Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
330.
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Peire Bremon Ricas Novas
Pus partit an lo cor En Sordel e·N Bertrans
Peire Bremon Ricas Novas
Pus partit an lo cor En Sordel e·N Bertrans
Trad. it.

I. Non mi lamento più che il signor Sordello e il signor Bertran abbiano diviso il cuore del giusto signor Blacatz: io ne spartirò il corpo fra molti grandi paesi. Laggiù, un quarto ne avranno Lombardi ed Alamanni, la Puglia, la Russia, la Frisia e i Brabantini: vengano tutti a Roma ad adorare il corpo santo, e qui il nobile imperatore faccia edificare una cappella tale dove Pregio, Gioia, Piacere e Canto siano celebrati.

II. L’altro quarto lo avranno Francesi e Borgognoni, la Savoia e il Viennois, gli Alverniati e i Bretoni e i valenti Pittavini, perché loro sono generosi; e se i codardi Inglesi andranno lì a confessarsi, non saranno tanto malvagi che dopo non li si possa ritrovare buoni, perché il corpo santo è deposto in un luogo religioso; e il re cui appartiene Parigi lo protegga dai miserevoli con astuzia e con munificenza, perché in questo modo sarà apprezzato.

III. I valenti Castigliani riceveranno il terzo quarto, e vengano ad adorarlo i Guasconi, i Catalani e gli Aragonesi, visto che tutti posseggono un perfetto merito di valore; e se ci viene il re di Navarra, sappia bene che se non sarà prode e generoso nulla vedrà del corpo; lo terrà nella propria mano il buon re di Castiglia, perché donando e dispensando proteggerà il corpo santo, perché così regnò il suo avo con fine pregio sovrano.

IV. Il quarto quarto terremo noi altri Provenzali, perché, se lo donassimo tutto, non ci troveremmo troppo male; e lo metteremo a Saint Gilles, come in un luogo collettivo. E vengano i Roerghesi, quelli di Tolosa e quelli di Béziers, se vogliono un merito superiore: perché mai i conti avranno la pace e l’amore sincero, e ognuno veglierà, lo auguro, sulla propria salvezza; perché una grande e celebre corte senza munificenza non vale nulla.

V. La testa del corpo santo la invierò sicuramente laggiù, a Gerusalemme, dove nacque Dio; laggiù, al sultano del Cairo, una volta che abbia preso il battesimo, gli regalerò la testa, altrimenti gliela rifiuto. E Gui de Guibelhet, poiché ha pregio stimabile, protegga bene la reliquia dai pagani; e se il re d’Acri ci verrà, abbandoni la cupidigia, e si mostri generoso e prode, e sorvegli bene il dono.

VI. Dopo che Dio ha preso sinceramente l’anima di Blacatz, molti valenti cavalieri lo serviranno al suo posto.

Testo

Edizione e traduzione: Paolo Di Luca 2008; note: Paolo Di Luca. – Rialto 10.xii.2009. 

Mss.

R 28v.

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizioni critiche: François-Just-Marie Raynouard, Choix de poésies originales des troubadours, Paris 1816-1821, 6 voll., IV, p. 70; Hermann Springer, Das altprovenzalische Klagelied mit Berücksichtigung der verwandten Litteraturen. Eine literarhistorische Untersuchung, Berlin 1895, p. 100; Jean Boutière, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, Toulouse-Paris 1930, p. 77 (XX); Paolo Di Luca, Il trovatore Peire Bremon Ricas Novas, Modena 2008, p. 245.

Altra edizione: Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-86, III, p. 253 (testo Raynouard).

Metrica e musica

Metrica: a12 a12 a12 a12 a12 a12 a12 a12 (Frank 5:3). Planh composto da cinque coblas singulars di otto alessandrini, più una tornada di due alessandrini. Lo schema è condiviso da altri sei componimenti: Mout m’es greu d’En Sordel (BdT 76.12); En la mar major sui e destiu e d’ivern (BdT 330.6); Francs Reys humils e cars e d’amoros senblan (BdT 434a.25); Planher vuelh En Blacatz en aquest leugier so (BdT 437.24); Sol que m’afi ab armas tos temps del sirventes (BdT 437.34); Un sirventes vuelh far en aquest son d’En Gui (BdT 457.42). Come si legge dall’incipit, e come dimostra anche la struttura metrica, quest’ultimo sirventese, composto da Uc de Saint-Circ, è stato musicato con la melopea del Gui de Nantueil, canzone di gesta composta alla fine del dodicesimo secolo in lasse monorime di alessandrini; la stessa melopea era stata riutilizzata da Ricas Novas nello scambio di lasse con Gui de Cavaillon (BdT 330.20). I rapporti fra la lassa di Ricas Novas e il sirventese di Uc vanno ben al di là della speculare professione di imitazione: come la lassa di Ricas Novas è monorima, allo stesso modo sono costruite le stanze singulars del sirventese di Uc de Saint-Circ, e la prima di quest’ultimo ha in comune con quella di Ricas Novas la rima in -i. A questo punto si potrebbe agevolmente avanzare l’ipotesi che tutti i componimenti sopra elencati fossero musicati col medesimo son d’En Gui, e che soltanto Uc de Saint-Circ abbia ritenuto opportuno alludere alla fonte musicale nell’incipit del suo sirventese. Questa pista ci porterebbe a stabilire un rapporto genetico fra l’intero gruppo Frank 5 e la lassa di Ricas Novas, dal momento che la composizione di quest’ultima è cronologicamente anteriore a quella di tutti gli altri componimenti. È ipotizzabile che sia stato poi Sordello a riprendere e riadattare in forma strofica lo schema metrico adoperato da Ricas Novas nella sua lassa, giacché il suo planh è il più antico del gruppo Frank 5: egli creò un nuovo modello metrico che avrebbe avuto notevole fortuna e ispirato numerosi rifacimenti. Si vedano a tal proposito Dominique Billy, «L’héritage formel des troubadours dans la poésie occitane des XIVe et XVe siècles», in Actes du IVe Congrès international de l’AIEO (Vitoria-Gasteiz, 22-28 agosto 1993), 2 voll., Vitoria-Gasteiz 1994, vol. I, pp. 19-35, a p. 32; Paolo Di Luca, «Epopée et poésie lyrique: de quelques contrafacta occitanes sur le son de chansons de geste», Revue des Langues Romanes, 112, 2008, pp. 33-60, alle pp. 48-49. – La scelta di musicare con una melopea epica dei componimenti in forma strofica implica una soluzione di compromesso fra una versificazione di tipo stichico e una di tipo strofico. I contrafacta in questione, infatti, si servono di una base musicale radicalmente diversa da quella della lirica, che prescrive la ripetizione della medesima frase musicale ad ogni verso; ciò comporta che essi non possano prevedere all’interno di ogni cobla alcuna articolazione interna. Nonostante siano organizzati in periodi dello stesso numero di versi, dunque, non possono essere definiti propriamente strofici: bisognerà parlare di un compromesso formale fra una sequenza di lasse e una di coblas, anche in virtù del fatto che quasi tutti i contrafacta del gruppo sono chiusi da una o più tornadas (si veda Di Luca, «Epopée et poésie lyrique», pp. 39-43). Lo stile epico del planh di Ricas Novas si evince non solo a partire dalla scelta del metro, ma anche dalla presenza di numerose forme assonanzate ai vv. 4, 5, 6, 10, 21, 23, che vengono inframmezzate alle rime.

Informazioni generali

Planh in morte di Blacatz, che si configura come un rifacimento del celeberrimo compianto di Sordello Planher vuelh En Blacatz (BdT 437.24) scritto per la medesima occasione; prima di Ricas Novas fu Bertran de Lamanon a cimentarsi con un rifacimento del compianto di Sordello, intitolato Mout m’es greu d’En Sordel (BdT 76.12). La critica ha molto discusso sulla datazione dei tre planhs: le varie ipotesi hanno di fatto stabilito una forbice cronologica che va dal 1234 al 1242. La maggior parte degli studiosi tende tuttavia a concordare sulla fine del 1236 e l’inizio del 1237, soprattutto dopo i lavori di Stanislav Stroński, «Notes sur quelques troubadours et protecteur des troubadours célébrés par Elias de Barjols», Revue des Langues Romanes, 50, 1907, pp. 5-44, a p. 39, «Sur la date de mort de Blacatz», Annales du Midi, 24, 1912, p. 569, e la messa a punto di Marco Boni, Sordello, le poesie, Bologna 1954, pp. lxix-lxxi. Nello specifico, il planh di Ricas Novas sarebbe anteriore alla morte di Giovanni di Brienne (23 marzo 1237), che viene citato come vivente al v. 39. – Se Sordello nel suo planh immagina di spartire il cuore di Blacatz, per poi invitare i più alti esponenti della nobiltà europea a cibarsene, in maniera tale da acquisire quelle virtù in esso insite, delle quali essi sembrano essere del tutto privi, conferendo in questo modo al componimento i toni del sirventese politico, i rifacimenti di Bertran de Lamanon e Ricas Novas vanno in un’altra direzione. Il primo trovatore, ritenendo indegni i vari potenti richiamati da Sordello alla mensa del cuore di Blacatz, invita le donne più valorose del tempo a custodire il cuore del defunto in virtù della loro cortesia, trasponendo così il suo planh in’un ottica di stampo cortese. La strada prescelta da Ricas Novas è di natura ancora differente: egli dichiara innanzitutto di voler spartire non il cuore, bensì il corpo di Blacatz, e di volerne destinare le varie membra ai potenti del mondo intero, allo scopo di esporle alla venerazione dei popoli; non più perché produca cibo destinato a nutrire i sovrani descorat, o cimeli da dare in custodia a nobildonne di riconosciuto merito, lo smembramento del corpo del defunto è auspicato perché fornisca reliquie da adorare cristianamente (si veda Anatole Pierre Fuksas, «Il corpo di Blacatz e i quattro angoli della cristianità», Quaderni di filologia romanza della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, 14, 2001, pp. 187-206). In questa prospettiva viene tracciata una particolare geografia della cristianità, intesa come misura del corpo di Blacatz, e vengono evocate personalità, molte delle quali già presenti nell’archetipo sordelliano (si veda la nota a BdT 437.24), deputate a preservarne ed alimentarne il culto: Federico II, Enrico III d’Inghilterra, Luigi IX di Francia, Thibaud I di Navarra, Ferdinando III il Santo, Raimondo Berengario V e Raimondo VII di Tolosa, Gui de Guibelhet, il sultano d’Egitto Malek el Kamel, Giovanni di Brienne. – Nell’ultima cobla si delineano sommariamente le tematiche principali della ricezione dell’avventura delle crociate nelle testimonianze letterarie dell’occidente medievale. Saverio Guida (Canzoni di crociata, Roma 2001, pp. 32-35) mette bene in evidenza il ruolo che trovatori e trovieri ebbero nella diffusione della propaganda della guerra contro gli infedeli: nata come «pellegrinaggio, avventura spirituale, occasione di catarsi individuale e collettiva» (p. 9), la crociata arriva a configurarsi nelle liriche trobadoriche degli inizi del secolo XIII come un ideale ibrido a metà «tra il servizio di Dio e il servizio d’amore, tra il desiderio di honor et paradis da una parte, della douce amie dall’altra» (p. 31), in concomitanza con la trasformazione del cavaliere feudale in cavaliere cortese, e della convergenza di istanze religiose e interessi secolari. La scarna testimonianza di Ricas Novas sul negotium crucis si situa proprio al maturare di questa convergenza: egli depone la più importante reliquia del barone compianto nella città sacra per antonomasia, configurandola, tuttavia, come baluardo da difendere dei principali valori della società cortese; parimenti, l’appello a Gui de Guibelhet affinché difenda la vertut (che sta tanto per la testa di Blacatz stricto sensu, quanto per tutti quei valori di liberalità, prodezza e munificenza che essa simboleggia) dai pagani al v. 38, rende l’evidenza di quell’indebolimento della vocazione religiosa e della tensione spirituale che aveva mosso i primi crociati a favore di una secolarizzazione cortese delle medesime istanze. – Oltre a Gui de Guibelhet, cavaliere che prese parte all’assedio di Damietta nel 1218, nell’ultima cobla vengono evocati due altri personaggi chiave delle crociate: Malek-el-Kamel e Giovanni di Brienne. Il primo è il celeberrimo sultano d’Egitto che visse tra il 1218 e il 1238 e artefice della pace con Federico II, il quale, in un primo momento era stato suo nemico durante la crociata; il riferimento all’eventualità che il sultano debba battezzarsi fa parte della realtà storica: all’epoca delle crociate, Gregorio IX aveva inviato dei religiosi al seguito delle truppe militari per cercare di convertire al cattolicesimo le popolazioni musulmane e, dapprincipio, i loro principi, anche se la maggior parte degli sforzi di questi missionari risultarono vani. Il secondo divenne re di Gerusalemme nel 1210 a seguito del matrimonio con la regina Maria di Monferrato. Volgarmente conosciuto come re d’Acri, alla morte della moglie, fu tutore e reggente della giovane principessa Iolanda, la quale sposò Federico II nel 1225. Subito dopo il matrimonio, Federico usurpò il titolo di re di Gerusalemme, offendendo gravemente il suocero. Gregorio IX gli affidò poi il comando di un esercito che invase il Regno di Sicilia mentre l’imperatore si trovava in Terrasanta. Nel 1229, dopo aver sposato Berengaria, figlia di Alfonso IX di Castiglia, Giovanni divenne reggente per Baldovino II di Costantinopoli e difese l’Impero d’Oriente dagli attacchi greci e bulgari. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Costantinopoli.

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