Rialto

352.1

 

   

Peire de la Mula

 

 

 

 

   
   

I.

   
   

Dels joglars servir mi laisse,

  Mi astengo dall’essere amico dei giullari, signori, ascoltate perché e come: perché il loro disturbo cresce e aumenta, e chi più è loro amico sbaglia, perché chi vale meno di tutti vuole essere considerato il migliore; e sono così tanto aumentati nel mondo da risultare più [numerosi] dei piccoli levrieri.

 

   

seignor, aujatz per que ni com:

 
   

car lor enois creis e poja,

 
4  

e qui mais los serv mescaba,

 
   

car cel que meins valra que tut

 
   

vol c’om per meillor lo teigna;

 
   

e son ja tant pel mon cregut

 
8  

que mais son que lebrier menut.

 
   

 

 
   

II.

   
   

Lor affars cuich que abaisse,

 

Penso che i loro affari vadano male, perché loro sono più pesanti del piombo e più [numerosi delle gocce] di pioggia. Perciò io non stimo una rapa la loro maldicenza, anzi, credo che mi giovi; e voglio che i baroni ricordino che io considero accresciuto il loro pregio se sono malvoluti da [questa] cattiva gente.

   

car ill son plus pesan que plom

 
   

et eis sont mais que de ploja.

 
12  

Per q’ieu non pretz una raba

 
   

lor mal dir, anz cre que m’ajut;

 
   

e vuoill q’alz baros soveigna

 
   

c’aisi teing eu lor pretz cregut

 
16  

s’il son d’avol gen mal volgut.

 

 

 

 

Testo: Chiara Cappelli, Rialto 1.iv.2019.


1. servir: il significato di ‘essere amico’ è attestato nel SW, VII:622, con riferimento al v. 7476 del Jaufre «e m’a servit e onrat tant». Anche De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, vol. II, p. 122, opta per questa accezione del verbo, «io mi distolgo dall’essere amico de’ giullari», mentre Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 246, preferisce tradurre «mi tolgo dall’abitudine di onorare i giullari». Siamo però d’accordo con Riquer, Los trovadores, p. 804 (nonostante egli preferisca attribuire a servir il significato di ‘fare un regalo’), quando afferma che, in qualunque modo si decida di tradurre il verbo, bisogna farlo nello stesso modo anche al v. 4, in cui ricompare nella forma presente indicativa.

3. enois: anche Aimeric de Peguilhan, in Li fol e·il put e·il filol (BdT 10.32), definisce i giullari al v. 4 «enoios e mal parlan», oltre che troppo numerosi («per un de nos dos de lor», v. 7), proprio come fa qui Peire al v. 8. La corrispondenza dei toni e delle parole tra i due trovatori si spiega facilmente: Aimeric de Peguilhan, tolosano di nascita, è attivo a partire dal 1212 circa presso le più note e fiorenti corti italiane; nel 1220, durante la composizione di questo sirventese, il trovatore è ospite del marchese Manfredi III di Saluzzo, salito al potere a undici anni nel 1216. Affiancato nel governo dalla nonna Adelaide e da un collegio di consiglieri, il marchese avrebbe dovuto uscire di tutela al raggiungimento della maggiore età proprio nel 1220, a quattordici anni. In Li fol e·il put e·il filol Aimeric chiede apertamente al marchese di liberarsi di coloro che si sostituiscono a lui nel governo così da impedire che folle di mercenari e giullari di poco valore entrino a corte solo per sfruttarne le ricchezze e la protezione. Il trovatore tolosano aveva già espresso tale timore nel planh per la morte di Guglielmo Malaspina, Era par ben que Valors se desfai (BdT 10.10), in cui però la causa scatenante del problema era legata all’eccessiva e malriposta generosità del compianto signore.

8. lebrier: questa lezione, attestata solo nel manoscritto A (lobret CR, lobrer in Da), non è mai stata adottata da nessun editore prima d’ora; infatti, sia Witthoeft (che legge erroneamente lobres in Da) sia Bertoni l’hanno corretta, il primo in lebrat, il secondo in lebret, «leprotti» (Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 246). Witthoeft non giustifica la sua scelta. Bertoni, invece, considera lebrier una lectio facilior e lobret un errore derivato dallo scambio fra e ed o, mentre il suffisso -et sarebbe un diminutivo «che si ha, p. es., in lobet “lupetto”» (Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 507); se consideriamo, però, che l’attributo seguente è menut, ovvero ‘piccolo’, l’ipotesi di un suffisso diminutivo risulta poco plausibile. La lezione lebrier, ‘levrieri’, ha a nostro avviso pari validità: non è inverosimile che Peire paragoni i giullari a tanti piccoli cani, la cui razza è tradizionalmente accostata alla bravura, grazie alla loro velocità, nella caccia; nello specifico, i levrieri vengono utilizzati soprattutto nella caccia alla lepre che agguantano tramite il loro morso. Un simile riferimento lo ritroviamo, ancora una volta, nel sirventese contro i giullari di Aimeric de Peguilhan, Li fol e·il put e·il filol (BdT 10.32): ai vv. 3-5, i «joglaret novel», ovvero i componenti della nuova giulleria, vengono prima criticati perché «corron un pauc trop enan», poi vengono definiti «mordedor»; tali caratteristiche sono assimilabili proprio a quelle dei levrieri.

11. eis sont: la lezione di A si discosta da quella degli altri manoscritti, che invece presentano es en (CR) e eissen (Da). Secondo Bertoni, che in questo caso preferisce seguire CR, «si potrebbe pensare, accogliendo eissont o eissen, a “escono, sorgono più che per effetto della pioggia” (come i funghi)» (Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 507). Noi abbiamo preferito, seguendo Witthoeft, conservare la versione di A e considerare eis e sont due elementi separati.

13. mal dir: potrebbe voler indicare sia le ‘dicerie’, i pettegolezzi, a cui è sottoposto Peire sia il ‘parlar male’ dei giullari, ovvero la loro litigiosità, la loro maldicenza, il loro comporre invettive contro i colleghi. Tuttavia, accuse simili vengono indirizzate allo stesso Peire da Palais nella cobla Mout se feira de chantar bo recreire (BdT 315.4): si tratta di una critica diretta e individuale fatta a Peire che viene incolpato di essere un ubriacone e un mediocre poeta attraverso un volgare gioco di parole (v. 5: «Neus un Peire qui fa la mula peire»). È, dunque, possibile che la cobla di Palais sia una risposta proprio al sirventese di Peire (cfr. Witthoeft, Sirventes Joglaresc, p. 72; Antonio Restori, Palais, Cremona 1892, p. 16; Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 57; De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, vol. II, p.122; Peter Thomas Ricketts, «Le troubadour Palais: Edition critique, traduction et commentaire», in Studia occitanica in memoriam Paul Remy, 2 voll., Kalamazoo 1986, vol. I, pp. 227-240, p. 235).

[CC]


BdT    Peire de la Mula

Testo