Rialto    IdT

 

Anonimo, Quor qu’om trobes Florentis orgulhos (BdT 461.70a)


 

Circostanze storiche

 

 

 

L’attribuzione a Peire Vidal nel ms. unico C è erronea, perché il testo è troppo tardo per poter essere ascritto a questo trovatore (cfr. Jeanroy 1934, vol. II, p. 285 nota 6). Avalle 1960, pp. xciv-xcv, indica, inoltre, che è l’ultimo di un gruppo di quattro testi che il solo codice C attribuisce a Peire Vidal (Aissi m’aven con cel qi seigniors dos, BdT 349.1; S’eu fos aventuratz, BdT 355.15; Ma voluntatz me mou guerra e trebalh, BdT 461.164a); in particolare sia Ma voluntatz me mou guerra e trebalh (BdT 461.164a) sia le nostre coblas «sono state scritte dopo la battaglia di Montaperti ad esaltazione di re Manfredi»: si tratta quindi di due testi, animosamente schierati dalla parte dei ghibellini, che circolavano assieme e svolgevano temi simili (il secondo è comunque composto dopo il 1261, perché allude alla riconquista di Costantinopoli da parte dei Grecx). Quanto alla loro presenza in C, Asperti 1995, pp. 68-70, e Resconi 2014, pp. 290-291, parlano di una intermediazione catalana, mentre Grimaldi 2009, p. 153, dà maggior peso al «criterio tematico sovrapposto e affiancato, nella fenomenologia della copia, alla disponibilità materiale dei testi». Per parte mia, posso aggiungere due elementi: da un lato, bisogna rilevare che il rubricatore ha ripetuto l’attribuzione peire tra la prima e la seconda strofa, come se non si trattasse di un testo unitario, anche se poi la seconda rubrica è stata erasa. Dall’altro, l’attribuzione a Peire Vidal potrebbe essere anche dovuta alla presenza nel testo dell’espressione «obra d’aranha» (v. 8), che, tra le poesie vidaliane, ritorna in En una terr’estranha (BdT 364.20 v. 49) e Mout es bona terr’Espanha (BdT 364.28 v. 17) ed è simile in Ges pel temps fer e brau (BdT 364.24 v. 70: fils d’aranha), con una frequenza, dunque, superiore a quella con cui compare negli altri trovatori; En una terr’estranha, BdT 364.20, è inoltre trascritto sul verso dello stesso foglio (cfr. anche Grimaldi 2009, p. 152, nota 252).

Che l’autore possa essere italiano o toscano, come ammette Barbero 1983, p. 83, o addirittura un senese, come ipotizzato da De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 225, non è dimostrabile, anche se la lingua del testo presenta almeno una stranezza in rima al v. 4 (ne dubita comunque Resconi 2014, p. 290, nota 63).

Le due coblas di Quor qu’om trobes si riferiscono a un momento successivo alla sconfitta dei fiorentini a Montaperti (4 settembre 1260) e certamente prima della morte del dedicatario Manfredi di Svevia a Benevento (26 febbraio 1266). La battaglia di Montaperti è per l’autore un fatto non recente: anche se l’uso di er (‘ora’) al v. 2 sembrerebbe riferirsi a un momento prossimo alla vittoria ghibellina, il verso («er los [= i fiorentini] trob’om cortes e avinens») può essere un’affermazione generica valida anche per gli anni seguenti fino al 1266. Del resto, l’autore non sta facendo altro che ricordare la preminenza ghibellina di quel lustro, per dissuadere i nuovi nemici angioini a intraprendere una campagna contro Manfredi. Che non siamo a ridosso del 1260, ma più avanti, è suggerito dall’espressione dei vv. 11-12, che fornisce altre coordinate cronologiche: qui si allude a Giordano d’Agliano, conte di San Severino, comandante a Montaperti delle truppe ghibelline, il quale in precedenza ha distrutto i fiorentini e ora li rende dolenti; ciò colloca la sconfitta fiorentina nel passato e la carica di Giordano come vicario in Toscana nel presente (dopo il 1261).

Le coblas sono collocate più avanti nel tempo rispetto a Montaperti da De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 225, ripreso da Barbero 1983, p. 83 e Grimaldi 2009, p. 151, che nell’espressione «sels del Caupiduelh» ‘quelli del Campidoglio’ (v. 15) vede un riferimento a «Carlo d’Angiò, sedente come Senatore di Roma in Campidoglio», che «andava allestendo la sua spedizione contro Manfredi» nel 1265. Bisogna comunque ricordare che il v. 15 è ipometro; «a sels» è integrazione del Raynouard 1816-1821, vol. IV, pp. 186-187.

Schirrmacher 1871, p. 657 riconosceva in “quelli del Campidoglio” Giovanni Savelli e Annibaldo Annibaldi, nipote di Alessandro IV. Questi entrarono in carica come senatori nel 1260 e ne uscirono prima della Pasqua del 1261 (ad aprile). In questo anno con l’elezione di Urbano IV (ad agosto) si avviarono le trattative con Carlo d’Angiò per il Regno di Sicilia. Ma durante l’elezione dei nuovi senatori, che avrebbero ricoperto la carica a vita, avvennero degli scontri a Roma tra i ghibellini, che elessero Manfredi, e i guelfi, che scelsero Riccardo di Cornovaglia. Poiché la situazione non si sbloccò e nessuna delle due fazioni poteva prevalere, nell’agosto del 1263 Carlo d’Angiò fu eletto senatore. I motivi di tale scelta non sono del tutto chiari, ma, oltre ad interessi economici romani verso la Provenza e verso il Regno di Sicilia, giocò un ruolo importante il desiderio di nominare una personalità potente e antisveva e, da parte del papa, di concludere velocemente le trattative per la spedizione nel Regno di Sicilia. Che le trattative fossero in corso era cosa risaputa da più parti (su ciò cfr. Herde 1977; Waley 1961; Koller 2007). Per questo l’autore delle coblas ammonisce “quelli del Campidoglio”, nell’incertezza generale che regna a Roma, a non immischiarsi nelle vicende del Regno di Sicilia e – forse – a non eleggere quelle personalità ostili a Manfredi e così pervicacemente ricercate dal papa e dai guelfi (prima del 1263).

Tuttavia, l’ammonizione del v. 15, unita al verso seguente, in cui si dice che “quelli del Campidoglio” non devono aver fretta di invadere la Campania, sembra alludere con più probabilità non alla confusione che precedette l’elezione di Carlo dell’agosto del 1263, quando un intervento nel Regno di Sicilia era ancora ipotetico, bensì ai preparativi per la spedizione nel 1265, quando l’angioino era già a Roma. Pertanto la ricostruzione di De Bartholomaeis è preferibile a quella di Schirrmacher. Va ribadito, però, che entrambe le interpretazioni sono costruite a partire dall’integrazione sillabica di Raynouard, ciò che ne diminuisce l’attendibilità.

 

 

Bibliografia

 

Asperti 1995

Stefano Asperti, Carlo I d’Angiò e i trovatori. Componenti «provenzali» e angioine nella tradizione manoscritta della lirica trobadorica, Ravenna 1995.

 

Avalle 1960

Peire Vidal, Poesie, a cura di d’Arco Silvio Avalle, Milano-Napoli 1960.

 

Barbero 1983

Alessandro Barbero, Il mito angioino nella cultura italiana e provenzale fra Duecento e Trecento, Torino 1983.

 

Davidsohn 1896-1927

Robert Davidsohn, Geschichte von Florenz, 4 voll., Berlin 1896-1927.

 

De Bartholomaeis 1931

Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931.

 

Grimaldi 2009

Marco Grimaldi, «Politica in versi. Manfredi dai trovatori alla Commedia», Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, 24, 2009, pp. 79-167.

 

Herde 1977

Peter Herde, «Carlo I d’Angiò, re di Sicilia», in Dizionario Biografico degli Italiani, 20, 1977, versione in rete (www.treccani.it).

 

Jeanroy 1934

Alfred Jeanroy, La poésie lyrique des troubadours, 2 voll., Toulouse-Paris 1934.

 

Koller 2007

Walter Koller, «Manfredi, re di Sicilia», in Dizionario Biografico degli Italiani, 68, 2007, versione in rete (www.treccani.it).

 

Raynouard 1816-1821

François Juste Marie Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821.

 

Resconi 2014

Stefano Resconi, «La lirica trobadorica nella Toscana del Duecento: canali e forme della diffusione», Carte romanze, 2, 2014, pp. 269-300.

 

Schirrmacher 1871

Friedrich Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen, Göttingen 1871.

 

Waley 1961

Daniel Waley, «Annibaldo Annibaldi», Dizionario Biografico degli Italiani, 3, 1961, versione in rete (www.treccani.it).

 

Giorgio Barachini

28.ix.2018


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