I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
I. Come quello che, mentre lavora, trova una giara e si convince che di certo sia piena d’oro, fin quando non la apre, e, aperta, non ha alcun valore ciò che vi è dentro, allo stesso modo, senza dubitare, signora, per voi mi rallegravo, perché credevo di trovarvi senza inganno; ma ora vedo che l’inganno straripa, e ne ho una gran pena, pari alla felicità, signora, che ebbi grazie a voi quando vi vidi la prima volta.
II. E poiché vedo e conosco l’errore e il grande inganno, me ne voglio allontanare subito; perché quello che apertamente segue il suo danno non può proseguire né fare follia piu grande; sicché farò allo stesso modo del mercante che, quando fallisce in Francia, va a cercare un guadagno simile altrove finché non lo trova; dico ciò allo stesso modo: ci andrò, ben sono tanto disposto a trovare una dama con cuore sincero e onesto.
III. Ho trovato il vostro cuore ingannatore, che così m’ingannò al principio come il baro, che perde volontariamente per meglio nascondere il suo animo disonesto; allo stesso modo, signora, all’inizio vi prendevate gioco di me, e ho un chiaro ricordo di voi che mi chiedevate un prestito, e poiché in un prestito si chiede qualcosa, diritto impone che io vi richieda di pagarmi ciò che l’altra volta vi prestai.
IV. Si deve subito rifuggire chi non ama e finge di amare, perché quello in questo modo inganna la gente più sottilmente di qualsiasi truffatore; e io scioccamente credei di aver trovato un grande amore e di aver conquistato grande onore per la bella apparenza, da cui ho avuto gran danno. Sicché è un male se non se ne sta in guardia e io non ne avrei più danno e turbamento se me ne fossi accorto e avrei fatto bene a farlo.
V. Ah, ... sleale, con falso amore e false parole e falsi pensieri, la tua falsa persona sa che mai falsamente io non mi sbagliai a renderti onore; né ti risulterebbe falso, ma poiché con falso amore mi vai imbrogliando, io sarei puerile e assai stolto, dal momento che tu m’inganni, se io poi amassi il tuo falso cuore ingannatore; cosi rifuggo il tuo falso cuore spavaldo, falsa, come si rifugge una moneta falsa.
VI. Falsa donna, si dice giustamente in Francia che non è amato chi non offre amicizia, e che è ingannato colui che inganna, e che si è ripagati con la stessa moneta; sicché io, sappiatelo, mi metterò sul sentiero per ingannarvi oggi, perché voi m’ingannaste ieri.
VII. Canzone, vattene là dove regna allegria, e là dove la slealtà è pericolante, e là dove si è ben accolti senza inganno, a dire quanto segue al valente conte di Avellino: che il suo Bertran lo ha reputato giusto, perciò si è votato al suo sincero e onesto valore.
1-10. La formula esordiale qui adottata (aisi com sel) individua uno specifico macrotipo, come sottolineato da Oriana Scarpati, Retorica del “trobar”. Le comparazioni nella lirica occitana, Roma 2008, p. 56: «La peculiarità di questo gruppo risiede nel fatto che l’elemento ‘reale’, rappresentato nella quasi totalità dei casi dall’io lirico, compara la propria situazione a quella di un essere umano indefinito, introdotto dal pronome dimostrativo di lontananza selh».
16. quo·l mercadier: la condizione del mercante, personaggio erratico per antonomasia, è qui assimilata alla condizione del poeta, che si apparecchia a superare la propria delusione andando in cerca di una metaforica «autra part» (v. 17). Si veda Scarpati, Rialto: «come il mercante, falliti i traffici in Francia, va altrove a cercare nuovi guadagni, così l’io lirico farà altrettanto, andrà da un’altra parte a cercare una dama sincera».
41-50. La costruzione retorica della cobla si fonda sull’uso insistito di fals e derivati, per un totale di 12 occorrenze. Un analogo procedimento si rintraccia anche in Ben fai granda folor, BdT 457.7 (10 occorrenze complessive di fals/falsa). Tra le liriche di Bernart de Ventadorn si registrano inoltre due casi di sostantivazione dell’aggettivo falsa per denunciare la disonestà della donna: si vedano la «fausa deschauzida» di La doussa votz ai auzida, BdT 70.23 (v. 25) e la «fausa de mala merce» di Quan par la flors josta·l vert foill, BdT 70.41 (v. 26).
60. comte de Velin: il personaggio menzionato nell’envoi sembra corrispondere a Bertran II del Baux (1238-1305). L’acquisizione della contea di Avellino, attorno al luglio 1268, può essere considerato un sicuro terminus post quem per la stesura del testo: si vedano le Circostanze storiche.
Edizione: Oriana Scarpati 2013; traduzione: Oriana Scarpati; note: Cesare Mascitelli. – Rialto 8.xi.2017.
R 102 v.
Edizioni critiche: Carl Appel, Provenzalische Inedita aus pariser Handschriften, Leipzig 1890, p. 60; Michael J. Routledge, Les poésies de Bertran Carbonel, Birmingham 2000, p. 5; Oriana Scarpati, Rialto 22.vii.2013.
Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma, 1931, vol. II, p. 313 (testo Appel); Francesca Sanguineti e Oriana Scarpati, Canzoni occitane di disamore, Roma 2013, p. 210 (testo Scarpati).
Metrica: a10 b10 b10 a10 c10’ c10’ d10 d10 e10 e10 (Frank 592:3). Cinque coblas unissonans di dieci versi ciascuna più due tornadas di sei versi. Rime: -or, -en, -ansa, -an, -er. Come segnalato nelle annotazioni di Scarpati, Rialto, «lo schema metrico è impiegato con le stesse identiche rime soltanto dallo stesso trovatore nel sirventese Per espassar l’ira e la dolor (BdT 82.12), mentre stesso schema ma rime differenti presenta la canzone di Lanfranc Cigala Non sai si·m chant, pero eu n’ai voler (BdT 282.16)».
Il componimento è inquadrabile nel sottogenere della mala canso ed appare, come osserva Scarpati, Rialto «costruita retoricamente mediante il ricorso a diverse comparazioni e a espressioni gnomiche». Il comte de Velin menzionato al v. 60 sembra riferibile a Bertran II, esponente di spicco della famiglia provenzale dei del Balzo e che ottenne il titolo di conte di Avellino nel luglio 1268. Si vedano le Circostanze storiche.