Rialto    IdT

281.1

 

   

Rambertino Buvalelli

 

 

 

 

   

I.

   

Al cor m’estai l’amoros desiriers

   

que m’aleuja la gran dolor q’ieu sen,

   

et estai si dedinz tant doussamen

4  

que mais no·i pot intrar autre penssiers;

   

per que m’es douz lo mals e plazentiers,

   

que per so lais tot autre pensamen

   

e non pens d’als mas d’amar finamen

8  

e de faire gais sonetz e leugiers.

   

 

   

II.

   

Pero no·m fai chantar flors de rosiers

   

ni erba vertz ni fuoilla d’aiguilen,

   

mas sol amors qe·m ten lo cor jauzen,

12  

que sobre totz amadors sui sobriers

   

d’amar celliei cui sui totz domengiers;

   

ni de ren als non ai cor ni talen,

   

mas de servir son gen cors covinen

16  

gai et adreich on es mos cossiriers.

   

 

   

III.

   

Prions sospirs e loncs cossirs d’esmai

   

m’a mes al cor la bella en cui m’enten,

   

mas s’il saubes cum m’auci malamen

20  

lo mals d’amor e la pena q’ieu trai,

   

tant es valens e de fin pretz verai

   

e tant si fai lauzar a tota gen,

   

q’ieu cre n’agra merce, mon escien,

24  

q’il es la flors de las meillors q’ieu sai.

   

 

   

IV.

   

A Dieu coman la terra on ill estai,

   

e·l douz pays on nasquet eissamen,

   

e sa valor, e son gen cors plazen

28  

on tant grans bes e tanta beutatz jai

   

q’ieu tant desir: Dieus, coras la veirai!

   

Don tals doussors inz al cor me dissen,

   

qe·m ten lo cor fresc e gai e rizen,

32  

q’on q’ieu estei ades conssir de lai.

   

 

   

V.

   

Qan be·m cossir son ric pretz cabalos

   

e ben remir son bel cors covinen,

   

gai et adreich, cortes e conoissen,

36  

e·ls douz esgartz e las bellas faissos,

   

no·m meraveill s’ieu en sui enveios,

   

anz es ben dreitz q’eu l’am per tal coven,

   

cum de servir e d’amar leialmen,

40  

e son ric pretz retraire en mas chanssos.

   

 

   

VI.

   

Qan mi soven dels bels digz amoros

   

e del plazers qe·m saubetz far tant gen,

   

bella dompna cui hom sui leialmen,

44  

gran esfortz fauc car me loigne de vos,

   

q’eu degra estar totz temps de genoillos

   

a vostres pes, tro que fos franchamen,

   

s’eser pogues per vostre mandamen,

48  

bon’aminstaz mesclada entre nos dos.

   

 

   

VII.

   

Bona dompna, si malparlier janglos

   

nuil destorbier volon metre entre nos,

   

no n’aion ja poder a lor viven:

52  

q’ie·us amarai totz temps celadamen,

   

et on q’ieu an, mos cors reman ab vos.

   

 

   

VIII.

   

Biatriz d’Est, la mieiller etz c’anc fos,

   

e ja Dieus noca·m sal, s’ieu de ren men;

56  

qu’el mon non cre que n’aia tant valen,

   

qui vol gardar totas bonas razos.

 

 

Traduzione [lg]

I. Risiede nel [mio] cuore il desiderio amoroso che lenisce il gran dolore ch’io sento; risiede così ben riposto, dolcemente, ch’altro pensiero più non può penetrarvi; per cui il dolore mi è dolce e piacevole, giacché per questo abbandono ogni altra cura e non penso ad altro se non ad amare finemente e a comporre canzoni gioiose e facili a intendersi.

II. Perciò non ispira il mio canto né fiore di rosai, né erba verde, né foglia di rosa selvatica, ma solo amore, che mantiene il mio cuore gaudente, cosicché su tutti gli amanti sono orgoglioso di amare colei alla quale appartengo come vassallo; né d’altra cosa ho desiderio nel cuore, se non di servire la sua persona di raffinate e leggiadre fattezze, gaia e sincera, a cui è rivolto il mio pensiero.

III. Profondi sospiri e ricorrenti pensieri d’inquietudine mi ha messo nel cuore la bella a cui aspiro, ma s’ella sapesse come mi uccidono con gran dolore i mali d’amore e la pena ch’io sopporto, tanto è dotata di qualità e di perfetto pregio vero e tanto riceve da tutti le lodi, ch’io credo che ne otterrei grazia, a quanto so, poiché ella è il fiore delle migliori ch’io conosco.

IV. A Dio affido la terra dove ella sta, ed egualmente il dolce paese ove nacque, e il suo valore, e la sua persona gentile e piacente, in cui alberga tanto grande bene e tanta grande bellezza, ch’io tanto desidero: Dio, quando la vedrò? Donde [da lei] tale dolcezza mi scende fino al cuore, [dolcezza] che tiene il cuore leggiadro, gaio e ridente, giacché ovunque io sia sempre là rivolgo il mio pensiero.

V. Quando considero bene il suo ricco e perfetto pregio e rimiro bene la sua bella persona leggiadra, gaia e sincera, cortese e saggia, e i dolci sguardi e le belle fattezze, non mi meraviglio se ne sono bramoso, anzi è ben giusto ch’io l’ami in tal modo, servendola e amandola lealmente, e ritraendo il suo ricco pregio nelle mie canzoni.

VI. Allorché mi sovviene dei bei detti amorosi e dei piaceri che mi sapeste procurare tanto gentilmente, bella donna di cui sono vassallo lealmente, ad allontanarmi da voi faccio grande sforzo, poiché dovrei rimanere inginocchiato ai vostri piedi tutto il tempo, finché sinceramente – se ciò si potesse realizzare grazie alla vostra volontà – una buona amicizia fosse stretta fra noi due.

VII. Valente signora, se i malparlieri chiacchieroni vogliono ostacolarci con qualche contrasto, non ne abbiano mai la possibilità finché vivono, poiché sempre vi amerò in modo segreto, e dovunque io vada il mio cuore rimane con voi.

VIII. Beatrice d’Este, siete la migliore che mai vivesse, e che Dio mai mi salvi se di qualcosa io mento; poiché il mondo non credo ne abbia un’altra tanto valente, a voler considerare ogni buona ragione.

 

 

 

Testo: Melli 1978, con modifiche di lg. – Rialto 16.i.2017.


Mss.: A 68v, Da 195r, P 35v.

Edizioni critiche: Tommaso Casini, Le rime provenzali di Rambertino Buvalelli. Trovatore bolognese del sec. XIII, Firenze 1885, p. 20; Giulio Bertoni, Rambertino Buvalelli. Trovatore bolognese e le sue rime provenzali, Dresden 1908, p. 29; Giulio Bertoni, I Trovatori d’Italia. Biografie, testi, traduzioni, note, Modena 1915, p. 216; Rambertino Buvalelli, Le Poesie, edizione critica con introduzione, traduzione, note e glossario, a cura di Elio Melli, Bologna 1978, p. 223.

Altre edizioni: Alfredo Cavaliere, Cento liriche provenzali. Testi, versioni, note, glossario, introduzione di Giulio Bertoni, Bologna 1938, p. 287 (testo Bertoni 1915); Antonio Viscardi, Le Origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani, Milano-Napoli 1956, p. 990 (testo Bertoni 1915, traduzioni e note di Giuseppe Vidossi e Felice Arese); Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizione vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 61 (testo Melli); Rosanna Caramella de Gamarra, Antecedentes del petrarquismo. Antología de poesía provenzal, Salta 1991, p. 178 (testo Bertoni 1915).

Metrica: a10 b10 b10 a10 a10 b10 b10 a10 (Frank 476:1). Sei coblas doblas di otto versi; prima tornada di cinque versi; seconda tornada di quattro versi. Rime -iers, -en, -ai, -en, -os, -en. Casini segnala una lacuna al secondo verso della seconda tornada, non ritenendo possibile dunque un’anisostrofia che sarà successivamente accettata, a ragione, da Bertoni e quindi da Melli; per un esempio di tornadas con numero di versi decrescente si consideri Anc no mori per amor ni per al (BdT 364.4), per cui vedi Ulrich Mölk, «Deux remarques sur la tornada», Metrica, 3, 1982, pp. 3-14, a p. 11.

Ed. Melli: 2 aleuia.

Note: Il riferimento a Beatrice d’Este al v. 54, non supportato da altri indizi, ci permette solamente di ritenere la composizione della canzone anteriore al 1220, ovverosia la data della monacazione della dedicataria. Si vedano le Circostanze storiche. – L’assenza di errori significativi, nonché di varianti non adiafore, rende impossibile la costruzione di uno stemma codicum sicuro. Tralasciando le considerazioni di Melli, che oppone varianti prive di valore stemmatico, come cum / com, ric / rich, sil / sill (vedi Melli, Rambertino Buvalelli, p. 221), preferisco riportare le più solide valutazioni di Bertoni, Rambertino Buvalelli, p. 6: «I tre codici hanno tra loro stretti rapporti; tuttavia qualche divergenza significante si riscontra qua e là: v. 12 Car A (Que DP), v. 43 leialmen A (ueramen D, uiamen P). Così DP vanno ancora d’accordo al v. 42 (sabetz) contro A (saubetz); ma in altri casi discordano: v. 44 fi D (es P), v. 31 gai e fr. D, fr. e gai P».

1 desiriers. Sulla varianza fra le forme desir e desir(i)er, cfr. Glynnis M. Cropp, Le vocabulaire courtois des troubadours de l’époque classique, Genève 1975, p. 258, secondo cui i termini non hanno distinzioni semantiche, ma «ce sont sans doute les besoins de la versification qui ont déterminé le choix d’une forme ou de l’autre».

2 aleuja. Si ristabilisce la grafia corretta, dal momento che Melli stampa aleuia (ma cfr. la recensione di Max Pfister all’edizione Melli, in Zeitschrift für romanische Philologie, 99, 1983, pp. 233-236, a p. 235).

8 gais sonetz e leugiers. Il termine sonetz, come già rilevato da Melli, ha qui il significato più ampio di ‘canzone’, non solo di ‘melodia’, come invece si incontra in Er quant florisson li verger (BdT 281.2) al v. 3. Vedi anche l’incipit di una canzone di Peire Guillem de Luzerna, En aquest gai sonet leugier / me voill en chantan esbaudir (BdT 344.3), canzone anch’essa da riferirsi al milieu estense.

9-10. Il poeta asserisce di trovare l’ispirazione poetica non dal mondo naturale ma solamente da amore, diversamente da quanto affermato in Toz m’era de chantar geqiz (BdT 281.10) ai vv. 1-5; si confrontino ad ogni modo i versi di Albertet in A mi non fai chantar folia ni flors (BdT 16.5a), vv. 1-5: «A mi non fai chantar folia ni flors, / ni chanz d’auzel, ni rossigniols en mai, / mas la meiller de totas las meillors / e la genzer de las genzors q’eu sai / me fai chantar lo pres que de leis n’ai». Come giustamente ricordato da Francesca Sanguineti, Il trovatore Albertet, Modena 2013, p. 107, l’antecedente di queste ragioni del canto, esemplificate grazie a proposizioni coordinate negative, si rinviene in Raimbaut d’Aurenga, Non chant per auzel ni per flor (BdT 389.32); il tema troverà una ricca fortuna nella lirica dei troveri, per cui basti ricordare Thibaut de Champagne, Feuille ne flour ne vaut riens en chantant (RS 324).

13 domengiers. Vedi anche Arnaut de Maruelh, Anc vas Amor no·m pos res contradire (BdT 30.8), v. 4 «a sa merce mi rend totz domengiers».

25. L’immagine è presente anche in Deus sal la terra e·l païs (BdT 461.81): «Dieus sal la terra e·l pa[is] / en vos es ni estais †! / On q’eu sia, mos cors es lai, / qe sai no n’es om poderos. / Aissi volgr’eu qe·l cors lai fos, / qi qe sai s’en fezes parliers! / Mais n’am un joi que fos entiers / qe·l qe s’en fai tan enveios», in “Salutz d’amor”. Edizione critica del “corpus” occitanico, a cura di Francesca Gambino, introduzione e nota ai testi di Speranza Cerullo, Roma 2009, p. 678.

33 pretz cabalos. La iunctura, abbastanza comune anche in altri trovatori, compare più volte nel canzoniere di Rambertino: vedi Eu sai la flor plus bella d’autra flor (BdT 281.4) al v. 52 e S’a Mon Restaur pogues plazer (BdT 281.8) al v. 53 nonché ai vv. 48-50, dove l’espressione è amplificata, con riferimento alla ricchezza: «pel fin pretz e per la ricor / qu’es en lieis rics e cabalos, / e creis ades totas sazos».

40 mas chanssos. A tutti gli effetti, una parte assai significativa del canzoniere del poeta sembrerebbe dedicato a Beatrice d’Este, e in questo senso è quindi possibile interpretare il verso come una dichiarazione di fedeltà alla dama.

45 de genoillos. L’inginocchiamento, cui di solito si accompagna la congiunzione delle mani, è espresso assai diffusamente nella poesia trobadorica. Su questo vedi almeno Glynnis M. Cropp, «Les expressions mans jonchas et a (de) genolhos dans la poésie des troubadours», in Mélanges de langue et de littérature occitanes en hommage à Pierre Bec, Poitiers, 1991, pp. 103-112, nonché Gianluca Valenti, La liturgia del “trobar”. Assimilazione e riuso di elementi del rito cristiano nelle canzoni occitane medievali, Berlin-Boston 2014, pp. 149-182: «la posizione standard assunta dal trovatore durante il corteggiamento era “las mas jointas, de genolhos”; tale posizione era adoperata sia dal vassallo di fronte al signore, sia dal fedele durante l’ascolto della messa o durante la preghiera pubblica» (p. 159). Il passo di Rambertino Buvalelli mostra affinità con una canzone, unicum di a2, attribuita a Pujol, Cel qui salvet Daniel dels leos (BdT 386.1a): «So tot no·us vei, bona dompna e pros, / mos leials cors es ab vos e mos senz, / et estai lai tot jorn de genoillos / on s’acordet nostre bos pensamenz» (vv. 9-12).

48 mesclada. Il senso del participio passato sarà ‘stretto’ piuttosto che ‘dato e corrisposto’ (cfr. Melli), come già intuito da Casini, nonché proposto da Verlato sulla base di un’analisi semantica del termine in alcuni componimenti occitanici e nel canzoniere di Rambertino, per cui vedi D’un saluz me voill entremetre (BdT 281.3), v. 4 «e·l ben e·l mal mescladamen» e Toz m’era de chantar geqiz (BdT 281.10), v. 46 «mainz rics torneis viram mesclaz». Bertoni, Rambertino Buvalelli, traduce «sin che fosse francamente mescolata fra noi una buona amicizia»; Bertoni, I Trovatori d’Italia, invece, «una buona amicizia sorgesse tra noi due».

57 bonas. La lezione manca in Da, rendendo di fatto il verso ipometro, come giustamente notato in Casini, La vita e le poesie, p. 448, ma non segnalato nell’edizione Melli.

[lg]


BdT    Rambertino Buvalelli    IdT

Circostanze storiche