Rialto

437.25

 

Sordel

 

 

 

 

Puois no·m tenc per pajat d’amor

e·m sobra raisos de maldir,

en abans qe vegna pascor

voigll faire u serventes ausir,

5

e luoc de ver mesatge

qe·m dig’als tres deseretatç

qe puois om es desvergognatç

tan, qe dintç son corage

non tem aunir, vius desonratç

10

val trop mentç qe mortç soteratç.

Desonratç ab pauc de valor

viu tutç homs, puois si laisa aunir

ni deseritar ses clamor,

ni ses demanes contradir;

15

e s’enten mon lengagie

nostre reis d’Aragon, be·m platç

car gient es Amilhau cobratç

q’el ac ab vasalagie;

mas no·n fun aunitç ni blasmatç

20

ni·n pres trega, ni·n guret patç.

Qan ves de Belcaire la tor

lo coms ben si deu esgausir

de Tolsan, car a grant onor

a cobrat l’intrar e l’iscir.

25

Pero dedintç l’estagie

dison encar, si be·l desplatç:

«Beu sire, per qe·us conortatç?»

A·l conort del salvagie

lo cons qi gia fon ducs clamas,

30

mas non es entiers lo comtatç.

Be·m plai del comte mon segnor

car li vei la renda cuglir

del port de Marsili’a onor;

mas al comte la fes tenir

35

l’autr’an, al gran pasagie,

de Tolsan, per qe n’es seçatç,

e mos segner en viu onratç.

Leu revenra·l damagie,

puois a l’egleiça s’es iratç,

40

ni qier perdon de sos pecatç.

Car lui nembri la desonor

qe lur fai malvastaç sufrir,

de tutç treis n’aurai desamor;

mas sol Dieus gart lieis cui desir,

45

qe ten mon cor en gage,

tutç om, per q’en si’airatç,

de mon dan voigll sia preiatç;

e se dic nul oltragie,

fai m’o dir lo pretç e·l rictatç

50

de lieis a cui eu me soi datz.

Plasentç dompna, cui me sui datç,

gais viu per vos et enveatç,

cant pens c’ab alegragie

serai encar per vos amatç,

55

si gia·us prent d’amar volontatç.

 

 

 

Testo: Boni 1954 (XX). – Rialto 31.vii.2006.


Ms.T 217r.

Edizioni critiche: Cesare De Lollis, Vita e poesie di Sordello, Halle 1896, p. 152; Marco Boni, Sordello, le poesie, Bologna 1954, p. 122; James J. Wilhelm, The Poetry of Sordello, edited and translated, New York - London 1987, p. 84.

Metrica: a8 b8 a8 b8 c6’ d8 d8 c6’ d8 d8 (Frank 424:10). Cinque coblas unissonans di dieci versi con una tornada di cinque versi. Lo schema metrico e le rime sono condivisi da altri undici testi: il modello dell’intero corpus è verosimilmente la canzone di Giraut de Borneill No posc sofrir qu’a la dolor (BdT 242.51); troviamo poi, oltre al componimento di Sordello di cui è questione, i sirventesi No sai re ni emperador (BdT 242.52) e Be·m platz lo gais temps de pascor (BdT 80.8a), la cobla Amors vol drut cavalcador (BdT 461.21, interpolata in parte della tradizione all’interno di BdT 80.8a), il mieg sirventes di Dalfinet De meg sirventes ai legor (BdT 120.1), il sirventese di Falquet de Romans Quan cug chantar, eu plaing e plor (BdT 156.11), la canzone di Peire Cardenal Ar mi posc eu lauzar d'amor (BdT 335.7), il sirventese di Guillem Fabre On mais vei, plus trop sordejor (BdT 216.1), la tenzone tra Guiraut Riquier e il conte d’Astarac Coms d'Astarac, ab la gensor (BdT 248.20) e la cobla d’argomento amoroso di Bertran Carbonel Qui per bo dreg se part d'amor (BdT 82.76). Si noterà che il metro sembra godere di una certa fortuna all’interno dell’ambiente poetico provenzale gravitante intorno al conte Raimondo Berengario V, rappresentato dal sirventese di Sordello, da quello di Falquet de Romans e da Be·m platz, se si accettano le conclusioni di Pietro Beltrami, «Remarques sur Guilhem de Saint Gregori», in Giuliano Gasca-Queirazza (a cura di), Atti del II congresso internazionale della AIEO (Torino, 31 agosto-5 settembre 1987), Torino 1993, pp. 31-43, e Michele Loporcaro, «Be·m platz lo gais temps de Pascor di Guilhem de Saint Gregori», Studi mediolatini e volgari, 34, 1988, pp. 27-68.

Note: Il testo, composto in Provenza alla corte del conte Raimondo Berengario V, è probabilmente databile intorno al 1238, anno in cui il conte Raimondo VII di Tolosa subisce la scomunica papale, poco dopo la sua conquista di Millau; per una discussione della datazione si legga Boni, p. 122 e pp. lxviii-lxix. Per un’interpretazione complessiva della lirica si leggano il citato saggio di Loporcaro, che nota in particolare il rapporto intertestuale con BdT 80.8a e BdT 242.52 (p. 61 n. 40), e Martin Aurell, La vielle et l'épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989, che alle pp. 139-140 ricostruisce il contesto storico (ma non coglie affatto l’ironia del testo). – Al v. 6 compare il temine deseretatç, che riassume la temperie ideologica in cui si muove l’intero componimento, noto difatti come sirventese dei tre diseredati. Se è indubbio che il tema dell’onore è caro a Sordello per una sua peculiare vocazione alla precettistica morale, va considerato d’altra parte che il motivo dell’eredetatz, interpretato segnatamente come argomento di critica ai rics o ai baros malvatz, appare tipico di una maniera Bertran de Born di poetare, adottata da un gruppetto di poeti (fra i quali Sordello) operanti in Provenza negli anni ’20-’30 del Duecento. Si leggano in proposito le riflessioni di: Pietro Beltrami, «Per la storia dei trovatori: una discussione», Zeitschrift für französische Sprache und Literatur, 108, 1998, pp. 27-50 (in particolare pp. 35-37); Stefano Asperti, «Sul canzoniere provenzale M: ordinamento interno e problemi di attribuzione», Studi provenzali e francesi, 1986-87, pp. 137-169 (p. 149); Elisa Guadagnini, «La cerchia di Blacatz e la crociata di Federico II», Studi medievali, 46, 2005, pp. 309-331. – Per il concetto in base al quale il vivere disonorato è peggio della morte, espresso ai vv. 9-10, si confronti in particolare Be·m platz lo gais temps de pascor (BdT 80.8a, v. 40); per altri passi paralleli, in particolare con  componimenti di Peire Vidal, si veda Boni, p. 126, nn. 9 e 10. – I vv. 16-17 fanno riferimento alla riconquista di Millau (lat. Amiglavum, da cui la forma Amilhau) da parte di Raimondo VII di Tolosa, avvenuta nel 1237: un riferimento al medesimo evento ricorre nel planh in morte di Blacatz (BdT 437.24, v. 27). – Al v. 18 la forma verbale ac si spiega come riferimento alla conquista della città da parte di Giacomo I, successiva alla perdita della città sancita dal trattato di Parigi nel 1229 e precedente la citata riacquisizione da parte del conte di Tolosa. – Il senso dei vv. 19-20 è dibattuto: Boni intende, con De Lollis, che Sordello faccia riferimento alla mancata rassegnazione da parte di Giacomo I alla perdita della città, associata comunque ad un rimprovero per non aver tentato immediatamente o con maggior forza la riconquista. L’editore cita anche un’ipotesi di Levy, che intenderebbe invece il passo in senso marcatamente ironico: Sordello starebbe in realtà denunciando l’onta che merita Giacomo I per aver rinunciato all’impresa (si legga la nota di Boni, pp. 126-127). – I vv. 21-24 fanno probabilmente riferimento alla conquista di Beaucaire compiuta da Raimondo VII in gioventù, nel 1216. Per una disamina dell’importanza storica del sito e delle sue presenze nella lirica trobadorica, e per una ricostruzione degli eventi oggetto d’allusione in questi versi, risultano ancora utilissime le note di De Lollis, p. 253, n. 22 e pp. 258-259, nn. 21 e 24 (si legga però anche Boni, p. lxix, n. 255). Come sottolinea Boni, il ricordo del passato eroico del conte di Tolosa è finalizzato a metterne in risalto la pusillanimità attuale (p. 127, n. 23-24). – Al v. 28 il selvaggio che gioisce del cattivo tempo è personaggio proverbiale assai diffusamente attestato: si leggano le note di Boni (p. cxliii, n. 137) e De Lollis (p. 259, n. 28). – Per la perifrasi del v. 29 si confrontino i versi 23-24 del sirventese Non pueis mudar (BdT 437.21): è sicuramente vero che, come ricorda Boni (pp. 127-128, n. 29-30 e p. cxxxvi, n. 83), Sordello fa qui riferimento alla perdita del titolo di Duca di Narbona subita da Raimondo VII in conseguenza del trattato di Parigi, ma a mio parere anche in questo testo si gioca sul doppio senso del termine duc, che significa anche ‘allocco, sciocco’. – Per il riferimento alle rendite del porto marsigliese dei vv. 31-33 si ripropone l’ambiguità interpretativa che permea tutto il testo: è possibile tanto intendere il passo alla lettera, immaginando che Sordello faccia riferimento ad un periodo in cui Marsiglia è effettivamente sottomessa al conte provenzale, quanto interpretarlo ironicamente ipotizzando che il poeta stia invece rinfacciando al suo signore la totale autonomia della città (Boni, p. 128, n. 31-33). A dimostrazione dell’importanza delle rendite portuali, e specificamente della loro perdita, De Lollis nota che un analogo riferimento è contenuto nel sirventese di Bertran d’Alamanon all’indirizzo del nuovo conte di Provenza, Carlo I d’Angiò, Pueis chanson far no m'agensa (BdT 76.15, vv. 8-9; De Lollis, p. 259, n. 32-34). – I vv. 34-36 alludono a un’invasione della Provenza da parte dell’esercito di Raimondo VII di Tolosa, identificabile con quella del 1232 o anche con quella del 1230 (Boni, pp. 128-129, n. 34-36). – I vv. 39-40 vanno riferiti al conte di Tolosa e non a Raimondo Berengario: come sottolinea Boni, questi è il meno colpito dei signori citati, mentre il più infamato è il suo acerrimo nemico Raimondo VII (p. 128, n. 29-30). – Il v. 45 è praticamente identico al v. 28 della citata canzone di Peire Cardenal Ar mi posc eu lauzar d'amor (BdT 335.7). – Al v. 47 il manoscritto porta la lezione demandan: per una rassegna delle proposte di emendamento avanzate dai diversi studiosi si legga Boni, che giustifica il proprio testo, sulla scia di Naetebus e Levy, richiamandosi alla seconda tornada del planh in morte di Blacatz (BdT 437.24, v. 44; Boni, p 129, n. 46-47). – Al v. 52 enveatç(= envezatz) significa ‘gioioso’.

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