Rialto    IdT

10.12

 

   

Aimeric de Pegulhan

 

 

 

 

   

I.

   

Atressi·m pren quom fai al joguador,

   

qu’al comensar jogua mayestrilmen

   

a petits juecs, pueis s’escalfa perden,

4  

que·l fai montar tant qu’es en la folor;

   

aissi·m mis ieu pauc e pauc en la via,

   

que cujava amar ab mayestria

   

si qu’en pogues partir quan me volgues,

8  

on sui intraz tan qu’issir non puesc ges.

   

 

   

II.

   

Autra vetz fui en la preizon d’Amor,

   

don escapei, mas aora·m repren

   

ab un cortes engienh tan sotilmen

12  

que·m fai plazer mo mal e ma dolor,

   

qu’un latz me fetz metr’al colh ab que·m lia,

   

don per mon grat mais no·m desliaria;

   

e nulhs autr’om que fos liatz non es,

16  

qui·l deslies, que ben no li plagues.

   

 

   

III.

   

Anc mais nulh temps no trobei liador

   

tan ferm lies ab tan pauc liamen,

   

que·l liams fo d’un douz bays solamen,

20  

don non truep sai qui·m desli ni alhor.

   

Enliamatz sui tan que, si·m volia

   

desliamar, ges far non o poiria,

   

qu’Amors, que lai m’enliamet e·m pres,

24  

m’enliama sai plus fort per un tres.

   

 

   

IV.

   

A ley del fer que va ses tirador

   

vas l’aziman que·l tira vas si gen,

   

Amors, que·m sap tirar ses tiramen,

28  

mas tirat m’a sevals per la melhor;

   

car si d’autra melhuirar me sabia,

   

tant am lo mielhs que be·m melhuiraria,

   

mas melhuirar no cre que m’en pogues:

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ve·us per que m’a part las melhors conques.

   

 

   

V.

   

A! gentils cors formatz plus gen que flor,

   

aiatz de me qualacom chauzimen,

   

quar muer per vos d’envej’e de talen;

36  

e podetz o proar a ma color,

   

qan vos remir, que·s trasva e·s cambia,

   

per que fora almorn’e cortesia

   

qu’Humilitatz mercejan vos prezes

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d’aquest cochat, sofrachos de totz bes.

   

 

   

VI.

   

Be·m platz Guillems Malespina·l marques,

   

quar conquier Pretz e Pretz a lui conques.

   

 

   

VII.

   

Na Beatritz d’Est, lo bes qu’en vos es

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fa melhoirar las autras ab lors bes.

 

 

Traduzione [lg]

I. Mi ritrovo nella medesima condizione del giocatore d’azzardo, che all’inizio gioca magistralmente con piccole puntate, ma successivamente – nel momento in cui perde – si scalda a tal punto che rilancia sino alla follia; così mi sono messo a poco a poco su questa strada, giacché credevo di amare con maestria, in modo che, qualora lo avessi voluto, avrei potuto allontanarmi, ma sono così invischiato da non poterne uscire.

II. Già un’altra volta fui nella prigione di Amore, da dove fuggii, ma ora mi riprende con un’astuzia cortese tanto sottile da rendermi gradevoli il mio male e il mio dolore, poiché mi fa mettere al collo un laccio con il quale mi lega, dal quale mai sarei in grado di slegarmi da solo; e non v’è uomo che fosse legato che, una volta slegato, non lo avesse trovato ben piacevole.

III. Mai ho trovato qualcuno in grado di legare che tanto saldamente legasse con così poco laccio, giacché il laccio fu fatto solamente d’un dolce bacio, e non trovo nessuno che [dal laccio] mi sleghi, né qui né altrove. Sono legato talmente forte che, se volessi slegarmi, non potrei proprio farlo, poiché Amore, che là mi ha legato e preso, qui mi lega con un triplice nodo.

IV. Come il ferro che senza spinta si dirige verso il magnete che delicatamente lo attira a sé, Amore, che mi sa attrarre senza alcuna spinta, mi ha attratto perlomeno verso la migliore; poiché se pensassi di migliorare con un’altra, a tal punto amo il meglio che ben migliorerei, ma non credo che potrei migliorare: ecco perché ella mi ha conquistato, ben oltre le migliori.

V. Ah, nobile corpo, meglio di fiore formato, abbiate per me un poco di misericordia, poiché muoio per voi di voglia e di desiderio; e potete averne prova dal mio incarnato – quando vi guardo – giacché muta e trascolora, per cui sarebbe carità e cortesia se Umiltà vi prendesse, chiedendo grazia per questo sventurato, bisognoso di ogni bene.

VI. Ben mi piace il marchese Guglielmo Malaspina, perché conquista Pregio e Pregio lo ha conquistato a sua volta.

VII. Donna Beatrice d’Este, il bene che è in voi fa migliorare le altre con le loro qualità.

 

 

 

Testo: Caïti-Russo 2005, con modifiche di lg limitate alla punteggiatura. – Rialto 24.viii.2017.


Mss.: A 135v, B 83r, C 90v, D 70r, E 82, Fa 54, G 38r, I 54r, K 40r, L 12r, M 91r, N 158v, P 12v, Q 13r, R 49v, S 165, U 42v, c 48v, f 46v, α 28993 (III cobla) = α1, α 33947 (I cobla) = α2.

Edizioni critiche: William P. Shepard, «An Unpublished Song of the Troubadour Aimeric de Pégulhan», in Studies for William A. Read. A Miscellany Presented by Some of His Colleagues and Friends, edited by Nathaniel M. Caffee and Thomas A. Kirby, Lousiana 1940, pp. 174-182, p. 174; The Poems of Aimeric de Peguilhan, edited and translated with introduction and commentary by William P. Shepard and Frank M. Chambers, Evanston (Illinois) 1950, p. 89; Gilda Caïti-Russo, Les troubadours et la cour de Malaspina, Montpellier 2005, p. 137.

Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. I, p. 232 (edizione parziale basata solo su A, vv. 1-12 e 41-42); Reinhilt Richter, Die Troubadourzitate im “Breviari d’Amor”. Kritische Ausgabe der provenzalischen Überlieferung, Modena 1976, p. 163 (edizione di α2), p. 164 (edizione di α1); Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizione vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 44 (testo Shepard - Chambers); Aimeric de Peguillan, Poesie, a cura di Antonella Negri, Roma 2012, p. 62 (testo Shepard - Chambers).

Metrica: a10 b10 b10 a10 c10’ c10’ d10 d10 (Frank 577:79). Cinque coblas unissonans di otto versi, seguite da due tornadas di due. Rime: -or, -en, -ia, -es. La canzone condivide lo schema metrico (ma solo parzialmente il timbro rimico) con un altro testo di Aimeric, Cel qui s’irais ni guerreia ab Amor (BdT 10.15).

Note: La canzone, di cui colpiscono «les feux d’artifice de l’annomination» (Caïti-Russo, Les troubadours, p. 7), si pone nel solco delle composizioni di Aimeric caratterizzate da uno stile estremamente elaborato, come ad esempio En Amor trop alques en qe·m refraing (BdT 10.25), il cui manifesto poetico si trova in Ses mon apleich non vau ni ses ma lima (BdT 10.47), vv. 1-6. La ricerca del virtuosismo stilistico trova ragione nella compenetrazione fra amor e chantar, di cui una chiave di lettura è offerta al v. 6: «que cujava amar ab mayestria». Non a caso, le coblas II, III e IV, maggiormente contraddistinte dall’uso dell’annominatio, disvelano il cortes engienh (v. 11) della preizon d’Amor (v. 9) dalla quale il poeta non può uscire: amar ab mayestria, che qui equivarrebbe a chantar ab mayestria, non sottintende a mio avviso un’allusione «alla possibilità di vivere la relazione amorosa mantenendosi sul piano di un’intesa sessuale svincolata da coloriture affettive», come sostenuto da Negri, Aimeric de Peguillan, p. 122, ma sarà da intendersi piuttosto come un’affermazione sul piano prettamente poetico di una vis amorosa, di cui già si trova esempio in Bernart de Ventadorn, Non es meravelha s’eu chan (BdT 70.31), vv. 1-4: «Non es meravelha s’eu chan / melhs de nul autre chantador, / que plus me tra·l cors vas amor / e melhs sui faihz a so coman». La poetica di Atressi·m pren quom fai al joguador (BdT 10.12) troverà non a caso continuazione in Als entendens de chantar (BdT 27.2), chanso totalmente basata sulle rime equivoche e derivative in relazione al binomio fra amor e chantar, nella quale Arnaut Catalan mostrerà apertamente il proprio debito verso Aimeric (per un’analisi del componimento vedi Luca Gatti, «Als entendens de chantar (BdT 27,2) e il discanto nel canzoniere di Arnaut Catalan», Critica del testo, 17, 2014, pp. 93-118; sul soggiorno di Arnaut in terra estense cfr. Arnaldon, per na Johana, BdT 461.27a). – La datazione del componimento si deve fondare sulla valutazione del doppio invio nelle tornadas ai protettori Beatrice d’Este e Guglielmo Malaspina, per cui si rimanda alle Circostanze storiche. La prima tornada, offerta a Guglielmo Malaspina, manca a Rf; la seconda, dedicata a Beatrice d’Este, manca invece ai canzonieri ABDf.

1 joguador. L’immagine del giocatore trova riscontro anche in poesie di altri trovatori: Arnaut de Cumenge, Be·m plai us usatges, que cor (BdT 28.1), vv. 19-24; Folquet de Marselha, Sitot me soi a tart aperceubutz (BdT 155.21), vv. 1-4; Gaucelm Faidit, S’om pogues partir son voler (BdT 167.56), vv. 23-31; Guiraut de Salaignac, En atretal esperansa (BdT 249.5), vv. 5-7; Peirol, D’un bon vers vau pensan com lo fezes (BdT 366.13), vv. 40-42. I riferimenti sono analizzati in Oriana Scapati, Retorica del “trobar”. Le comparazioni nella lirica occitana, Roma 2008, pp. 233-234. Il passo di Aimeric è stato inoltre letto alla luce di una polemica con Folquet de Marselha, per cui vedi Mario Mancini, Metafora feudale. Per una storia dei trovatori, Bologna 1993, pp. 221-224.

11 cortes engienh. Il sintagma viene impiegato con una certa frequenza nella poesia occitana: basti il rinvio a Jaufre Rudel, Lanquan li jorn son lonc en mai (BdT 262.2), v. 28.

13. Come giustamente sostenuto da Shepard - Chambers, The Poems, p. 92, non si può escludere che l’allusione di Aimeric al laccio di Amore fosse una reminiscenza dei versi di Giraut de Borneill, Aquest terminis clars e gens (BdT 242.12), vv. 65-67: «qu’eu·m sui d’un latz / pel col lassatz / a vos donatz».

17-20. Il douz bays di cui parla Aimeric è un «bacio-laqueus, ovvero un bacio-legame che tiene legati alla donna» (Gaia Gubbini, “Tactus”, “osculum”, “factum”. Il senso del tatto e il desiderio nella lirica trobadorica, Roma 2009, p. 229), nel quale è possibile ravvisare una sublimazione del rito dell’omaggio feudale. La metafora è rara, dal momento che liador costituisce hapax all’interno del corpus occitano.

25 tirador. Il sostantivo è impiegato, solo da Aimeric, anche in Li fol e·il put e·il filol (BdT 10.32), v. 23.

26 aziman. Il sostantivo ricorre anche in Bernart de Ventadorn, Lancan vei per mei la landa (BdT 70.26), v. 41: «vas se·m tira com azimans». Il senhal N’Azimans è attestato in Bernart de Ventadorn, Bertran de Born, e largamente in Folquet de Marselha.

33. Si concorda nella scelta della lezione A! (portata dalla maggioranza dei codici), contro Na, condivisa da CEQ (e messa a testo da Shepard - Chambers). In primo luogo, il senhal Na Gentils Cors non è altrove attestato, e non aiuterebbe certo a rischiarare il passo; in secondo luogo, l’interiezione a! ad inizio di verso è nell’usus scribendi di Aimeric, per cui vedi Mangtas vetz sui enqueritz (BdT 10.34), v. 49 (cfr. Caïti-Russo, Les troubadours, p. 142).

43 d’Est. Risultano significative a mio avviso le varianti di C de lo bes, EM d’aquest ben, R lo gran be: a tal riguardo non è forse azzardato supporre che alla base della diffrazione vi sia un tentativo di riscrittura del toponimo nell’archetipo (per la questione si rimanda alle Circostanze storiche).

[lg]


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Circostanze storiche