I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
I. «Voglio cantare, perché mi aggrada» «Non avevi smesso di farlo?» «Sì!» «Sei folle. Di che tipo è [la donna] di cui canti?» «Folle creatura, del più nobile ch’al mondo vi sia!» «Sì, molto bene, ma se anche tu lo credi, altri difficilmente ti crederebbero!» «Per Dio, così farebbe
II. chiunque vedesse la sua bellezza!» «È tanto nobile quanto la lodate?» «La migliore che Dio mai fece!» «In tal caso, ben ti comporti come [uomo] cortese!» «Folle, non ti dicevo forse questo?» «Sì, certo!» «Allora di che cosa dubiti?» «Lo so, se è così mi sta bene; e non mi sforzerei [di cantare] le sue virtù
III. se non fosse la verità!» «Ora, voi, ditemelo!» «Cosa?» «Vi ama almeno un poco?» «Via, ignobile maldicente: perché mai dovrebbe amarmi? Fintanto che il sole risplende non ve n’è un’altra tanto nobile e tanto degna di lode. Folle, come
IV. potrebbe essere degna di me la sua persona onorata?» «Sei proprio un sempliciotto e uno sciocco!» «Come?» «Poiché hai messo ogni sforzo, a guisa di folle amante, laddove non ti varrà alcun profitto!» «Credimi, poiché pregando, amando, servendo e implorando, si conquista un’amica
V. prima o poi, dunque…» «Ora ascoltami, giacché facilmente si viene ingannati!» «Non è così. Sai che cosa mi è venuto [in mente]?» «Io no!» «Una consolazione: che Amore ripara in un giorno tutto quello che ha sbagliato altrove, per cui io in pace sempre sopporto le sue ferite,
VI. e i tormenti che mi ha…» «Férmati!» «Lasso, io muoio!» «Come?» «Sono ferito!» «Chi ti ferisce?» «Del mondo, il fiore» «Che fiore è?» «Dei migliori» «Perché lo ha fatto?» «Perché lo voleva!» «Ben lo credo. Da chi attendi aiuto?» «Da lei, poiché il suo grande valore mi è dolce medicina»
VII. Senza di lei non potrei in alcun modo guarire dai miei gravi mali, giacché il suo amore mi ferisce così gentilmente [che] non so come sto.
VIII. Donna Beatrice d’Este, che gioia guida, che è il fiore delle più nobili e la migliore delle migliori, migliora ogni giorno.
I. qe] qem c; platz] pladz c 3 oc] o c 5 sia] fia c 7 no·t] nol te c
II. 9 sas] sa c
III. 19 aque amors tant ne quant π 20 truan] truanço π 21 la per quam amaria π 29 il verso è dislocato erroneamente dopo il v. 32 c
V. 36 conortz] conort c
VI. 42 Cum] cun c 43 flors] flor c 44 las] la c 46 atens] aten c 47 grans] gran c 48 medgia] medgria c
VII. 51 nafret] naifret c
VIII. 54 las] la c
1. I precedenti editori leggono nel verso due battute di dialogo: «Chantar vuilh – per qe? – ja·m platz». Si preferisce snellire il costrutto verbale: non a caso, un verso con all’interno due battute si rinverrà solo alla sesta cobla (v. 42), nel climax del tormento interiore. La lettura era già stata in parte suggerita da Appel, «Poésies provençales inédites», p. 9: «On pourrait lire aussi sans interruption».
3. Qin’: Da quina, per cui cfr. PD, s.v. quinh, «quel, de quelle sorte» (ma vedi Appel, «Poésies provençales inédites», p. 9).
7. no·t: Al fine di correggere l’ipermetria si accoglie la soluzione più economica proposta da Appel, «Poésies provençales inédites», p. 9: «Une syllabe de trop. On peut corriger n·ot [poi corretto in no·t nella seconda edizione] creiria ou no·l te creira». L’emendatio è accolta anche da Shepard - Chambers.
9. sas: Si corregge la flessione dell’aggettivo possessivo (come Appel e Shepard - Chambers), per cui vedi almeno En mon cor ai tal amor encobida (BdT 16.14), v. 32: «car totz lo mons enveia sas beutatz».
14-15. Si preferisce l’interpunzione stabilita da Appel, dal momento che la segmentazione proposta da Shepard - Chambers («– Si be. – Doncz, de qe·m mescres / sai? – Si es. – Platz mi e sos bes») prevede enjambement, altrove non attestato nel testo. Inoltre, Appel, «Poésies provençales inédites» p. 10, prevede la possibilità di un intervento, pur non attuato: «Il faut, je pense, supprimer e, et, probablement, lire tos au lieu de sos».
16. Il passo sembrerebbe sottintendere il verbo chantar, le cui ragioni sono dibattute nei versi precedenti.
17. s’aisi no fos: L’interpretazione di Appel «sai, si no fos», sebbene plausibile, non trova riscontro nella citazione di Berenguer de Noya (cfr. anche Shepard - Chambers, The Poems, p. 108) e, in secondo luogo, parrebbe una parziale ripetizione del v. 15.
19. tan ni qan: La traduzione di Shepard - Chambers, The Poems, p. 108, «at all», è erronea; il senso della locuzione è stato invece correttamente inteso da Negri, Aimeric de Peguillan, p. 71, che traduce «almeno un poco». Vedi anche N’Elyas, conseill vos deman (BdT 10.37 = 136.5), v. 23: «cill que non amon tan ni qan».
29. Nel manoscritto il verso in realtà corrisponde al v. 32: «Cre me tu qe merseian. A/man siruen (et) preian. Conqer hom amia. La on gares not ualdria». Lo scambio fra i vv. 29 e 32 è necessario per ragioni metriche, nonché per il senso generale del passo.
41. Si preferisce la soluzione interpuntiva di Shepard - Chambers (Appel propone invece «e·ls afans qe m’a tardatz»), dal momento che anche la quinta cobla presenta aposiopesi nel verso iniziale. – tardatz. Appel, «Poésies provençales inédites», p. 10, reputa plausibile anche la lezione cargatz: «Il était plus usuel de dire don m’a cargatz, mais la construction que m’a cargatz n’est pas impossible».
42. cum: La svista nel copista (cun per cum) non è segnalata nelle edizioni precedenti, nonostante sia stato messo sempre a testo cum.
47. grans: I precedenti editori correggono la flessione in granz; ad ogni modo, la grafia grans risulta maggioritaria nel corpus lirico dei trovatori ed è qui preferita.
48. medgia: Il sostantivo, particolarmente rilevante nel canzoniere di Aimeric, trova piena espressione in En aquelh temps que·l reys mori, N’Amfos (BdT 10.26), vv. 43-44: «Al bon metge maiestre Frederic / di, meggia, que de meggar no·s tric». A quest’ultimo testo allude espressamente Guillem Figueira in Bertram d’Aurel, se moria (BdT 217.1b), vv. 8-10: «Pero ben fez la metgia / e dis del rei gran lauzor, / sol que s’o tenha ad honor».
Edizione, traduzione e note: Luca Gatti. – Rialto 18.i.2018.
c 52v (Naimerig de pegugnan), π, vv. 17-21 (Neymerich de pugujla).
Edizioni critiche: Carl Appel, «Poésies provençales inédites tirées des manuscrits d’Italie», Revue des langues romanes, 34, 1890, pp. 5-35, p. 7; The Poems of Aimeric de Peguilhan, edited and translated with introduction and commentary by William P. Shepard and Frank M. Chambers, Evanston (Illinois) 1950, p. 106.
Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. I, p. 230 (estratti testo Appel, vv. 1-12 e 53-36); Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizioni vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 48 (testo Shepard - Chambers); Aimeric de Peguillan, Poesie, a cura di Antonella Negri, Roma 2012, p. 70 (testo Shepard - Chambers).
Si riproduce la grafia del manoscritto c. Si correggono gli errori morfologici; vengono altresì ricondotte alla norma alcune forme grafiche aberranti in sede di rima. Le varianti della citazione tratta dal Mirall de trobar, siglate π in apparato, sono prese da Berenguer d’Anoia, Mirall de trobar, a cura de Jaume Vidal i Alcover, Montserrat-Palma 1984.
Metrica: a7 a7 b7 b7 c7’ b7 b7 c5’ (Frank 159:2). Sei coblas unissonans di otto versi; due tornadas di quattro versi. Rime: -atz, -es, -ia.
Canzone cortese dedicata a Beatrice d’Este (cfr. i vv. 53-54): per la datazione, nonché per i rapporti con Ades vol, de l’aondanssa (BdT 10.2) e Qui la vi en ditz (BdT 10.45), si rimanda alle Circostanze storiche. – Il componimento è una «sorta di vivace dialogo interiore sulle ragioni del canto e del tormento d’amore» (Gianfranco Folena, «Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete», in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 1-137, a p. 44). Pare a tutti gli effetti ingiustificato il giudizio di Shepard - Chambers in The Poems, p. 108: «This poem, whose dialogue form suggests Peire Rogier, adds nothing to the stature of Aimeric as a poet. It is easy to see why it occurs in only one MS». La canzone esibisce la tecnica delle coblas tensonadas (su cui si veda Paola Allegretti, «Il sonetto dialogato due-trecentesco. L’intercisio e le sue origini gallo-romanze», in Il genere «tenzone» nelle letterature romanze delle origini. Atti del convegno internazionale (Losanna, 13-15 novembre 1997), a cura di Matteo Pedroni e Antonio Stäuble, Ravenna 1999, pp. 73-109), la cui fonte sarà da rinvenirsi, per l’appunto, in Ges non puesc en bon vers faillir (BdT 356.4) di Peire Rogier. Sulle forme del dialogo nella lirica occitana si rimanda all’approfondita analisi di Marco Grimaldi, Allegoria in versi. Un’idea della poesia dei trovatori, Napoli 2012, pp. 143-222 (in particolare pp. 191-209). Per un altro esempio di utilizzo del procedimento stilistico, sempre in riferimento al milieu estense, si veda Ges de chantar no·m voill gequir (BdT 281.5) di Rambertino Buvalelli.