e motivi politico-religiosi della poesia trobadorica in Italia nella prima metà del Duecento», Storia e cultura a Padova nell’età di sant’Antonio. Convegno internazionale di studi, 1-4 ottobre 1981 Padova-Monselice, Padova 1985, pp. 255-299, a p. 278, secondo il quale «esser passatz» è infinito presente passivo e «premier passatge» indicherebbe la prossima crociata. – Erich Köhler, Sociologia della Fin’Amor. Saggi trobadorici, a cura di M. Mancini, Padova 1976, p. 54, a proposito della quarta cobla glossò: «Nessun altro trovatore del suo tempo si era spinto così avanti. Questo era possibile soltanto all’interno dei nuovi orizzonti mentali aperti dagli avvenimenti politici italiani che Falquet conosceva bene per i suoi stretti rapporti con l’imperatore. Certo anche l’esempio lombardo non può portare le riflessioni di Falquet al di fuori della sfera dello stato feudale. Anche Federico II può presentarsi soltanto come il più alto signore di una società feudale ben ordinata». Questa interpretazione però non sembra essere perfettamente congruente con il contesto storico coevo.
Edizione, traduzione e note: Gerardo Larghi. – Rialto 18.xii.2009.
C 229v, M 238v (attribuisce il testo a G. enfigera), P 62r (vv. 31-40), Q 50v (vv. 31-40), R 52v, T 183v, c 18r.
Edizioni critiche: Carl August Friedrich Mahn, Die Werke des Troubadours in provenzalischer Sprache, Berlin 1846-1853, 4 voll., III, p. 106; Emil Levy, Guilhem Figueira, ein provenzalischer Troubadour, Berlin 1880, p. 70; Rudolph Zenker, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle 1896, p. 57; Adolf Kolsen, Zwei provenzalische Sirventese nebst einer Anzahl Einzelslrophen, Halle 1919, p. 14 (solo la str. IV); Vincenzo de Bartholomaeis, Poesie Provenzali Storiche relative all’Italia, Roma 1931, 2 voll, II, p. 86; Raymond Arveiller, Gérard Gouiran, L’oeuvre poetique de Falquet de Romans, Troubadour, Aix-en-Provence 1987, p. 59; Gerardo Larghi, Rialto 18.xii.2009.
Metrica: a8 b8 a8 b8 c6’ d8 d8 c6’ d8 d8 (Frank 424:4). Sirventese formato da sei coblas unissonans di dieci versi e due tornadas di cinque versi ciascuna.
La poesia si divide in due parti. La prima è caratterizzata da lamenti sulla decadenza del mondo e si conclude con una proposta che vorrebbe ovviare a tutti gli inconvenienti elencati: il poeta si augura che si torni alle origini, e torni a regnare valor; segue la seconda porzione di testo nella quale l’imperatore Federico II è invitato a partire per la crociata. – Questo sirventese fu composto da Falquet in Francia prima che lo Hohenstaufen prendesse la via del mare e la sua stesura si situa dunque fra il 1220 ed il 1228. L’analisi dei contenuti storici del sirventese e delle allusioni politiche che in esso si rinvengono consente di situarne l’ideazione tra 1225 e 1226, all’indomani della diffusione dei provvedimenti presi da Federico II per limitare l’autonomia dei comuni provenzali. Il testo fu composto con l’intento di divulgare nella regione bagnata dal Rodano i concetti cardine della politica imperiale, ad iniziare dal rapporto di dipendenza che legava, dal punto di vista dello Hohenstaufen, i municipia alla autorità del sovrano tedesco. – La fortuna che arrise a BdT 156.11 è confermata dal fatto che la tradizione cui fa capo Sg ne riprese la strofa IV e la intercalò nella sua redazione di Be·m platz lo gais temps de pascor (BdT 80.8a), un sirventese bellicoso e di paternità contestata. In altri termini si può congetturare che, a un certo momento della sua storia, Be·m platz sia stata rimaneggiata, nella versione Sg, nella valle del Rodano (ove circolò la versione contenente il riferimento ai podestà), e che i versi di Falquet siano stati scelti proprio perché facilmente inseribili in una canzone sirventese di cui si volevano rimarcare le connessioni con la situazione pubblica regionale del primo terzo del secolo XIII. Il sirventese fu inviato, di lì a pochi anni, in Italia dove su di esso intervenne probabilmente un poeta (o un giullare?) che intese adattarne il dettato al nuovo pubblico e che concentrò il proprio intervento soprattutto sui vv. 39-40. La doppia redazione, o forse meglio sarebbe dire doppia edizione, fu completata entro gli anni Trenta del XIII secolo giacché oltre il 1240 si perdono le tracce biografiche di Otto del Carretto, destinatario degli elogi del poeta di Romans.