Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
Anonimi

(Arnaut Catalan?)

Ki de placers e d’onor
Anonimi

(Arnaut Catalan?)

Ki de placers e d’onor
461.
209a
IdT
Anonimi

(Arnaut Catalan?)

Trad. it.
Apparato
Note

I. Chi di bei detti e d’onore e di sapere e di senno e di compiuto valore e di ogni insegnamento e di pregio perfetto e puro, compiuto di nobile beltà, voglia sentire racconto o canzone, se ne vada dritto a Calaone.

II. E su, ai piedi della torre, troverà veramente donna Giovanna, la nobile persona piena di dolcezza; e se io non ho detto [la] verità rispetto a ciò che ho narrato, che io perda allora del tutto la possibilità ch’ella mi mostri il suo viso.

1 e d’onor] edonar    2 e de sen] esen    6 complit] conplit    7 vol] bol    8 dreit] drit; a Calaon] accalaon    9 al] a    11 cors] cos; dolsor] dorsor    12 placen] placent    13 vertat] ueritat    15 per deus lors abbandon    16 ke·m mostre ia] ki mostrer un

1. placers. Il sostantivo assume qui il significato di «gefällige Taht oder Rede», per cui vedi SW, VI:373-374; si rimanda in ogni caso alla nota in Er quant florisson li verger (BdT 281.2) al v. 44.

2. Integrazione di de è necessaria per sanare l’ipometria: l’intervento è condiviso dai precedenti editori.

7. vol. Per un altro caso di betacismo vedi Arnaldon, per na Johana (BdT 461.27a), v. 2. – audir. Cfr. anche Arnaldon, per na Johana (BdT 461.27a), v. 7: «farrai son bon pretç audir». – novas o son. Lewent corregge o in on, proponendo dunque un avverbio di tempo al posto della congiunzione avversativa. Ad ogni modo, l’emendatio non è esplicata in nota, né tantomeno è possibile trovare conforto nella traduzione, la quale risulta mancante dell’intero v. 7: «Wer Kunde davon haben will, wo gefälliges Wesen und Ehre, Wissen und Geist, vollendete Tugend und jegliche Kenntnis guter Lebensart und lauterster, durch edle Schönheit vollendeter Ruhm zu finden sind, der gehe geradeswegs nach Calaone». L’intervento è ignorato da Blasi, che traduce il verso così: «vuol sentire dove sono notizie». Il senso conferito al passo, pur accettabile, non risulta particolarmente soddisfacente: Calaone è il luogo dove albergano le più perfette virtù amorose, ed è quindi difficile immaginare che, relativamente a queste ultime, si abbia il desiderio di averne notizia. Inoltre, a sfavore di questa interpretazione, vi è l’assenza di loci similes nella lirica occitana. Petrossi, Le “coblas esparsas” (nonché in Id., «Na Iohana») non interviene sulla lezione del manoscritto, e traduce: «Chi vuole ascoltare racconti o melodie di piaceri e d’onore». Il verso, così inteso, pone due problemi. In primo luogo, della dittologia novas o son non mi pare esistano parallelismi nel corpus dei trovatori. In secondo luogo, son, in quanto sostantivo obliquo plurale, prevede una -s morfologica, tanto più se si considera che la lezione figura in sede di rima: sarebbe dunque difficile ammettere un’eccezione così manifesta per un autore provenzale. L’ipotesi di una corruzione da una lezione originaria nova canso, per cui cfr. Mos volers es qez eu m’eslanz (BdT 96.7a), v. 2: «a nova chanzon novella», risulta sia troppo onerosa sia poco giustificabile a livello paleografico. Si propone di considerare sia novas sia son come sostantivi singolari. Quanto all’usus di novas al singolare vedi le Novas del ms. Didot: «A vos que etz aysi dirai / unas paucas novas que ay / auzidas dire non a gayre, / mas riman las vos vulh retraire» (vv. 1-4). Son sarà qui da intendersi, più che nell’accezione di ‘melodia’, nel significato generico di ‘canzone’, a maggior ragione se si considera la sua opposizione con novas, ovverosia racconto in versi privo di melodia, caratteristica che esclude l’emendatio novas ab son.

9. al pe de la tor. L’integrazione al (ms. a), non accolta da Blasi e Petrossi, si deve a Lewent. L’espressione al pe sembrerebbe adattarsi meglio al contesto: per altri riscontri vedi almeno Jaufre, vv. 356 e 390. Per l’usanza medievale di ricevere l’ospite sulla soglia di casa vedi Lewent, «Drei altprovenzalische Gedichte», p. 626, con rimando alla bibliografia relativa.

14. devisat. Vedi Arnaut Catalan, Amors, rics fora s’ieu vis (BdT 27.3), v. 4: «e plus ricx, s’ieu fos devis».

15. I precedenti editori emendano lors in lor[a]s, soluzione che ha il pregio di mantenere la funzione avverbiale della lezione tràdita, ma che non garantisce pieno significato al passo. Si propone la correzione l’ora, da intendersi nel significato di ‘momento’, ‘occasione’: cfr. ad esempio Az ops d’una chanso faire (BdT 106.4.), vv. 35-37: «Ieu non cugera ja vezer / l’ora que pogues tan voler / com: de leis feira un sol bais!».  – a bandon. L’espressione, frequente nel lessico trobadorico, ricorre anche nella tenzone bilingue fra Arnaut Catanlan e Alfonso X, Sinyer, [ab obs] vos conven qu’er (RM 21.1), v. 8: «c’or anon totas a bandon», dove, riferita all’ambito marinaresco, acquisisce il significato di ‘in rotta’. La lezione in Q presenta raddoppiamento fonosintattico, tratto riscontrabile anche al v. 8 nella lezione accalaon, per cui vedi anche L’altrer fui a Calaon (BdT 461.147), v. 1.

16. faizon. In questo caso, diversamente da L’altrer fui a Calaon (BdT 461.147), v. 8, il sostantivo assume il significato di «Gesicht, Antlitz», per cui vedi SW, III:393-394.

Testo

Edizione, traduzione e note: Luca Gatti. – Rialto 24.iii.2017.

Mss.

Q 4v (te(n)ço(n)).

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizioni critiche: Kurt Lewent, «Drei altprovenzalische Gedichte auf Johanna von Este», Zeitschrift für romanische Philologie, 39, 1919, pp. 619-627, a p. 621; Ferruccio Blasi, Le poesie del trovatore Arnaut Catalan, Firenze 1937, p. 54; Antonio Petrossi, Le “coblas esparsas” occitane anonime. Studio ed edizione dei testi, Tesi di Dottorato in Filologia moderna, Università di Napoli Federico II, 2009, p. 344; Id., «Na Iohana de pretç soverana: les troubadours à la cour de Calaone», Revue des langues romanes, 120, 2016, pp. 39-49, a p. 47.

Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 126 (testo Lewent); Gianfranco Folena, «Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete», in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 1-137, a p. 55 (testo Blasi); Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizione vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 106 (testo Lewent).

Nota filologica

Vedi L’altrer fui a Calaon (BdT 461.147).

Metrica e musica

Metrica: a7 b7 a7 b7 c7 c7 d7 d7 (Frank 382:104). Due coblas unissonans di otto versi. Rime: -or, -en, -at, -on. Il breve componimento è un contrafactum di Era·m cosselhatz, senhor (BdT 70.6) di Bernart de Ventadorn, testo che annovera fra le sue derivazioni anche Tartarassa ni voutor (BdT 335.55) di Peire Cardenal. Il confronto fra la rima d nel componimento (-on) e quella nel modello (-o) lascia ipotizzare che nella lingua dell’autore l’-n mobile dovesse cadere: su questo fenomeno vedi nota relativa in L’altrer fui a Calaon (BdT 461.147). – Blasi, Il trovatore, p. 55 (riprendendo Lewent, «Drei altprovenzalische Gedichte», p. 626), pone in relazione questo testo con la dedica a Costanza d’Este di Raimon Bistortz d’Arles in Qui vol vezer bel cors e benestan (BdT 416.5), vv. 1-7: «Qui vol vezer bel cors e benestan / e vol vezer on fis prez cars s’es mes / e vol vezer on fina beutatz es / e vol vezer on nais e viu honranza / e vol vezer on nais Jois e Jovenz / e vol vezer on n’es Valors e Senz, / vegna vezer ma Dompna Na Costanza».

Informazioni generali

Per la datazione e la questione attributiva vedi le Circostanze storiche.

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