I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
Edizione: Francesco Branciforti 1954; note: Sara Centili. – Rialto 15.iv.2003
I 93v, K 77r, a1 392, d 295.
Edizioni critiche: Carl Appel, Provenzalische Inedita aus pariser Handschriften, Leipzig 1890, p. 182; Giulio Bertoni, I trovatori d’Italia, Modena 1915, p. 347; Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia. Scelta di testi con introduzione e note, Modena 1939, p. 102; Francesco Branciforti, Il canzoniere di Lanfranco Cigala, Firenze 1954, (Biblioteca dell’Archivum romanicum: s. I vol. 37), p. 222.
Altre edizioni: Lanfranco Cigala, Liriche, a cura di Gianluigi Toja, Firenze 1952, p. 48 (rirpoduce Ugolini 1939 con lievi variazioni; traduzione italiana); Gianluigi Toja, Trovatori di Provenza e d’Italia, Parma 1966, p. 278 (riproduce testo e traduzione Toja 1952); Giuseppe Edoardo Sansone, La poesia dell’antica Provenza. Testi e storia dei trovatori, 2 voll., Milano 1984, vol. II, p. 550 (testo di Branciforti; traduzione italiana).
Nella tradizione, molto compatta, si riscontra una qualche incertezza rispetto alla qualità della settima rima: stabilmente -an nella seconda parte del componimento (a partire dalla quarta strofa), ma -anz in tutta (o quasi) la tradizione nelle prime tre strofe; tra i pochissimi emendamenti sostanziali di Branciforti, quello del v. 25 (unanimamente nei codici Anc non la vi) è stato contestato da Lewent (Kurt Lewent, «On the Text of Lanfranc Cigala’s Poems», in Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti, 3 voll., Palermo 1962, [Centro di studi filologici e linguistici siciliani: bollettino 7], vol. II, pp. 171-192); Lewent propone di mantenere il testo tradito intendendo ‘Non la vide mai né la udì nominare colui che (qe = qi) non la fece sua signora’. Per quanto riguarda invece l’interpretazione del testo, Jeanroy (Alfred Jeanroy, «A propos des I trovatori d’Italia de M. G. Bertoni», Annales du Midi, 17-18, 1915-1916, pp. 204-212) proponeva di leggere al v. 40 nos deu adur (‘le fait qu’elle regne au ciel doit nous empecher de la pleurer’), e a lui si accorda Lewent (p. 188), contro l’avviso di Branciforti, che ritiene questa interpretazione in contraddizione con quanto affermato dal poeta nella prima strofa e ai vv. 23-24.
Metrica: a10 b10 b10 a10 c10’ d10 d10 c10’ (Frank 624:24); cinque coblas unissonans seguite da una tornada di quattro versi. Lo schema metrico è tra i più comuni (si trova anche in BdT 282.12, dello stesso Lanfranc Cigala), ma non è possibile additare con certezza rapporti di imitazione con altri componimenti.
Planh per la morte di Na Berlenda. Benché la critica abbia cercato di individuare la Berlenda cantata dal poeta sulla base delle indicazioni di Jehan de Nostredame, tutte le proposte di identificazione avanzate restano ampiamente congetturali (cfr. per la discussione Branciforti, Il canzoniere, pp. 23-35), cosicché il componimento non è databile a partire dall’avvenimento che ne costituisce l’occasione. – Il componimento di autodefinisce chan-plor (v. 3), così come il planh per la morte di Gregorio di Montelongo, patriarca di Aquileia, BdT 461.107 (datato con certezza all’inverno tra il 1269 e il 1270); l’ultimo esempio di chan-plor della lirica trobadorica (benché in questo caso si tratti di espressione scherzosa e non di definizione di genere) è costituito dall’invettiva a Lantelm dello stesso Lanfranc Cigala (qar del vostre chan fan vostr’oills penedenza, / e·l chans-plors fai lo plus vert foill / secar en parvenza: BdT 282.13, vv. 37-40).