I.
II.
III.
IV.
V.
T.
VI.
I. La sera onorevole e gioiosa, in cui la mia salda attesa venne, con bella condotta, a esaudire in modo nobile la mia richiesta d’amore, mi riporta a quei piaceri grazie al dolce ricordo e mi fa comporre canzoni, dalle quali pensavo d’allontanarmi; perché è davvero giusto che io canti gaio e gioioso, dato che colei di cui sono innamorato e che è la più nobile che mai vi sia stata, vuole me e le mie canzoni.
II. Ché lei graziosa, eccellente, cortese, d’animo nobile, pura, preziosa, valente, umile e di alta condizione, e gli occhi amorosi, che mi seppero togliere il cuore, e il suo amore, per il quale mi inchino verso la Provenza, mi hanno elevato tanto in alto che sono appagato e innalzato, purché il nostro amore sia gioia perfetta, e non ne manchi la possibilità.
III. Perché in colei che mi aggrada si trovano giusta sapienza, valida conoscenza, umile aspetto e pregio con grande valore, e onorabilità e nobile comportamento; e di ciò sono gaio cantore, al fine di riferire quanto ella valga, e le sono grato dei doni, dei piaceri deliziosi e della mestizia, che io le vidi sopportare al momento del penoso commiato pieno di dubbi e angoscioso a causa dei sospiri.
IV. Per questo è necessario il perdono, perché tardai un po’ a tornare in fretta da lei nella sua dimora; perciò la prego lealmente in ginocchio che la pietà la vinca a mio favore e mi perdoni la mancanza; ché né l’onore né il giacere con lei né il baciarla né l’averla con me mi trattengono qui né mi fanno esitare, dunque non abbia timore che la mia volontà sia mutevole.
V. Ma se il viaggio che ho intrapreso per penitenza là dove il vero Dio s’incarnò le reca dolore al cuore, tale dolore non deve continuare a possederlo, perché, secondo ogni valida opinione, tra tutti i pregi degni di nota il maggiore è quello di chi, nelle proprie facoltà e gioioso, va a servire il re glorioso che è vero salvatore, perché in cielo e quaggiù la ricompensa sarà abbondante.
T. Donna Maria, voi siete tanto bella e tanto eccellente che non vi è imperatore al mondo che non fosse onorato dei vostri doni.
VI (ms. a1). Ormai è tempo d’andare con Dio padre. Colui che morì per noi, sia guida a noi e ai compagni che sono nostri confratelli per obbligo d’obbedienza (m’aiuti ora la loro fede!); e Egli accolga con sé le persone e gli averi, che essi hanno elevato nel suo servizio, e Gli sia dolce vista il tormento e il duro soffrire.
I. The honoured, joyous evening, in which my firm hope, in a beautiful way, came graciously to fulfil my request for love, brings me back to those pleasures thanks to sweet memory and makes me compose songs, from which I thought to withdraw; for it is very right that I should sing, merry and joyful, since the one with whom I am in love and who is the noblest who ever was, wishes for me and my songs.
II. For her graceful, perfect, courtly person, noble, precious, worthy, gracious and high-born, and the amorous eyes which were able to steal my heart away, and her love, for which I bow before Provence, have [all] raised me up so high that I am full of bliss and elation, as long as our love is perfect joy and it is possible to fulfil it.
III. For in the one who pleases me are true wisdom and valid understanding, an unaffected demeanour and reputation of great price, honorability and noble conduct; and I sing gladly of these things in order to tell of her worth, and I appreciate the gifts and the delicious pleasures and the sadness I saw her feel at the moment of our painful farewell, full of doubts and anguished sighs.
IV. For this pardon is needful, for I delayed a little in returning speedily to her in her dwelling; so I beg her faithfully on my knees that mercy will win her over in my favour and forgive my fault; for neither honour nor sleeping with her nor kissing nor having her with me keep me here or make me hesitate, so let her not fear that my desire might change.
V. But if the journey I have undertaken for penance to the place where the true God became incarnate, brings pain to her heart, such pain should not continue to possess it: for, according to every valid opinion, of all qualities worthy of note the greatest is that of the one who goes, in good health and joyfully, to serve the glorious King who is the true Saviour, for in heaven and here below the reward will be rich.
T. Lady Maria, you are so beautiful and so excellent that there is no emperor in the world who would not be honoured by your gifts.
VI (ms. a1). Now it is time to go with God the Father. May He who suffered death for our sake be a guide to us and to the companions who are our fellows in the duty of obedience (may their faith now assist me!); and may He receive for Himself the persons and goods which these have dedicated to His service, and may the torment and harsh suffering be sweet in His sight.
3. La razo BdT 167.B.D individua un senhal nella locuzione bels espers (con l’aggettivazione di ABIKa1, mentre CDaNR hanno bos, qui a testo) e lo identifica esplicitamente con Jordana d’Ebreun, di cui non v’è traccia nei documenti medievali. La razo è tràdita solo da N2 ma l’identificazione è ripetuta nella razo BdT 167.B.E, che commenta BdT 167.40 e 167.15 ed è trasmessa dal ms. P. L’espressione bon esper o bel esper è usata a più riprese da Gaucelm Faidit con il significato proprio di «buona/bella speranza» o «buona/bella attesa» (che i mss. ABa1 tentano d’esplicitare al v. 4 con atendensa) e nella maggioranza dei casi è indubbio che non si tratta d’un senhal: si veda al riguardo Asperti (Il trovatore, pp. 34-41), che, a causa dell’analogo uso di Bel-Esper in Perdigon e in virtù dei rapporti tra quest’ultimo trovatore e Gaucelm Faidit, non esclude che in pochi casi possa trattarsi d’un senhal, benché l’eventualità resti piuttosto remota. Per quel che interessa qui, si possono notare alcuni fatti: il nostro testo è uno dei casi in cui l’espressione bels/bos espers maggiormente si avvicina ad un senhal; in effetti ai vv. 2-4 ab bela parvensa / venc mos bos espers / gen complir m’entendensa l’accostamento tra mos bos espers e la bela parvensa sembrerebbe ‘personificare’ il primo (si tratterebbe dunque della bela parvensa di Bos-Espers), ma un’interpretazione letterale non lascia insoddisfatti: «la mia salda attesa giunse/riuscì, con bella condotta (oppure: con bella visione, quella della dama), a compiere in modo nobile la mia richiesta d’amore»; si tratta in effetti del topos per il quale il vero amador è colui che sa attendere e sperare (entrambi campi semantici coperti da esper) ed è proprio la salda e speranzosa attesa che porterà al compimento dell’amore. Vedervi un senhal non è inammissibile, ma non è neppure una necessità; del resto, come già indicava Mouzat (Les poèmes, pp. 297-298), sarebbe strano l’invio a Maria de Ventadorn d’una canzone già dedicata a Bos/Bels-Espers, a meno che le due figure non coincidano, cosa che, a differenza di ciò che credeva Mouzat, si può escludere: troppe sono le canzoni di Gaucelm in cui Maria è menzionata nominaliter per pensare che in un esiguo numero di testi egli abbia voluto celarne l’identità. Il ragionamento di Mouzat va compiuto a ritroso: poiché Maria, a cui la canzone è dedicata, non è Bos/Bels Espers, tale espressione doveva in ogni caso suonare come sufficientemente comprensibile su un piano letterale da rendere inverosimile che si trattasse d’un senhal. Ciò non esclude che in plurime esecuzioni il testo non abbia avuto molteplici dedicatari: la tornada contenente il nome di Maria è infatti solo in ABIK e tale tradizione limitata potrebbe essere traccia di un’aggiunta successiva; in questo caso un testo, dedicato inizialmente a Bos/Bels-Espers, potrebbe essere stato in seguito dedicato a Maria de Ventadorn in virtù del forte mimetismo di un senhal che poteva passare inosservato. Infine, si può considerare che l’identificazione di Bel-Esper da parte degli autori delle razos con una donna di Provenza è probabilmente generata dal v. 21 del nostro testo e che tali identificazioni non sono sempre attendibili: nella razo BdT 167.B.E di P si dice, ad es., che in Gaucelm Faidit Lignaure era Raimon d’Agout, ma, come rilevavano già Kolsen, Meyer e Stroński, ciò è impossibile perché Raimon compare come persona distinta da Lignaure nelle tornadas di BdT 167.37 e 167.45 (cfr. Giorgio Barachini, «Una (quasi) nuova canzone di Gaucelm Faidit (BEdT 167,4a) e il suo quadro culturale», in Le forme del tempo e del cronotopo nelle letterature romanze e orientali, a cura di Gaetano Lalomia et alii, Soveria Mannelli 2014, p. 573, nota 30).
17. Il verso ha un senso ossimorico: l’umiltà e l’alta condizione sono infatti opposti. I mss. AB trasmettono d’azaut in luogo di e d’aut (B in realtà ha e d’azaut), lezione che costituirebbe una difficilior se non annullasse l’effetto ossimorico (e se non fosse relegata su un ramo del gruppo ABIK).
19-22. La divergenza di lezione tra AB+IK e CDaNRa1 è di difficile spiegazione. È possibile che il fattore dinamico dei versi sia stato il susseguirsi di soggetti (cors... oil... bevolensa) tra loro distanti e separati da aggettivi o da frasi relative, con il verbo principale che compare solo al v. 22. I mss. AB+IK avrebbero eliminato la relativa del v. 19 e collegato bevolensa del v. 20 ad atraire grazie a vas (intervento simile in Ca1 che al v. 20 hanno a sa bevolensa). Un secondo fattore dinamico sembra essere stato la forma saubon interpretata come sap bon da IK e R, nonché Da (saub ben, da confrontare con sauben di N), forse perché oil al v. 18 è stato inteso al singolare. Non è da escludere che il v. 19 potesse essere ipometro: l’espansione traire > atraire e le inserzioni gent o cor sono molto comuni (Maurizio Perugi, Le canzoni di Arnaut Daniel, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, vol. I: Prolegomeni). Seguo la lezione maggioritaria tra i mss. CDaNR. Il ms. a1 ha al v. 19 una lezione propria che pare risultare dall’unione delle due principali lezioni concorrenti.
21. Il verbo soplegar significa «se plier; s’incliner; se soumettre; supplier» (PD, p. 352). La Provenza è il luogo in cui risiedono la donna e la sua bevolensa, verso cui l’io lirico s’inchina o a cui si sottomette. È difficile dire se Gaucelm intendesse la Provenza propriamente detta (cioè la contea e il marchesato di Provenza), come ha inteso l’estensore della razo che pertanto vi colloca la presunta destinataria Jordana d’Ebreun, o per metonimia l’intera area occitana; ed è difficile precisare la ragione di tale indicazione geografica: se infatti una localizzazione provenzale per il senhal Bel-Esper è asserita da Asperti (Il trovatore, p. 41), si deve tener presente che il verso doveva risultare comprensibile anche nel momento in cui il testo fosse stato riutilizzato, cioè quando la dedicataria fosse stata Maria de Ventadorn. La soluzione di Mouzat (Les poèmes, p. 298) è definita «assolutamente semplicistica» già da Asperti (Il trovatore, p. 40, nota 52): Gaucelm Faidit, in viaggio per la Terra Santa, volendo dedicare la canzone a Maria de Ventadorn in Limosino, si sarebbe volto verso tale territorio e avrebbe inviato i propri saluti verso la Provenza (frapposta, secondo Mouzat, tra il luogo in cui si trovava Gaucelm e il Limosino, nonché suggeritagli dalla rima). Così facendo, Mouzat trascura che l’invio a Maria non è necessariamente contemporaneo rispetto alle prime cinque strofe e che Gaucelm Faidit non corrisponde verosimilmente all’io lirico.
25. Lezer indica la possibilità o la licenza di poter fare qualcosa a proprio piacere. Esprime pertanto i concetti di possibilità, d’occasione favorevole, di desiderio, di gioia. L’io lirico sta dicendo che egli sarà appagato, felice (v. 23), a patto che l’amore reciproco tra sé e la dama (nostra benvolensa, rimante ripetuto rispetto al v. 20) giunga al compimento di ciò che essi desiderano, dato che non manca loro la possibilità di ottenerlo (v. 26).
48-50. Nella versione di ABIK al v. 49 si hanno preiars e plazers, forse per attenuare la sensualità del passo e per evitare la rima identica con il v. 31, in realtà semanticamente equivoca. Al v. 50 il verbo al plurale e l’espressione en bistensa di ABIK + C (contaminato) sono faciliores rispetto al verbo al singolare concordato solo con l’ultimo sostantivo dell’elenco; in questo caso bistensa può essere letto anche come voce verbale (al singolare come ten). Il senso dei versi è che i doni ricevuti o auspicati non trattengono l’io lirico “qui”, cioè lontano dalla dama, anzi lo spronano ad andare verso un sottinteso lai, “là” dove si trova il repaire della donna; per questo l’io lirico si premura subito di assicurare che la sua volontà di tornare non cambia (vv. 51-52). Ma il passo ha una sfumatura ambigua se rapportato alla strofa V: in questa prospettiva sembra infatti che l’onors, il jazers, il baizars, il teners concessi dalla donna non possano trattenere l’io lirico “qui” e farlo esitare, perché costui si è ormai volto verso un impegno più grande, il pellegrinaggio (che costituirebbe dunque il lai a cui egli anela).
V. La lezione q’eu fau del v. 54 posta a testo da Mouzat è trasmessa dal solo ms. a1, che si è probabilmente preoccupato di rendere coerente il tempo verbale con l’idea che il movers non sia ancora finito e con la strofa VI trasmessa, non a caso, solo da a1. Ma tale lezione non è necessaria, perché movers è un infinito sostantivato che esprime un’azione in corso: non dunque il viaggio compiuto, ma anche la sola partenza, rispetto alla quale Gaucelm può parlare al passato. Del resto è chiaro che Gaucelm sta contrapponendo l’amore profano all’amore divino, dichiarando risolutamente che il secondo è lo maire (v. 60), il più grande, e in confronto ad esso il primo non può costituire un impedimento, né la partenza deve recare dolore alla dama (nella traduzione di Mouzat, Les poèmes, p. 301 una svista ha portato all’omissione del v. 57). Il discorso è così esplicito che l’impiego del termine guazardos a fine strofa (v. 65) indica non la ricompensa della dama secondo l’uso maggioritario nella poesia profana, bensì quella divina (el cel e sa ios, v. 64), e vuole esprimere l’idea che il vero guazardos non è quello cantato dai trovatori, ma quello promesso da Dio. Le varianti che distinguono ABIK da CDaNR sono adiafore (a1 riscrive con abbondanza, falsando le rime dei vv. 59-60 che non ha compreso): seguo, come in precedenza, il secondo gruppo.
66. Na Maria è Maria, viscontessa di Ventadorn, principale protettrice di Gaucelm Faidit in Limosino e tra le più importanti durante il suo intero periodo d’attività. Non si hanno date sicure sulla sua esistenza e sulla sua attività mecenatistica, collocabile comunque tra gli anni Novanta del XII secolo e i primi due decenni del XIII.
VI. La strofa può essere interpretata come prosecuzione del discorso di crociata che comincia nella strofa precedente: chi dice io dichiara di volersi muovere con l’aiuto di Dio padre (vv. 66a-67a). Si noti che il qi del v. 68a non può essere un pronome relativo unito a Dieu lo paire del v. 67a, come nel testo di Mouzat; non è infatti il Padre ad essere morto in croce, ma il Figlio, e la questione non è teologicamente irrilevante e, anzi, la confusione è alquanto improbabile per la coscienza d’un cristiano. Del resto, la guida di Iesu Cristz al momento di partire per la crociata è invocata anche al v. 2 di BdT 167.9. Gesù è dunque invocato come guida per il gruppo con cui Gaucelm si muove (nos, se così si vuole sanare l’ipometria del v. 68a) e per un secondo gruppo di “compagni” che sono detti “confratelli per obbedienza” (vv. 70a-72a); benché un’identificazione precisa di coloro a cui Gaucelm allude sia impossibile, si può comunque dare per certo che sia cofraire (v. 71a) sia obedïenza (v. 72a) rinviino alla sfera religiosa monastica (per obedïenza si vedano i significati registrati da C. du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, cum supplementis integris D. P. Carpenterii. Editio nova aucta [...] a Léopold Favre, 10 voll., Niort 1883-1888, vol. VI, col. 2); se Gaucelm partecipava alla crociata come pellegrino (sull’insostenibilità dell’opinione di Mouzat che egli fosse un cavaliere, si vedano le note a BdT 167.36 su questo sito), è probabile che qui si alluda a coloro che vi partecipavano o come sostegno religioso o come forza militare; in particolare gli ordini cavallereschi fonderebbero entrambe le funzioni. Gaucelm chiede quindi l’aiuto della loro fede, se si legge al v. 73a aid’er me lor crezenza: questo verso va considerato come un inciso, che non interrompe la serie di congiuntivi il cui soggetto è Cristo (sia v. 69a e teinha v. 76a, nonché concettualmente anche sia del v. 77a dove a Cristo è riferito il pronome ·il). Infine, Gaucelm prega che Gesù teinha en sa prezenza (v. 76a) le persone e gli averi (v. 74a) che essi (cioè i compaignos) hanno innalzato (cioè destinato) al Suo servizio (v. 75a) e che le sue e loro tribolazioni siano a Lui gradite (vv. 77a-78a). Tener en sa prezenza è locuzione infrequente; sa prezenza può essere una perifrasi per la terza persona singolare (SW, VI, 537, accez. 2); il senso è «tenga in sé, con sé», cioè «accolga, custodisca, protegga»: un concetto simile è espresso in BdT 167.14, vv. 28-29. La lezione del v. 78a è ripetuta in a1 due volte; al v. 52 il ms. legge lafanz nil mals paders e al v. 78a lafanz el mals paders: da un lato è evidente la commutazione della congiunzione ni > e (o viceversa) per fattori mnemonici, dall’altro è chiaro che paders aveva nell’antigrafo una -a- ben leggibile e non è riconducibile a una cattiva lettura di poders (emendamento a testo in Mouzat e Kolsen), il quale peraltro dà un senso incerto (cosa sarebbe questo mals poders “cattivo potere” messo sullo stesso piano di un chiarissimo ed inequivocabile afanz? «Gli sia dolce vista il tormento e il cattivo potere» ha un senso incoerente). Preferisco conservare l’incipitario pa- e attribuire la corruttela alla seguente -d- che potrebbe celare un nesso consonantico letto in modo errato: una grafia -rſ- può essere stata letta come -d- e rinvierebbe al verbo parser, di cui i dizionari riferiscono il senso di «souffrir, supporter» (PD, p. 278, lemma parcer) con ampia esemplificazione (SW, VI, 67-68). In tal modo il significato sarebbe simile a quello di afanz e perfettamente congruente nel contesto. Su questa cobla si aggiunga che l’essere alla presenza di Dio allude di solito alla morte terrena ed ha un valore escatologico e l’intera strofa potrebbe anche aver il senso ulteriore d’una preghiera in articulo mortis: si prega d’andare con Dio padre, avere la guida del Figlio, che ha già compiuto l’esperienza della morte, assieme ai confratelli ‘obbedienti’, invocare la loro fede, la loro preghiera e la loro generosità nel momento in cui si auspica di giungere alla presenza di Dio per il servizio reso e le sofferenze patite. La strofa è inoltre del tutto avulsa dalla finzione cortese che era ancora presente nella strofa V. Si notino, infine, la lacuna del v. 69a, e le forme tipiche di testi religiosi tardi, come am per ab raro nei canzonieri lirici, le grafie eus del v. 74a.
Edizione, traduzione italiana e note: Giorgio Barachini; traduzione inglese: Linda Paterson. – Rialto 2.ii.2016.
A 82r-82v (Gaucelms faiditz), B 51r-51v (Gaucelms faiditz), C 65v (Gau. faidit), Da 164v (Gauselm faidiz), I 35r (Gauselin faiditz), K 23rv (Gauselins faiditz), N 124rv (Ganselm faidiz), N2 25r (sezione di Gauselms faiditz), R 90v (Gaucelm faizitz), a1 162-163 (Gaucelms faiditz, corretto su Jaucelms). Tradizione indiretta: razo 167.B.D in N2 (vv. 1-3).
Edizioni critiche: Adolf Kolsen, Trobadorgedichte: Dreissig Stücke altprovenzalischer Lyrik zum ersten Male kritisch bearbeitet, Halle 1925, p. 20; Jean Mouzat, Les poèmes de Gaucelm Faidit, Paris 1965, pp. 294-296.
Analisi dei manoscritti: I manoscritti trasmettono un testo sostanzialmente omogeneo, anche a livello di ordine strofico; sono riconoscibili due gruppi di testimoni, solo in parte supportati da errori. Un gruppo è formato dai mss. ABIK (+ a1 per la strofa I), ulteriormente scomposti nelle coppie AB e IK. Esso rappresenta la tradizione orientale, dove il testo potrebbe essere stato aggiunto al nucleo ε+β (si veda la posizione quasi finale in A, assieme a testi di errata ascrizione). La costanza del raggruppamento si evince dalle varianti dei vv. 3, 19-20, 22, 40, 42-43 (dove la ripetizione di vas è al limite dell’errore), 46 (+ R), 47, 49, 50 (+ C), 60, 63, 65; la fonte utilizzata dai quattro testimoni è peraltro l’unica a veicolare la tornada dedicata a Na Maria, alternativa con ogni verosimiglianza alla strofa VI trasmessa dal solo a1 (come si è già visto, la tornada riprende la sirma della strofa V, non della strofa VI che a sua volta ha rime alternadas rispetto alla V). Quanto alle coppie AB e IK, esse sono più facilmente individuabili grazie ad errori: IK presentano errori ai vv. 4, 16, 48, 59 e varianti ai vv. 3 (mancano ABa1), 6, 7 (+ C), 19, 26, oltre ad una serie di fatti grafici comuni come ai vv. 8, 25, 37. Per AB gli unici errori che si rinvengono si trovano nella strofa I e sono comuni ad a1 (v. 2), a meno che non si voglia considerare erronea la grafia del v. 57; varianti si hanno ai vv. 4 (+ a1), 5 (grafia + a1), 11 (+ a1), 17, 19, 31 (+ N), 62. – I mss. CDaNR + a1 rappresentano forse la tradizione occidentale y, benché a rigore non si possa per essi parlare di gruppo o famiglia, perché, se è vero che le varianti di ABIK sopra indicate sono spesso deteriori, le lezioni di CDaNR + a1 negli stessi luoghi risultano corrette e non valgono a determinare un raggruppamento stemmatico; si noti che in Da BdT 167.33 è l’ultimo dei testi supplementari trascritti in questa sezione del canzoniere Estense. I testimoni non presentano errori comuni e in generale si oppongono a ABIK solo per le varianti già elencate sopra. Solo al v. 38 il numero plurale è a senso errato, ma si tratta di un fatto minimo facilmente emendabile e peraltro non condiviso da Da. In più luoghi ognuno dei mss. presenta lectiones singulares, per le quali si veda l’apparato, talvolta da non valutare come meri interventi del compilatore: al v. 2 ad esempio la singularis di N (tant per ab di CDaIKR) è confermata in tradizione indiretta da N2, che invece al v. 3 segue l’aggettivazione del gruppo ABIK (bels per bos). CDaNR non sono ulteriormente raggruppabili e sembrano copiare in modo indipendente una fonte corretta: così l’anticipazione di cors al v. 14 in NR e la conseguente ipometria del v. 15 (colmata da N con e) non hanno valore dimostrativo perché sono poligenetiche a partire dal forte enjambement con il verso seguente; al v. 14 peraltro la declinazione asigmatica comune a CR potrebbe indicare una nota relazione tra i due mss., ma il fatto è minimo e anch’esso poligenetico. La possibile relazione tra Da e N ai vv. 7, 19, 33 è altresì da respingere: nel secondo caso la confusa situazione delle varianti non permette un’analisi precisa, nel primo e terzo si tratta d’un intervento indipendente. Analogamente l’avvicinamento di R a ABIK al v. 46 è fortuito, così come poligenetico è quello tra C e a1 al v. 20. Infondata è, infine, anche la vicinanza tra C e Da al v. 49 (Da ha il rimante temers presente anche in C prima della raschiatura di una gamba della m), perché il testo presenta in più luoghi rime ripetute che possono aver confuso i copisti (cfr. benvolensa vv. 20, 24, traire vv. 19, 37; teners stesso vv. 31, 49). – Se dunque i mss. CDaNR provengono in modo parallelo da una fonte comune, va notato che C conosce anche la redazione di ABIK (in particolare di IK) che usa ai vv. 7, 50: il fenomeno è noto in quanto tra le molteplici fonti presenti al compilatore di C ve ne doveva essere una di provenienza orientale, prossima a IK. – Fonti plurime sono, infine, sicure anche per il ms. a1: questo usa una (nota) fonte vicina ad A per la strofa I (lacuna del v. 2, lezioni dei vv. 3, 4, 11, grafia del v. 5), per poi passare alla fonte comune a CDaNR per le strofe II-V. Una terza fonte specifica di questo ms. trasmette, infine, la strofa VI; a quest’ultima fonte possono essere addebitate le numerose lectiones singulares che contraddistinguono il testo di a1, che tuttavia potrebbero essere il risultato di una campagna d’interventi del compilatore stesso. – Non sono presenti errori d’archetipo, benché la tradizione piuttosto coesa faccia pensare a una provenienza non distante tra il gruppo ABIK e gli altri testimoni. Si propone qui la redazione dei mss. CDaNR + a1, sprovvista d’errori evidenti e della quale è in genere predicabile un minor grado d’intervento testuale. Grafia C.
Metrica: a5 b6’ a5 b6’ a5 b6’ c5’ c6’ d5 d6 c6’ d6 d6 (Frank 279:1). Rime: érs, ensa, aire, ós. Canzone di cinque strofe di tredici versi e una tornada di cinque versi; una sesta strofa con rime regolari è alternativa alla tornada. La definizione di sirventes-chanson in Frank e in BdT è suggerita dal contenuto autobiografico della strofa V (e VI), la quale tuttavia non esce del tutto dalla finzione lirica; e del resto nulla vietava di immettere contenuti storici in una canzone che non pretendesse d’essere un sirventese. Le coblas sono alternadas e inoltre capcaudadas perché le rime maschili a e d si alternano di strofa in strofa, così come le rime femminili b e c. La tornada riproduce gli ultimi cinque versi della strofa V (è dunque ‘regolare’) ed è trasmessa dai soli mss. ABIK che non possiedono la strofa VI, tràdita solo da a1; la strofa del canzoniere di Bernart Amoros è metricamente regolare e consequenziale rispetto alla strofa V, ma non conciliabile con la metrica della tornada (si veda comunque il caso di BdT 167.30); pare trattarsi d’aggiunta autoriale più tarda rispetto alle prime cinque strofe e alla tornada (cfr. Datazione). La fronte della cobla con alternanza di pentasyllabes maschili e hexasyllabes femminili è usata da Gaucelm Faidit anche in BdT 167.2 (imitato da Gormonda BdT 177.1, Guilhem Figueira BdT 217.2, e da Anonimo BdT 461.123, nonché da Peire Cardenal BdT 335.38 con parziale modifica dello schema). La nostra canzone è imitata da Anonimo BdT 461.76a. Anche BdT 167.55 (contesa da Gaucelm Faidit e Albertet de Sestairon) presenta tale alternanza iniziale.
Ordine delle strofe:
|
|
I |
II |
III |
IV |
V |
T |
VI |
|
ABIK |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
6 |
- |
|
CDaNR |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
- |
- |
|
a1 |
1 |
2 |
3 |
4 |
5 |
- |
6 |
Come emerge dalla strofa V e dalla strofa VI (che pare un’aggiunta autoriale seriore), il testo rinvia alla partenza dell’autore per un pellegrinaggio in Terra Santa: siccome da altre canzoni di Gaucelm Faidit sappiamo che ciò ebbe luogo in occasione della quarta crociata (cfr. Datazione dettagliata), dobbiamo concludere che il testo esistesse già verso il 1202. Non si può escludere, tuttavia, come parrebbe sulla base di vari indizi interni al testo, che esso abbia avuto una circolazione precedente di tipo esclusivamente amoroso e, in verità, Gaucelm Faidit pare essere stato aduso a simili rielaborazioni ed aggiunte testuali in occasione del pellegrinaggio in Terra Santa (in alcuni casi indubitabile: si veda la Datazione di BdT 167.58; cfr. anche qui la Datazione dettagliata e note ai vv. 3, 21, 48-50 e alla str. VI).
La canzone propone un tema amoroso tra i più tipici di Gaucelm Faidit: in una serata «onorevole e gioiosa» la dama ha dato realizzazione alle attese dell’io lirico, che per questo si profonde nel canto (strofa I), ma dopo tale serata i due si sono dovuti accomiatare mestamente (strofa III); l’io lirico, tuttavia, non è tornato immediatamente dalla donna e sente questo ritardo come una colpa per la quale chiede perdono, ma asserisce anche che la sua volontà è ferma e non mutevole (strofa IV). Il tema è trattato da Gaucelm Faidit in più occasioni: si vedano su questo sito le note a BdT 167.36 con i luoghi paralleli di BdT 167.61, BdT 167.4a (= BdT 132.3), BdT 167.12, BdT 167.40. Su questa tematica l’autore innesta una strofa in cui spiega per quale motivo non sia potuto tornare dalla dama: egli è infatti partito in pellegrinaggio e reputa tale azione più importante dell’amore per la donna (strofa V). La canzone si chiude con la celebrazione di Maria de Ventadorn (T) o con una preghiera in cui il trovatore invoca la protezione divina su di sé e sui compagni di viaggio (strofa VI).