Rialto

437.21

 

Sordel

 

 

 

 

Non pueis mudar, qan luecs es,

q’ieu non chant o no gronda

qe·l baron si sont espres,

entr’els an conprat fonda.

5

En Coms, tot assesmat es

c’om vos rasa e tonda

en redon,

per piez puiar contramon.

En Raimon,

10

menbre·us d’En Peire Bremon.

En Coms, aitant hay apres,

qe tals es en Gironda

e·l mieih de vostre paes

qi vostra cort rebronda.

15

Am lur rendas e lur ses,

si Dieus no vos avonda,

trosq’al fon

chascus a cor que·us rebron;

mas baut son,

20

qar n’atendon l’aurion.

Se çai ven ...

qi fon seinher d’Argensa,

Coms, ben sai que seres duc

clamatz, a ma parvensa,

25

e qe volares hueilh cluc

de Roine trosq’a Vensa,

qui qe n’uc.

Chascus ha cor qe·us peluc,

si q’el çuc

30

remanran blanc li peçuc.

Ben sai si lor e ...

de tan n’ai sovinensa,

qe fols plus caus d’un sanbuc

sai qe n’a penedensa,

35

qan veires al primer uc

trapenar sa valensa

del faduc,

qi mal sembla del Bauz n’Uc,

e ses truc

40

val mens q’om mortz en tauc.

.    .    .    .    .    .    .    .    .

.    .    .    .    .    .    .    .    .

.    .    .    .    .    .    .    .    .

.    .    .    .    .    .    .    .    .

45

.    .    .    .    .    .    .    .    .

.    .    .    .    .    .    .    .    .

.    .    .    .    .    .    .    .    .

.    .    .    .    .    .    .    .    .

.    .    .    .    .    .    .    .    .

50

.    .    .    .    .    .    .    .    .

Aitan aug dir En Blacatz,

con qi non i mentria:

s’als pros Provensals presaz,

en q’aves seinhoria,

55

ço qe tolles rendias,

chascus vos ameria

lialmen;

pero vos son desirven,

qar soven

60

scorjatz la croz per l’argen.

 

 

 

Testo: Asperti 1995 (II). – Rialto 31.vii.2006.


Ms.: M 246v.

Edizioni critiche: Cesare De Lollis, Vita e poesie di Sordello, Halle 1896, p. 150; Marco Boni, Sordello, le poesie, Bologna 1954, p. 113; James J. Wilhelm, The Poetry of Sordello, edited and translated, New York - London 1987, p. 80; Stefano Asperti, «Sul sirventese Qi qe s’esmai ni·s desconort di Bertran d’Alamanon e su altri testi lirici ispirati dalle guerre di Provenza», in Luciano Rossi (a cura di), Cantarem d’aquestz trobadors. Studi occitanici in onore di Giuseppe Tavani, Alessandria 1995, pp. 169-234, a p. 223.

Metrica: a7 b6’ a7 b6’ a7 b6’ c3 c7 c3 c7 (Frank 274:2; lo schema prevede dei trisillabi, non quadrisillabi); sei coblas doblas di dieci versi. Presentano un medesimo schema metrico la canzone mariana di Lanfranco Cigala Oi! mair’e filla de Deu (BdT 282.17) e la tenzone tra Vaquier e Catalan De las serors d’Enguiran (BdT 459.1= 110.1): come segnala la BEdT, esso deriva probabilmente da D’una domna·m toill e·m lais di Raimbaut de Vaqueiras (BdT 392.12, Frank 274:1 a7 b6’ a7 b6’ a7 b6’ c4 c7 c4 c7) attraverso un adattamento nella cauda: «l’unica differenza si riduce alla presenza di un quadrisillabo in Raimbaut dove i tre altri prevedono un trisillabo»; ancora la BEdT nota che «la rima c fissa in -e di BdT 392.12, cui corrispondono spesso inizi di verso in vocale o sulla stessa vocale, fa supporre che un adattamento, certamente non casuale, fosse possibile a partire dal modello di Raimbaut de Vaqueiras», ma resta da individuare il possibile autore, visto che al momento non è determinabile con sicurezza la cronologia relativa dei tre testi coinvolti (la BEdT nota infine: «Da rilevare i legami con la Provenza»).

Note: Il sirventese è databile agli anni 1230-32: fa infatti riferimento, al v. 21, ad un momento in cui si attende come imminente un attacco del conte di Tolosa contro Raimondo Berengario V, nel corso della cosiddetta guerra dei due conti. Per la datazione del componimento e una sua interpretazione puntuale si legga Asperti (in particolare pp. 199-206 e pp. 222-225), che dà ragione fra l’altro dei rapporti intertestuali con i sirventesi Qui que s’esmai ni·s desconort (BdT 76.16, di Bertran d’Alamanon), Un sirventes farai ses alegratge (BdT 76.22, attribuito da Asperti a Sordello) e De guerra sui deziros (BdT 96.3a, di Blacasset). Lo studioso nota inoltre il rapporto con il sirventese Ar ai tendut mon trabuc, anch’esso unicum di M, attribuito a Lantelmet de l’Aguillo (BdT 284.1; p. 205). Su Non pueis mudar si leggano inoltre Francesco Torraca, «Sul Sordello di Cesare De Lollis», Giornale dantesco, 4, 1897, pp. 1-43 (alle pp. 22-25), e Martin Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989 (pp. 132-134). – La prima cobla allude alla congiura ordita dai baroni provenzali contro il loro legittimo signore: il coms del v. 5, come conferma il v. 9, è Raimondo Berengario V. – Il Peire Bremon del v. 10 può essere identificato, come voleva il De Lollis, con Peire Bremon d’Anduze (morto nel 1215), signore di Sauve e genero di Raimondo VI di Tolosa, citato fra i baroni più villani di Provenza nella tenso fra Falconet e Faure (BdT 148.1): egli partecipò alla crociata antialbigese alleandosi con la parte francese contro Raimondo, nella speranza di vedersi assegnare dal Papa il titolo comitale di Tolosa, e potrebbe essere qui rammentato con l’intento di fornire un esempio di tradimento per avidità da parte di un vassallo (per informazioni su questo personaggio si legga fra gli altri Aurell, p. 71). Il personaggio potrebbe però essere identificato anche con Peire Bermond, figlio del precedente, che nel 1226 fece omaggio dei propri possessi al conte di Tolosa, quando questi si preparava a far fronte all’attacco di Luigi VIII: in questo caso la citazione significherebbe che i baroni provenzali sono pronti a fare omaggio dei loro stati a chi venga ad assalire Raimondo Berengario’ (così intende Boni, p. 117). Il tals in Gironda del v. 12 non è forse da identificare con un personaggio preciso ma vale genericamente per ‘sudditi girondini’, impegnati nella congiura contro il conte di Provenza. Al v. 13 De Lollis e Boni emendavano in qi·l mieilh (il manoscritto porta el mieih): Asperti reputa più economico apportare un’unica correzione, e intende e nel seno del vostro paese’ (p. 224). – Ai vv. 19-20 il manoscritto legge mas bouc son qar natendon laurion: il passo si presta a diverse interpretazioni, per cui si leggano Boni (p. 118, n. 20) e Asperti (p. 202, n. 85). Secondo il testo ricostruito dall’editore, il senso del passo sarebbe più se ne fanno baldi perché aspettano l’arrivo dell’aquila (probabilmente da identificare con Raimondo VII, per le sue caratteristiche di animale indomito, che resiste alla cattura)’ (pp. 224 e 202). Come si diceva, il v. 21 permette di datare il testo al 1230 o al 1232, quando la lotta fra il conte di Provenza e quello di Tolosa è annunciata ma ancora quest’ultimo (che è il soggetto del verbo, come risulta dai versi seguenti) non ha sferrato l’attacco attraversando il Rodano (si confronti il v. 26, che riproduce la direzione dell’inevitabile ritirata di Raimondo Berengario): Raimondo VII invade la Provenza prima nell’autunno del 1230, poi nell’estate del 1232 (Asperti, p. 200). – Il seinher d’Argensa del v. 22 è Raimondo VII di Tolosa: l’Argensa, territorio comitale, si trova a destra di Rodano e Gardon (si noterà che l’epiteto sobeiran d’Argensa è usato a più riprese da Gaucelm Faidit per indicare Raimondo V di Tolosa). – Asperti suggerisce, al v. 35, la correzione di qan in q’ans (p. 224, n. al v. 35). – Al v. 23 si noterà il doppio senso introdotto dal termine duc, che significa tanto duca’ quanto allocco, sciocco’: per un contesto analogo si confronti il sirventese Puois no·m tenc per pajat d'amor (BdT 437.25, v. 29). – L’Uc citato al v. 38 dovrebbe essere il visconte di Marsiglia, schierato dalla parte del conte di Tolosa: i Baux, che sono in un primo tempo alleati strumentali di Raimondo Berengario V, negli anni 30 passano dalla parte di Raimondo VII, sebbene questi «vada stabilendo un’autorità sostanziale sulla città [= Marsiglia] a danno appunto dei diritti ereditari vantati dai Baux» (Asperti, p. 198). Il faduc del v. 37 è un personaggio non identificato; mi domando se non possa trattarsi di Guibert de Baux, figlio di Uc: nel testo i due appaiono collegati, e il legame andrà inteso presumibilmente in senso parentale (il visconte, che vanta otto menzioni trobadoriche, compare sempre in qualità di figura biografica e mai come personificazione di un valore astratto, come accade invece a Blacatz). Uc e Guibert, inoltre, compaiono insieme nel sirventese Qi qe s’esmai (BdT 76.16), con cui Bertran d’Alamanon risponde a Sordello.  Protagonista della sesta cobla è Blacatz, signore di Aups e uomo dell’entourage di Raimondo Berengario V (per informazioni sul personaggio si legga la scheda a BdT 437.24). Egli, che si mantiene neutrale in occasione della guerra dei due conti, compare da uomo che non mentirebbe’ (v. 52) per affermare che se il conte di Provenza si mantenesse ligio al valore e non si comportasse avidamente, tutti i baroni lo riconoscerebbero come signore legittimo: il suo tono astrattamente moraleggiante, privo di pragmatismo, ne fa una personificazione del buon barone ideale. Se è vero che è tipico di Sordello un certo idealismo politico (come ha scritto Asperti, p. 203, «già qui [= in Non pueis mudar] Sordello tende ad assumere la posizione di moralismo cavalleresco-cortese che dominerà, a distanza di qualche anno, il compianto per Blacatz [BdT 437.24] e poi il sirventese sui tre diseredati [BdT 437.25], per affermarsi infine nell’Ensenhamen d’honor»), non sarà da considerare casuale la scelta di Blacatz come vessillo. Essa sembra in effetti rimandare ad un corpus testuale di provenienza comitale e databile agli anni ‘20-‘30 del Duecento, che sceglie il signore di Aups come «campione di un astratto ideale del buon signore cortese, spesso invocato in un rapporto di larvale contrapposizione nei confronti della figura del conte di Provenza» (Elisa Guadagnini, «La cerchia di Blacatz e la crociata di Federico II», Studi medievali, 46, 2005, pp. 309-331, a p. 310; per qualche sommaria indicazione su questa produzione si leggano le pp. 310-311 ).

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