I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
I. Io conosco il fiore più bello d’ogni altro e il più piacente, stando a quanto dicono i sapienti, in cui più vi è pregio e valore e senno, e deve a ragione avere maggior lode di ogni altra donna del mondo che uomo sappia scegliere, poiché – relativamente al bene – non le manca nulla che uomo sappia profferire; a tal punto in lei albergano senno, onore, cortesia e gentile accoglienza con tanta bella compagnia, che non vi è uomo che la veda che non sia bramoso di innalzare il suo grande pregio sopra quello di coloro che sono maggiormente prodi.
II. E ben vi dico che mai nessuno trovò fiore che tanto sembrasse leggiadro e avvenente, e che con sembiante dolce e gaio e piacente sapesse innalzare il suo pregio e il suo valore come lei fa, cosicché nessuno può descrivere le sue qualità, né precisare la sua bellezza; e se io non ne dico tanto bene quanto dovrei, per questo motivo lascio perdere, poiché nessuno saprebbe farlo: tanto è il suo pregio superiore e caro e buono che più se ne parla più uno trova ragioni per farlo.
III. E a chi mi volesse chiedere questo fiore quale sia e dove si trovi, il mio giudizio ben mi dice che chiunque me lo chieda dovrebbe sembrare disinformato, dal momento che tanto si sente parlare della sua ricchezza: poiché ella, quanto a pregio, si pone al vertice, quantunque taluni se ne possano adirare; e i prodi devono avere gran desiderio di vedere con i propri occhi colei che guida tutte le gioie, e il bel fiore e il prato dove è fiorito, donde io sarò sempre più desideroso, giacché chi la vede sarà sempre gioioso.
IV. Ma una cosa dico bene da parte del fiore a tutti quelli che si ritengono pretendenti delle cose più pregevoli e valenti, e che di ciò se ne ritengono sapienti e intenditori: che chiunque riconosca la sua beltà e provi gioia nel vederla, prima guardi se stesso per quel che é, e [consideri] se sia il caso di farsi vedere da lei; poiché se così non si convenisse, dopo averla vista non sarebbe capace di dire una parola, tanto ne tornerebbe smemorato,
V. ed è troppo immorale che davanti a un così bel fiore alcuno sia affranto con tanto smarrimento che non possa almeno dire e mostrare le sue condizioni. Né in tanto chiaro specchio si addice che mai alcuno si guardi e si rimiri, a meno che non sia amante e servo del buon pregio, perché, se si tratta di un prode, guardandola raddoppierebbe il pregio e il senno, tanto da valere cento volte tanto, donde sempre più desideroso e bramoso dovrebbe essere della sua persona amorosa.
VI. Canzonetta, vai diritta verso Este, ove il fine pregio perfetto dimora e sta con la migliore mai esistita.
1 flors. L’immagine delle dama come il più bel fiore, espressione costitutiva del componimento, si ritrova ancora in Rambertino Buvalelli, Al cor m’estai l’amoros desiriers (BdT 281.1), v. 24: «q’il es la flors de las meillors q’ieu sai». Un’altra «flors / de totas las melhors» si incontra, in relazione a Beatrice di Monferrato, in Raimbaut de Vaqueiras, Truan, mala gerra (BdT 392.32), vv. 11-12; ad ogni modo, l’immagine del trovatore bolognese trova riscontri significativi nell’opera di Aimeric de Pegulhan, per cui si veda Chantar vuilh. – Per qe? – Ja·m pladz (BdT 10.16), vv. 53-56: «Na Beatrix, cui jois guia, / d’Est, q’es flors de las gensors / e mellier de las meillors, / meillura tot dia», nonché Atressi·m pren quom fai al joguador (BdT 10.12), v. 33: «A, gentils cors formatz plus gen que flor».
2 als dichs dels conoissens. L’opinione di coloro che sanno compare anche in Er quant florisson li verger (BdT 281.2), ai vv. 6 e 42.
10 pretz. Come nota giustamente Melli, in questo passo si nota l’importanza dell’opinione altrui nella valorizzazione e nell’incremento del pregio: il tema è, come si vedrà, variamente declinato nelle coblas successive.
16. Il verso manca ai mss. NSg; la lezione avventizia di C «per so mon cor mi fai tremblar e frire» suggerisce il legame dei tre canzonieri, dal momento che, con ogni probabilità, il copista di C avrà dovuto sopperire di sua iniziativa a una lacuna nel modello. È quindi da rettificare quanto sostenuto in Bertoni, Rambertino Buvalelli, p. 62, ovverosia che C fosse latore di una prima redazione del componimento – ma si ricorda che Melli poté disporre anche dei canzonieri NSg, a differenza della prima edizione di Bertoni, e della seconda (in questo caso alla recensio manca il ms. N). Ad ogni modo, il v. 16 determina un mot tornat al v. 35 (devire), oltretutto con repetitio tematica di beutat, mentre la lezione comune a CNSg del v. 35 (remire, Sg remir) individua a sua volta un mot tornat al v. 45.
19 sos pretz sobriers. Rambertino sembrerebbe riprendere un’espressione usata da Raimbaut de Vaqueiras per riferirsi a Beatrice di Monferrato, per cui vedi Ges, si tot ma domn’et amors (BdT 392.17), v. 45.
44 mirador. Il tema dello specchio è sviluppato da Rambertino anche in D’un saluz me voill entremetre (BdT 281.3), al v. 43.
Testo: Melli 1978, con modifiche di lg relative alla punteggiatura. – Rialto 16.i.2017.
A 68r, C 338r, L 123v, N 209v, Sg 41r. In C manca la rubrica, dal momento che il componimento non presenta la consueta iniziale ornata e segue senza soluzione di continuità S’a Mon Restaur pogues plazer (BdT 281.8), attribuito a Lamberti de bon anel (ma nella prima tavola al f. 14v l’attribuzione è indubbia).
Edizioni critiche: Tommaso Casini, Le rime provenzali di Rambertino Buvalelli. Trovatore bolognese del sec. XIII, Firenze 1885, p. 23; Giulio Bertoni, Rambertino Buvalelli. Trovatore bolognese e le sue rime provenzali, Dresden 1908, p. 35; Giulio Bertoni, I Trovatori d’Italia. Biografie, testi, traduzioni, note, Modena 1915, p. 223; Rambertino Buvalelli, Le Poesie, edizione critica con introduzione, traduzione, note e glossario, a cura di Elio Melli, Bologna 1978, p. 207.
Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, I, p. 222 (testo Bertoni 1908); Antonio Viscardi, Le Origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani, Milano-Napoli 1956, p. 992 (testo Bertoni 1915); Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizione vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 66 (testo Melli).
Metrica: a10 b10 b10 a10 c10’ c10’ d10’ d10’ e10 e10 (Frank 592:9). Cinque coblas unissonans di dieci versi, seguite da una tornada di tre. Rime: -or, -ens, -ire, -ia, -os. Il componimento condivide lo schema rimico (ma non metrico) di S’a Mon Restaur pogues plazer (BdT 281.8).
Sulla base del riferimento a Este rinvenibile al v. 52, si suppone che il componimento sia dedicato ancora a Beatrice d’Este (e quindi anteriore al 1220), per cui vedi Al cor m’estai l’amoros desiriers (BdT 281.1). Si vedano le Circostanze storiche. – Eu sai la flor plus bella d’autra flor (BdT 281.4) chiude la sezione di Rambertino Buvalelli nel canzoniere C. Una possibile lettura allegorica del componimento, in riferimento al ritrovamento di alcune marche simbolico-religiose poste in testi di apertura e chiusura di alcune sezione autoriali nel canzoniere C, è stata avanzata in Paola Allegretti, «Il geistliches Lied come marca terminale nel canzoniere provenzale C», Studi medievali, 33 1992, pp. 721-735, a p. 731: «gli stilemi celebrativi di Beatrice d’Este, quali ricorrono anche in Aimeric de Peguillan e Raimbaut de Vaqueiras, sono trasponibili con facilità alla lode mariana».