Testo: Chiara Cappelli, Rialto 1.iv.2019. 2. escuoill: voce rara in occitano, è stata molto discussa. A lungo considerata un deverbale di excolligere (cfr. LR, VI:11 e Leo Spitzer, «Etymologische Miszellen. Prov. escoill ‘Benehmen, Manier’», Archiv für das Studium der neuren Sprachen und Literaturen, 127, 1911, pp. 151-161, p. 154), Alfred Jeanroy, «Mélanges. Prov. Escolh», Romania, 41, 1912, pp. 401-419, p. 416, giudica poco probabile questa ricostruzione: bisognerebbe supporre, infatti, un’evoluzione excolligere > *adcolligere che non è attestata né in occitano né in antico francese. Jeanroy opta piuttosto per un’etimologia proveniente da una base ipotetica *scholium < schola. Dopo aver mostrato l’evoluzione del lemma nelle varie lingue romanze, Jeanroy non riesce tuttavia dimostrare la sua ipotesi con dati certi e conclusivi. Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 508, preferisce comunque seguire l’ipotesi originaria, aggiungendo che «l’isolamento, in cui la voce si trova in provenzale, rispetto alla vasta famiglia in cui si trova in ant. francese, mi fa pensare che sia venuta appunto dal francese. Il senso primitivo dev’essere quello di ‘slancio’, donde poi ‘maniera d’agire, condotta’, quindi ‘genere, specie’». 5. dui e dui: letteralmente ‘a due a due’, secondo Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 508, è usato qui per indicare la simultaneità del grido proveniente dai falsi giullari. 7. Bretz o Normans: a causa di questo riferimento, Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 508, ipotizza la presenza nelle corti italiane di un gran numero di giullari bretoni e normanni malvoluti per la loro arroganza e avarizia. Tuttavia, la voce bret ha anche il significato di ‘balbuziente’ e ‘sciocco’ (PD, s.v.); potrebbe, dunque, darsi che il trovatore qui abbia voluto insultare, attraverso l’accusa di provenire geograficamente da luoghi lontani considerati culturalmente ‘barbari’, coloro che si fanno chiamare giullari nonostante non ne abbiano le competenze. In un’accezione simile, il termine è usato in Flamenca ai vv. 4961-4963: «Flamenca e sas puncelletas / Que ges no son follas ni bretas / Tenon s[o]latz e parlamen» (cfr. Roberta Manetti, Flamenca. Romanzo occitano del XIII secolo, Modena 2008, p. 329). D’altra parte, Norman raramente assume un significato spregiativo nella poesia trobadorica. In Farai un vers de dreit nien (BdT 183.7) di Guglielmo IX, i vv. 29-30 recitano: “c’anc non ac Norman ni Franses / Dins mon ostau” (cfr. Mario Eusebi, Guglielmo IX. Vers, Roma 1995). Questa coppia di versi è stata variamente interpretata: secondo Lynne Lawner, «Norman ni Frances», Cutlura neolatina, 30, 1970, pp. 223-232, il conte di Poitiers si starebbe riferendo ai poeti mediolatini, accusati di cantare solo amori puri e lontani; per Leslie Thomas Topsfield, «Three Levels of Love in the Poetry of the Early Trobadours: Guilhem IX, Marcabru and Jaufre Rudel», in Mélanges de philologie romane dédiés à la mémorie de Jean Boutière, 2 voll., 1971, vol. II, pp. 571-587, norma e frances potrebbero significare ‘squadra’ e ‘misura per il grano’, intendendo così l’autore affermare che il proprio cuore non conosce né regola né misura; infine, Nicolò Pasero, Guglielmo IX, Poesie, Modena 1973, p. 107, riconduce i versi ad un registro osceno, dove ostau sarebbe la ‘vagina’ dell’amata e norman ni frances varrebbe ‘nessun estraneo’. In qualsiasi modo si voglia interpretare questo passo, nessuna delle soluzioni proposte potrebbe adattarsi al contesto del sirventese di Peire de la Mula. La dittologia Bret-Norman si ritrova anche in altri componimenti trobadorici con valore di semplice riferimento etnografico: cfr. Joan Esteve, Francs reis frances, per cui son Angevi (BdT 266.6), v.2, in Bertran de Born, Quan la novela flors par el verjan (BdT 80.34), v. 41, in Amoros dau Luc, En Chantarel, sirventes ab motz plas (BdT 22.1), v. 14 e in Bernart de Rovenac, Ja no vuelh do ni esmenda (BdT 66.3), v. 16. Altrettanto frequenti sono gli accoppiamenti Norman-Francs (cfr. Calega Panzan, Ar es sazos c’om si deu alegrar, BdT 107.1, v. 79; Cercamon, Lo plaing comens iradamen, BdT 112.2a, v. 37), e Norman-Engles (cfr. Bertran de Born, Mon chan fenisc ab dol et ab maltraire, BdT 80.26, v. 62; Guillem de Saint Leidier, S’eu tot me soi un petit malanans, BdT 234.17, v. 34; Riccardo I d’Inghilterra, Ja nuls hom pres no dira sa razo, BdT 420.2, v. 8). Potremmo quindi concludere che Peire nel suo sirventese abbia voluto utilizzare questi due termini sia per indicare l’effettiva provenienza geografica di questi finti joglars sia per alludere, con un termine volutamente ambiguo come bret, alla bassa considerazione riservata alle popolazioni di cui non si comprende la lingua. 8. en homes: la lezione (hom in A e assente in D aR) è stata ricostruita da Witthoeft, mentre Bertoni preferisce correggerla in oi mais; Suchier, invece, segue i ms. DaR, lasciando il verso mancante di due posizioni.15. cortes: i cortesi, ovvero coloro che s’intendono di cortesia, sono sia i trovatori sia gli estimatori della loro poesia. Quest’apostrofe vuole sottolineare la necessità, da parte di tutti i cortes, di unirsi nell’opposizione a coloro che, invece, si fregiano di questo titolo impunemente. [CC] |