I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
I. Tutti reclamano canzoni senza desiderio di comprenderle, ma fingono, perché, dopo che vedemmo fallire Amore, Pregio andò svilendosi, Piacere non piacque più, e non ci si rallegrò più a cantare. E se i prodi Lombardi degni d’elogio avessero voluto consentire questo, Amore sarebbe stato del tutto perduto, così come il beneficio; ma grazie alla loro virtù, Pregio cresce e si rafforza.
II. So di essere altrettanto lombardo, perché non voglio che ci si distolga dalla gioia e dal canto; al contrario, voglio obbedire di buon grado, risoluto e fedele, alla mia dama, che mi disdegna, e ad Amore, che mi nuoce, perché entrambi quanto più mi vogliono distruggere, più si prendono gioco di me; poi, accresciuta la mia pena, mi guadagnerò una gioia accresciuta, quando Amore, che mi ha vinto, avrà vinto lei per me.
III. Amore m’insegue minacciando, tanto che io non posso fuggire; lei, che fugge davanti a me, non posso inseguire. Entrambi così mi tormentano, l’una fuggendo, l’altro cacciandomi: sicché Amore, che mi tortura, mi trattiene; l’altra, che potrebbe salvarmi completamente, mi sfugge e mi evita. Uno mi prende, l’altra mi rifiuta, senza che io la rifiuti, perché spero di ricevere salvezza anche solo se lei mi saluta.
IV. Il mio cuore e i miei occhi mi fanno penare e languire, e il cuore, rimuginando, e gli occhi (mi fanno) scegliere lei che mi va allontanando da sé. Poiché vedendo lei procuro il mio danno, vado qua e là cercando un’altra che mi alleggerisca il tormento; ma è troppo tardi per desistere, perché il mio cuore fedele, che non muta, mi ordina di non mutare, e non vuole che un’altra mi soccorra, se lei non mi soccorre.
V. A ragione lei si lamenta, irritandosi per i miei occhi che si attardano ad ammirare la più bella che si possa ammirare; sicché il cuore si strugge desiderando, perché sono passati ben due anni da quando non vedo, se non nel pensiero, il suo bel corpo affascinante, per cui spesso piango e sospiro. La lode risaputa del suo alto merito risaputo vale tanto che mi arrendo vinto a lei, benché lei non mi sia vinta.
VI. Nobile contessa, celebre per un celebrato merito, voi avete elevato la Provenza di un merito elevato.
Edizione e traduzione: Paolo Di Luca 2008; note: Paolo Di Luca. – Rialto 10.xii.2009.
T 223v.
Edizione diplomatica: Carl August Friedrich Mahn, Gedichte der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1856-1873, vol. IV, n. 1758.
Edizioni critiche: Carl Appel, Provenzalische Inedita aus Pariser Handschriften, Leipzig 1890, p. 224; Jean Boutière, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, Toulouse-Paris 1930, p. 42 (IX); Paolo Di Luca, Il trovatore Peire Bremon Ricas Novas, Modena 2008, p. 173.
Metrica: a7 b5 a5 b5 a7 a7 a7 a7 b7 c7’ d5 d7 c5’ (Frank 214:1). Canzone composta da cinque coblas unissonas polimetriche di tredici versi, più una tornada di quattro versi; rim derivatiu ai vv. 10-11 e 12-13 di ogni cobla, con alternanza di uscite maschili e femminili. Schema unico.
La canzone, anonima, è esemplata all’interno del ms. T fra un componimento di Sordello, Per re no·m puesc d’amor cuydar (BdT 437.23), e So don me cudava bordir (BdT 330.17) di Ricas Novas. Appel, primo editore di Tut van canson, la attribuisce a Sordello per una serie di motivi: l’elogio dei lombardi presente nella prima cobla; l’affermazione Lonbart sai eser che compare al v. 14, e che è parsa allo studioso una specie di autonominatio dell’autore; la dedica della canzone a Beatrice di Savoia, moglie di Raimondo Berengario V, interpretata come testimonianza delle relazioni, ben documentate, fra l’altro, che Sordello strinse alla corte di Aix. Questi argomenti non convincono, tuttavia, Cesare De Lollis, che non inserisce Tut van canson nell’edizione delle poesie di Sordello da lui curata (Vita e poesie di Sordello da Goito, Halle 1896). Boutière assegna la paternità del componimento a Ricas Novas, confutando le argomentazioni di Appel. A ragione, infatti, l’editore interpreta l’elogio dei lombardi come un topos del tutto tradizionale, inserito da Ricas Novas in Tut van canson allo scopo di elogiare Sordello, con cui, all’epoca della composizione della canzone, doveva essere ancora in buoni rapporti. Per quanto riguarda la presunta autonominatio del v. 14, Boutière sa cogliere il carattere antonomastico dell’affermazione, che non vuol essere affatto un riferimento alla provenienza geografica dell’autore del componimento, ma assume piuttosto il senso figurato di ‘saper essere cortese, galante’. Le argomentazioni di Boutière vengono condivise e pertanto riproposte dai successivi editori dei due trovatori (Marco Boni, Sordello, le poesie, Bologna 1954, p. CXL; Di Luca, Il trovatore, p. 173). – La canzone è databile fra il 1233, anno in cui è attestata la presenza di Sordello in Provenza, e il 1237, anno della morte di Blacatz. Successivamente a questa data si consumò, infatti, il duel poétique fra Ricas Novas e Sordello: l’elogio che il primo trovatore fa del secondo in Tut van canson induce a credere che la canzone sia anteriore al litigio fra i due. – Il motivo dell’amante che insegue l’amata in fuga, che qui viene sviluppato nella cobla III, è tipico della poesia erotica latina ed ha avuto una discreta fortuna in ambito trobadorico. I versi di Ricas Novas sembrano rifarsi, in particolar modo, alla riscrittura che Folquet de Marselha fa di questo topos ai vv. 17-20 di Ben an mort mi e lor (BdT 155.5).