Rialto     IdT

10.10

 

   

Aimeric de Pegulhan

 

 

 

 

   

I.

   

Era par ben que Valors se desfai,

   

e podetz o conoisser e saber,

   

quar selh que plus volia mantener

   

Solatz, Domney, Larguez’ ab cor verai,

5  

Mezur’ e Sen, Conoissens’ e Paria,

   

Humilitat, Orguelh ses vilania,

   

e·ls bos mestiers totz ses menhs e ses mai,

   

es mortz! Guillems Malespina marques,

   

que fo miralhs e mayestre dels bes.

   

 

   

II.

10  

De bos mestiers el mon par non li say,

   

qu’anc no fon tan larcs, segon mon parer,

   

Alexandres de manjar ni d’aver,

   

qu’elh non dis «non», qui·l quis, ni trobet plai;

   

ni ges Galvains d’armas plus non valia,

15  

ni non saup tant Ivans de cortezia,

   

ni·s mes Tristans d’amor en tan d’assay.

   

Hueymais non er castiatz ni repres

   

negus, si falh, pus lo miralhs no·y es.

   

 

   

III.

   

On son eras siei dig plazent e guai

20  

e siei fag plus poderos de poder,

   

que·ls autres fagz fazian desvaler?

   

Oi Dieus! Cum son escurzit li clar rai

   

qu’alumnavan Toscan’ e Lombardia,

   

per que quascus anava e venia

25  

ab lo sieu lum ses dupt’ e ses esmai!

   

Qu’aissi saup Pretz guizar, tan fon cortes,

   

cum l’estela guidet los reys totz tres.

   

 

   

IV.

   

Per cui venran soudadier de luenh sai,

   

ni·l ric joglar que·l venian vezer

30  

qu’elh sabia honrar e car tener

   

plus que princeps de sai mar ni de lai?

   

E manhta gen ses art, ses joglaria,

   

per lo sieu don, on negus no falhia?

   

Que manh caval ferran e brun e bay

35  

donava plus soven ez autr’arnes,

   

de nulh baron, qu’ieu anc vis ni saubes.

   

 

   

V.

   

Belhs senher cars, valens, ieu que farai?

   

Ni cum puesc sai vius ses vos remaner,

   

que·m saubes tan dir e far mon plazer

40  

qu’autre plazers contra·l vostre·m desplai?

   

Que tals per vos m’onrav’ e m’aculhia

   

que m’er estrans cum si vist no m’avia;

   

ni ja nulh temps cambi no·n trobarai,

   

ni esmenda del dan qu’ai per vos pres,

45  

nez ieu non cre qu’om far la m’en pogues.

   

 

   

VI.

   

Lo Senher qu’es us en personas tres

   

vos valh’ aissi cum ops ni cocha·us es.

 

 

Traduzione [gb]

I. Adesso appare chiaro che il Valore muore, e potete saperlo e conoscerlo per il fatto che colui che più voleva sostenere con un sentimento sincero la buona società, il servizio d’amore, la liberalità, la misura e l’intelligenza, il sapere e la socievolezza, l’umiltà, la distinzione di rango senza abbassamenti e tutte le qualità valide, senza diminuirle né eccederne, è morto! Il marchese Guglielmo Malaspina, che è stato specchio e maestro di ogni bene.

II. Per le qualità valide non conosco al mondo persona pari a lui, che neppure Alessandro, a mio parere, non fu tanto generoso di cibo e denaro, in quanto il marchese non disse «no» a chiunque gli chiedesse e trovò un accordo [oppure: una soluzione]; e Galvano non valeva affatto di più nelle armi, né Ivano seppe così tanto di cortesia, né Tristano si mise così tanto alla prova sull’amore. Ormai nessuno sarà castigato o rimproverato, se sbaglia, dato che non c’è lo specchio di paragone.

III. Dove sono ora le sue parole piacevoli e gioiose e le sue azioni più potenti del potere stesso, che toglievano valore alle altre azioni? Oh Dio! Come si sono oscurati i raggi lucenti che illuminavano Toscana e Lombardia, al punto che sotto il suo lume ognuno andava e veniva senza insicurezze e senza inquietudine! Tanto fu cortese che così seppe guidare il Pregio come la stella guidò tutti e tre i re.

IV. Per chi verranno qui da lontano i mercenari e i giullari eccellenti che lo venivano a vedere e che egli sapeva onorare e tenere cari più di qualunque principe da questa parte del mare e dall’altra? E per il suo dono, di cui nessuno restava sprovvisto, [verrà ancora] molta gente, priva di ogni qualità e ignara del mestiere del giullare? Infatti, egli donava molti cavalli grigi, bruni e bai e la bardatura più spesso che qualunque uomo che mai vidi né conoscessi.

V. Bel signore caro, valente, io che farò? E come posso rimanere vivo qui senza di voi, che mi avete saputo dire e fare ciò che mi piaceva al punto che ogni piacere in confronto al vostro mi dispiace? Perché grazie a voi mi onorava e accoglieva chi ora mi sarà estraneo come se non mi avesse mai visto; non troverò mai più un sostituto né una riparazione per il danno che ho ricevuto da voi, né credo che nessuno me la potrebbe fare.

VI. Il Signore che è uno in tre persone vi aiuti così come vi è necessario e urgente.

 

 

 

Testo: Caïti-Russo 2005, con modifiche di gb relative anche alla punteggiatura. – Rialto 16.iii.2018.


Mss.: A 140v, B 85r, C 94r, D 68r, E 74, I 198r, K 183v, R 18r, a2 351.

Edizioni critiche: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. I, p. 238; William P. Shepard - Frank M. Chambers, The Poems of Aimeric de Peguilhan, Evanston (Illinois) 1950, p. 81; Gilda Caïti-Russo, Les troubadours et la cour des Malaspina, Montpellier 2005, p. 116.

Altre edizioni: François Juste Marie Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. IV, p. 61; Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1886, vol. II, p. 168 (testo Raynouard); Carl August Friedrich Mahn, Gedichte der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1856-1873, vol. II, p. 21 (E), vol. IV, p. 188 (B); Ernesto Monaci, Testi antichi provenzali, Roma 1889, c. 61; Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 53 (testo De Bartholomaeis).

Metrica: a10 b10 b10 a10 c10’ c10’ a10 d10 d10 (Frank 554:1; unicum). Planh di cinque coblas unissonans di nove versi e una tornada di due versi (ultimi due della strofa). Rime: -ai, -er, -ia, -es. Non sono attestati né modelli né derivati metrici per questo planh, che può quindi aver avuto melodia originale.

Ed. Caïti-Russo 2005: 36 manca qu’, 44 esmanda.

Note: Il marchese Guglielmo Malaspina morì tra il 21 aprile 1220, data dell’ultimo documento in cui risulta ancora in vita, e il 29 aprile, data a partire dalla quale il figlio Opizzino appare solo nella documentazione archivistica. Il planh potrebbe essere stato composto per le celebrazioni funebri e quindi vicino a queste date: fine aprile-inizio maggio 1220 (cfr. Circostanze storiche).  Questo componimento per la morte di Guglielmo Malaspina è probabilmente l’elogio funebre più riuscito di Aimeric de Pegulhan. Il trovatore, quasi uno specialista del genere, scrisse altri tre planhs, più di ogni altro trovatore: De tot en tot es er de mi partitz (BdT 10.22), Ja no cujey que·m pogues oblidar (BdT 10.30), S’ieu hanc chantiei alegres ni jauzens (BdT 10.48), il primo per una comtessa Beatritz, gli altri due congiuntamente per Azzo VI d’Este e il conte Bonifacio di San Bonifacio, morti nel 1212. Quello per Guglielmo Malaspina è anche il testo che mostra i maggiori debiti intertestuali verso uno dei capolavori del genere, il planh in morte di Riccardo Cuor di Leone scritto da Gaucelm Faidit, Fortz cauza es que tot lo maior dan (BdT 167.22): numerose le riprese testuali e molto prossime anche le tornadas (si vedano le note dell’edizione su questo sito).

4-6. Le qualità attribuite al marchese defunto sono naturalmente quelle che secondo i trovatori ogni vero signore doveva possedere. Esse sono raggruppate in blocchi: virtù cortesi al v. 4, qualità personali al v. 5, distinzione di rango (senza superbia e senza eccessi) al v. 6.

9. Miralh, ‘specchio’, indica che Guglielmo era riflesso e immagine di ogni bene. La parola contiene la radice di mirar ‘vedere’ e pertanto significava in senso lato ‘modello esemplare’, ‘pietra di paragone’. Per questo anche ai vv. 17-18 è detto che non vi possono più essere castighi o rimproveri per coloro che si comportano male, in quanto manca un modello, un paragone con cui misurare la loro deviazione.

12-16. Tutte le figure citate provengono dai romanzi cavallereschi francesi. La menzione di Alessandro come figura esemplare di sovrano liberale è tipica dei planhs (cfr. Fortz cauza es que tot lo maior dan, BdT 167.22, v. 14) e proviene dal Roman d’Alexandre. Ivano è il protagonista del romanzo di Chrétien de Troyes Le chevalier au lion, così come Tristano è immagine dell’amore totalizzante nelle differenti versioni del Roman de Tristan. Quanto a Galvano, uno dei più valorosi cavalieri della corte di re Artù, appare in numerosi romanzi; la lezione, tuttavia, è presente solo nei mss. ABDa1, mentre CE leggono guillem e IKR solo .g. che va interpretato senza dubbio come Guillem. Questo Guillem dovrebbe essere Guglielmo d’Orange (cfr. A totz dic qe ja mais non voil, BdT 80.6a), preso a modello di forza guerriera. Più che ragioni stemmatiche, valgono le osservazioni di Shepard - Chambers (The Poems, p. 84): poiché le altre figure sono prese da romanzi, è improbabile che Aimeric abbia citato un personaggio epico come Guglielmo d’Orange, senza peraltro cercare di specificarne meglio il nome. Il problema si sarà prodotto a partire da un’abbreviazione come quella di IKR. A mio avviso, al v. 13 il ni non significa ‘né’, che condurrebbe a dover ipotizzare un significato negativo per trobar plai (‘trovare discussioni (?)’. De Bartholomaeis, p. 240: «né creò liti»; Shepard-Chambers, p. 83: «nor picked a quarrel with him»; Caïti-Russo, p. 117: «ni n’a cherché dispute»). Di tale locuzione non ci sono altre attestazioni, come ammettono Shepard - Chambers adottando la traduzione di De Bartholomaeis (ma SW, V:332 registra il significato di «Handel, Frage, Angelegenheit», chiaramente derivato da quello di «Gegenstand eines Prozesses», ‘oggetto del contendere’). Se invece il ni valesse ‘e’, trobar plai avrebbe un senso positivo molto comune ‘trovare un accordo’ (cfr. SW, V:333: «Abmachung, Übereinkommen»): cfr. Raimbaut de Vaqueiras, Eissament ai guerrejat ab amor (BdT 392.13), v. 16.

23. Toscana e Lombardia indicano le aree geografiche in cui i Malaspina avevano possedimenti: a sud dell’Appennino ligure nella Val di Magra e nella zona di Massa (propriamente la Toscana cominciava a est del Magra: Pd IX, 89-90) e a nord di esso nella regione di Piacenza e Pavia (donde le frequenti contese con la prima città), che trovandosi nella pianura padana erano a quest’epoca collocate in Lombardia (cioè nell’Italia del Nord).

24-25. I Malaspina possedevano territori malagevoli e poco indicati per l’agricoltura, ma in compenso collocati a cavallo dell’Appennino. Le loro maggiori entrate provenivano dunque dalla gestione delle strade e dei sentieri, quindi dei traffici commerciali e dei pellegrinaggi verso Roma e gli imbarchi dell’Italia meridionale; i percorsi scendevano dalla pianura padana verso la Liguria e la Toscana e viceversa: cfr. Enrica Salvatori, «Tra la corte e la strada: antichi studi e nuove prospettive di ricerca sui Malaspina», in Reti Medievali, online; Ead., «Imperatore e signori in Lunigiana nella prima metà del XIII secolo», in Pier delle Vigne in catene da Borgo San Donnino alla Lunigiana medievale. Itinerario alla ricerca dell’identità storica, economica e culturale di un territorio, Sarzana 2006, pp. 167-184; Ead., «Les Malaspina : bandits de grands chemins ou champions du raffinement courtois? Quelques considérations sur une cour qui a ouvert ses portes aux troubadours (XIIème - XIIIème siècles)», in Les élites lettrées au Moyen Âge en Méditerranée occidentale, Montpellier 2007, pp. 11-27. Aimeric rappresenta tali strade come luoghi sicuri in cui ‘ognuno andava e veniva senza insicurezze e senza inquietudine’ sotto la tutela dei marchesi (il lum, la ‘luce’, lezione di ABDa1 contro nom ‘nome’ di CEIKR a testo in De Bartholomaeis e Shepard - Chambers). In realtà il percorso montano non era così sicuro come il trovatore lo rappresenta e genovesi e piacentini ebbero a lamentarsi più volte con i Malaspina per presunti atti di rapina compiuti dagli stessi marchesi.

27. I re che seguono la stella sono naturalmente i re magi, che la fantasia popolare ha sempre immaginato in numero di tre.

28-36. Una delle qualità su cui Aimeric de Pegulhan si sofferma più a lungo è l’indiscriminata generosità di Guglielmo verso tutti, anche verso coloro che non avevano buoni titoli da vantare per ottenere un dono (ses art, ses joglaria); il tema dei giullari che affollavano le corti italiane è un tema caro al trovatore. Al v. 35 il termine arnes vicino ai cavalli va inteso come la bardatura: Guglielmo non donava solo i cavalli, ma anche l’attrezzatura per cavalcarli. La strofa presenta un’interpunzione insoddisfacente nell’edizione di riferimento, perché i vv. 32-33 proseguono senza dubbio la domanda con cui si apre la cobla (manhta gen resterebbe altrimenti privo di legami sintattici); rettifico pertanto sulla scorta del testo di De Bartholomaeis. Al v. 36 il relativo qu’ manca nell’edizione di riferimento, ma è presente in tutti i testimoni ed è necessario alla sintassi, pertanto viene ripristinato.

44. esmanda per esmenda (così tutti i codici) è refuso dell’edizione di riferimento.

46-47. L’invocazione a Dio (in questo caso la Trinità) è tipica delle tornadas dei planhs; molto vicina la tornada di Gaucelm Faidit, Fortz cauza es que tot lo maior dan (BdT 167.22).

[gb]


BdT    Aimeric de Pegulhan    IdT

Circostanze storiche