Rialto    IdT

281.8

 

   

Rambertino Buvalelli

 

 

 

 

   

I.

   

S’a Mon Restaur pogues plazer

   

tan qu’il me volgues restaurar

   

los dans q’ieu ai pres per amar,

   

mais en feira son pretz valer,

5  

c’autre bes, so me par, no·i faill

   

mas merces; e s’en tal miraill

   

mi pogues mirar, grand honor

   

m’agra Dieus faich de la gensor,

   

don ai estat tan volontos

10  

de lei servir totas sazos.

   

 

   

II.

   

Pos Mon Restaur non puosc vezer,

   

lo douz ris ni·l plazen esgar,

   

de mos huoills non sai mais que far,

   

c’aillors no·m poirion valer.

15  

Qand ieu no·l vei, soven badaill,

   

e quant ieu cuich dormir trassaill,

   

e prenc los draps e·l cobertor,

   

e qand m’esveill sospir e plor;

   

puis chant per lei e sui joios,

20  

qan mi soven del gen respos.

   

 

   

III.

   

Mos Restaurs a pretz e saber

   

e cortesia e gen parlar,

   

tant q’a chascun se fai prezar,

   

per que sos pretz deu mais valer,

25  

e s’ieu n’agues joia o fermaill,

   

plus fora rics d’un amiraill,

   

c’ades vei doblar sa valor

   

en fin pretz et en gran lauzor;

   

per q’ieu n’estau plus cossiros

30  

qand non vei sas bellas faissos.

   

 

   

IV.

   

Mos gens Restaurs a en poder

   

totz los bos aips c’om pot penssar,

   

e sap lai o·is taing mieills honrar

   

e plus cortesamen valer,

35  

per que vas lieis no m’anuaill

   

de servir, e s’ieu n’ai trebaill,

   

fatz a lei de bon sofridor,

   

que l’afans mi sembla doussor;

   

per que fora dreitz e razos

40  

qe·m n’avengues calq’ onratz dos.

   

 

   

V.

   

De Mon Restaur no·m desesper,

   

anz voill en sa merce esperar,

   

e servir, e merce clamar,

   

que bos servirs mi deu valer:

45  

si·s fai tant que per lieis mais vaill,

   

e·n sui de plus avinen taill

   

ves midonz et enves amor,

   

pel fin pretz e per la ricor

   

qu’es en lieis rics e cabalos,

50  

e creis ades totas sazos.

   

 

   

VI.

   

Chanssoneta, vai tost e cor,

   

e diras m’a l’una seror,

   

en cui es fis pretz cabalos,

   

que trop atendres non es bos.

 

 

Traduzione [lg]

I. I. Se al mio Ristoro potessi piacere tanto che mi volesse ricompensare del danno che io ho sopportato per amare, maggiormente farebbe valere il suo pregio, dal momento che nessun altro bene – così mi pare – non le manca fuorché pietà; e se in tale specchio mi potessi specchiare, grande onore mi avrebbe fatto Dio della più gentile, donde sono stato tanto desideroso di servirla sempre.

II. Poiché non posso vedere il mio Ristoro, né il dolce riso né lo sguardo piacente, non so più che fare dei miei occhi, poiché [rivolti] ad altra non mi potrebbero servire. Quando io non la vedo sovente sospiro, e quando penso di addormentarmi trasalisco e prendo il drappo e la coperta, e quando mi sveglio sospiro e piango; poi, quando mi sovviene della gentile risposta, canto per lei e sono gioioso.

III. Il mio Ristoro ha pregio e sapere e cortesia e gentil parlare, tanto che si fa lodare da tutti, per cui il suo pregio deve valere di più, e se io n’avessi gioiello o fermaglio, sarei più ricco di un emiro, giacché sempre vedo raddoppiare il suo valore in fine pregio e in grande lode; per cui sono più inquieto quando vedo le sue belle fattezze.

IV. Il mio gentile Ristoro possiede tutte le qualità che si possano immaginare, e sa – là dove conviene – meglio onorare e più cortesemente manifestare il proprio valore, perciò non mi viene a noia servirla, e se io ne ho pena mi comporto come chi sa ben soffrire, poiché l’affanno mi sembra dolcezza; per cui sarà ben giusto e ragionevole che me ne venisse qualche dono degno di onore.

V. Del mio Ristoro non mi dispero, anzi voglio sperare nella sua ricompensa, e servire, e invocare pietà, poiché il buon servire mi deve contare qualcosa: [il buon servire] fa sì che per lei valgo di più, e risulto di più piacevole aspetto verso la mia signora e verso amore, per il fine pregio e per la ricchezza che è in lei ricca e perfetta, e cresce adesso di stagione in stagione.

VI. Canzonetta, va subito e corri, e dirai per me a una sorella, in cui è fine pregio perfetto, che il troppo attendere non è cosa buona.

 

 

 

Testo: Melli 1978, con modifiche di lg relative alla punteggiatura. – Rialto 16.i.2017.


Mss.: A 69r, C 338r, Da 195r, N 209r.

Edizioni critiche: Tommaso Casini, Le rime provenzali di Rambertino Buvalelli. Trovatore bolognese del sec. XIII, Firenze 1885, p. 17; Giulio Bertoni, Rambertino Buvalelli. Trovatore bolognese e le sue rime provenzali, Dresden 1908, p. 41; Giulio Bertoni, I Trovatori d’Italia. Biografie, testi, traduzioni, note, Modena 1915, p. 231; Rambertino Buvalelli, Le Poesie, edizione critica con introduzione, traduzione, note e glossario, a cura di Elio Melli, Bologna 1978, p. 173.

Altra edizione: Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizione vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 128 (testo Melli).

Metrica: a8 b8 b8 a8 c8 c8 d8 d8 e8 e8 (Frank 592:28). Cinque coblas unissonans di dieci versi, seguite da una tornada di quattro. Rime: -er, -ar, -ill, -or, -os; mot-refranh: valer (vv. 4, 14, 24, 34, 44). Il componimento condivide lo schema rimico (ma non metrico) di Eu sai la flor plus bella d’autra flor (BdT 281.4)

Note: La datazione del componimento si deve fondare sull’identificazione del senhal Mon Restaur al v. 29, per cui si rimanda alle Circostanze storiche.

9 don. Melli interpreta don come sostantivo, con la conseguente traduzione errata «il dono per cui sono stato tanto desideroso di servirla in ogni tempo».

20. La tradizione manoscritta è concorde nel tramandare la forma respos. Michelangelo Picone, recensione all’edizione Melli, Studi e problemi di critica testuale, 21, 1980, pp. 209-219, a p. 216, ritiene «piuttosto incongrua» la lezione, «anche se intesa come ‘risposta amorosa’: in realtà tutta la canzone è incentrata sul tema dell’assenza e della non-comunicazione; forse andrà scavata una lez. repos, per repaus, alludente al riposo finale dopo che si è raggiungo il ‘luogo’ dell’amore. Mi soven quindi non vale ‘mi ricordo’, bensì ‘mi viene in mente’». L’ipotesi, pur seducente, presupporrebbe dunque una forma oitaneggiante repos, hapax nella lirica trobadorica, al posto di un ben attestato repaus, qui inaccettabile per ragioni rimiche; a tutti gli effetti, nel canzoniere di Rambertino Buvalelli si incontra il plausibile oitanismo letre, per cui vedi la nota relativa in D’un saluz me voill entremetre (BdT 281.3), v. 10.

25 amirail. Dall’arabo amīr (‘signore, comandante’) si hanno più esiti nelle lingue romanze: «afrz. amiré, prov. amirat; ital. almirante, afrz. aumirant, prov. amiran, span., portg. almirante; ital. almiraglio, ammiraglio, frz. a(d)miral, prov. amiralh», per cui vedi REW n° 423, con l’avvertenza che «Die Geschichte der verschiedenen Endungen und der Bedeutung des Wortes bedarf noch der Aufklärung», anche se, a tal riguardo, si può almeno supporre che il suffisso -ail sia stato condizionato dall’influsso della forma araba amīr al-‘aīlī. Quanto alla fluttuazione degli esisti in una parte consistente del dominio romanzo, occorre comunque considerare che «Das wort bezeichnet ursprünglich einen muselmanischen anführer. Das starke schwankung der endung findet sich nur bei dieser bed., nicht in der spätern bed. ‘admiral’», per cui vedi FEW 19:5. Nell’ambito della lirica trobadorica, le forme amiran e amirat sono, oltreché largamente maggioritarie, sempre impiegate in sede di rima: le occorrenze sono disseminate in un arco temporale decisamente ampio, dalla canzone marcabruniana Pois l’inverns d’ogan es anatz (BdT 293.39), v. 31, al partimen fra Enrico II conte di Rodez e Guillem de Mur, Guilhem, d’un plag novel (BdT 140.1c), v. 57. Se consideriamo invece la forma amiralh, oltre al verso in questione di Rambertino Buvalelli, il termine pare usato solamente (non in rima, e quindi non indotto da ragioni di qualità sillabica) da Raimbaut de Vaqueiras nella canzone di crociata Conseill don a l’emperador (BdT 392.9a), v. 54, e nella tenzone bilingue fra Arnaut Catalan e Alfonso X Sinner, adars ye·us vein querer (RM 21.1), ai vv. 3 e 16 (ma pronunciato per primo da Arnaut). In Ben cove, pus ja bayssa·l ram (BdT 242.25), v. 20, la lezione amiralh sarà invece da intendersi a miralh, come dimostrato in Pietro G. Beltrami, «Giraut de Borneil, Ben cove, pus ja bayssa·l ram (BdT 242.25)», Lecturae tropatorum, 2, 2009, 31 pp., a p. 18. Quanto alla semantica, nella poesia occitana il termine di norma assume il significato di ‘emiro’, ed è spesso impiegato in elenchi di figure legate al potere, come ad es. in Peire Raimon de Tolosa, No·m posc sofrir d’una leu chanso faire (BdT 355.9), v. 84; è altresì usato in comparazioni iperboliche, proprio in virtù della proverbiale ricchezza dei comandanti arabi, come ad es., oltre al passo in questione di Buvalelli, in Guillem Ademar, Ben for’ oimais sazos e locs (BdT 202.1), v. 31 (sui paragoni iperbolici vedi Oriana Scarpati, Retorica del “trobar”. Le comparazioni nella lirica occitana, Roma 2008, pp. 51-56); compare più genericamente in canzoni di crociata, come ad es., oltre alla già citata canzone di Raimbaut de Vaqueiras, in Bartolomeo Zorzi, Non laissarai qu’en chantar non atenda (BdT 74.11), v. 38. Sembrerebbe a tutti gli effetti singolare la tenzone fra Arnaut Catalan e Alfonso X, dove almiral assume il senso più specifico di ‘ammiraglio’, anche se occorre tenere presente che nelle coblas provenzali del testo si trovano corruttele varie, nonché alcuni tratti linguistici mescidati con il galego. La forma amirail di Rambertino Buvalelli è dunque tanto più interessante se si considera la fortuna relativa nella tradizione manoscritta, dal momento che le altre due occorrenze si rinvengono in testi dalla tradizione assai effimera: Conseill don a l’emperador (BdT 392.9a) è tràdito solo da a1, Sinner, adars ye·us vein querer (RM 21.1) solo dal canzoniere galego Colocci-Brancuti (siglato B). Non da ultimo, relativamente alla scelta della variante amirail da parte di Rambertino Buvalelli, non si esclude una possibile influenza della lingua del sì, essendo in quest’ultima la forma am(m)iraglio largamente maggioritaria su amirante, per cui vedi TLIO, s.m. ammiraglio (1).

26 doblar. Il verbo, da intendersi nell’accezione più generale di ‘aumentare’, trova due riscontri in un’altra canzone di Rambertino, Eu sai la flor plus bella d’autra flor (BdT 281.4), vv. 47-48.

50. Il verso manca ai mss. ADa.

51 l’una. «L’article indéfini prend assez souvent un sens renforcé, servant à exprimer l’identité», in Frede Jensen, Syntaxe de l’ancien occitan, Tübingen 1994, §195.

[lg]


BdT    Rambertino Buvalelli    IdT

Circostanze storiche