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Anonimo, Gia non cugei qe m’aportes ogan (BdT 461.141)


 

Circostanze storiche

 

 

 

 

Il sirventese Gia non cugei qe m’aportes ogan, di autore sconosciuto (ma fiduciosamente attribuito da Blasi 1931, p. 42-44, a Paolo Lanfranchi da Pistoia), affronta in una prospettiva schiettamente europea il problema del coinvolgimento delle forze politiche internazionali in seguito alla disfatta sveva di Tagliacozzo del 1268. La cattura e l’uccisione di Corradino, ultimo degli Hohenstaufen, per mano di Carlo d’Angiò destò infatti una generale preoccupazione nei sostenitori della pars Imperii, spesso incapaci di reagire al crescente strapotere della monarchia angioina.

L’autore di Gia non cugei, pur servendosi di un provenzale incerto (forse a causa delle sue probabili origini italiane), si dimostra un fine interprete di questa particolare temperie storica ed esibisce una notevole conoscenza delle dinamiche politiche successive all’autunno del 1268. In tal senso, la proposta di datazione alla primavera del 1257 sostenuta da De Bartholomaeis 1931, p. 65, è inammissibile, giacché la patente allusione (si veda il v. 5) alla prigionia di Enrico di Castiglia, fratello di Alfonso X, impedisce di risalire più indietro dell’ottobre 1268, quando il principe iberico fu incarcerato a Canosa di Puglia per ordine di Carlo d’Angiò (Kamp 1993). Quanto al terminus ante quem, Blasi 1931, p. 141, e Jeanroy 1934, p. 1, paiono convinti che Gia non cugei risalga al 1276 (così anche Aurell 1989, p. 172; Alvar 1977, p. 272, lo data invece al 1275): lo studioso italiano individuava infatti nel corso di quell’anno una serie di eventi di particolare rilievo, quali l’incoronazione di Pietro III, le guerre condotte da Edoardo I d’Inghilterra per la supremazia sul Galles e l’elezione di Rodolfo d’Asburgo a duca d’Austria (cfr. Blasi 1931, pp. 36-39).

Una datazione più alta è però forse più coerente con la dimensione descritta in Gia non cugei. Osserviamo prima di tutto che il rimprovero rivolto dall’autore ad Alfonso X, colpevole di lasciare il fratello «en turmens» (v. 5), potrebbe fare riferimento alla mancata presa delle armi dopo l’esito negativo della richiesta di liberazione che il re di Castiglia fece pervenire nel 1269 a Carlo d’Angiò (cfr. Kamp 1993). Del resto, si noterà che già le voci di Bertolome Zorzi (Si·l mon fondes, a meravilla gran, BdT 74.16), Folquet de Lunel (Al bo rei qu’es reis de pretz car, BdT 154.1), Paulet de Marseilha (L’autrier m’anav’ab cor pensiu, BdT 319.1) e Cerverí de Girona (Pus li rey laxon la ley, BdT 434a.52), levatesi per invocare la scarcerazione di Enrico, sembrano situarsi in un lasso di tempo piuttosto compatto (comunque non oltre il 1273), il che indurrebbe a collocare Gia non cugei nel medesimo periodo.

A sostegno di questa ipotesi, si può aggiungere che la seconda cobla, nella quale il poeta si concentra sull’atteggiamento remissivo e insensato degli inglesi, può essere interpretata come un giudizio negativo sulla decisione di Enrico III d’Inghilterra e suo figlio Edoardo di interessarsi, verso il 1268, all’Ottava crociata promossa da Luigi IX (cfr. Tyerman 2012, pp. 825-826). La contraddizione sembra risiedere proprio nel fatto che gli inglesi vadano «gardan l’altrui paes» (v. 10), aderendo quindi alle iniziative militari del re di Francia, anziché preoccuparsi di «cobrar lo son a lansa» (v. 11), espressione che potrebbe celare un biasimo per la passiva accettazione del trattato di Parigi, stipulato nel 1259. Gli accordi parigini, che ratificavano la sovranità francese su tutti i territori appartenuti a Giovanni Senza Terra e confiscati da Filippo Augusto (ad eccezione della Guienna), obbligavano Enrico III a rendere omaggio a Luigi IX. L’anonimo trovatore, manifestando la propria avversione per le strategie politiche degli inglesi, sembra cogliere appieno l’incoerenza di Enrico ed Edoardo nell’aderire al progetto crociato del sovrano francese (che proprio nel corso dell’impresa troverà la morte, a Tunisi, il 25 agosto 1270), verso il quale dovrebbero invece mostrarsi ostili.

Le coblas III e IV possono ugualmente ricondurre al medesimo torno d’anni. Coerente con una datazione alla fine degli anni Sessanta o all’inizio degli anni Settanta è il riferimento a Pietro d’Aragona come Enfan (v. 15), termine che ci permette peraltro di stabilire il terminus ante quem al 1276, anno dell’incoronazione di Pietro. Il futuro sovrano iberico, convolato a nozze con Costanza di Svevia nel 1262, era già fortemente coinvolto nella disfatta degli Hohenstaufen nell’Italia meridionale. L’allusione a «sella pars ond lor vien duol chucens» (v. 20), che rinvia chiaramente al dibattito sviluppatosi in seno alla corte aragonese in merito al predominio sul sud della penisola italiana (Grimaldi 2009, p. 144), è un’implicita affermazione della legittimità delle ambizioni di Pietro su tale territorio dopo la morte di Corradino. Ma se di Pietro l’anonimo trovatore auspica un pronto e risoluto intervento militare, egli non si mostra altrettanto speranzoso nei confronti dei «baron Aleman» (v. 22), del «crois dus d’Estorica» (v. 23) e di «sel de Nissa q’es clamat “marqes”» (v. 24), tutti citati nella IV cobla. La menzione, in verità alquanto generica, dei baroni tedeschi può essere letta come un riferimento all’aristocrazia che, in Germania, aveva sostenuto le rivendicazioni imperiali di Corradino. Quanto al «dus d’Estorica», l’interpretazione è più complessa: De Bartholomaeis 1931, p. 64 credeva si trattasse di Ottocaro II di Boemia, mentre Blasi 1931, p. 38, e Jeanroy 1934, p. 6, pensavano a Rodolfo d’Asburgo, Rex Romanorum dal 1273. Quale che sia l’identità del personaggio, è possibile che l’accusa di vigliaccheria celi un riferimento all’onta per l’esecuzione di Federico I di Baden-Baden, che partecipò al fianco di Corradino nel corso della sua campagna italiana e che con lui morì a Napoli per mano di Carlo d’Angiò. Difficilmente definibile è anche la figura del marqes citato al v. 24: l’ipotesi finora ritenuta più verosimile è stata quella di De Bartholomaeis 1931, p. 64 che riteneva Nissa un errore per Missa, cioè Meissen, cittadina tedesca sede di un margraviato. In tal caso, il personaggio evocato dovrebbe essere Enrico III di Meissen (1215-1288), il quale, sebbene solo indirettamente coinvolto nelle vicende italiane nel torno d’anni indicato, risulta però destinatario, unitamente al nipote Federico, dell’Adhortatio composta nel 1269 da Pietro da Prezza, con la quale si auspicava la restaurazione della linea imperiale sveva dopo la morte di Corradino (Delle Donne 2015). Non va inoltre dimenticato che Enrico era stato in strettissimi rapporti con Federico II, il quale, a suggello del costante appoggio fornito all’imperatore, nel 1255 aveva concesso al figlio di Enrico, Alberto di Meissen, la mano di sua figlia Margherita.

Se gli indizi sin qui ricavati permettono di tracciare un percorso coerente, sarà allora possibile situare la composizione di Gia non cugei non molto tempo dopo la disfatta sveva in Italia e ipotizzare che il termine ogan (cioè ‘quest’anno’, v. 1) impiegato dall’ignoto trovatore alluda ai fatti occorsi in un anno compreso tra il 1268 e il 1276, forse addirittura entro il primo quadriennio di questo intervallo.

 

 

Bibliografia

  

Alvar 1977

Carlos Alvar, La poesía trovadoresca en España y Portugal, Barcelona, 1977.

 

Aurell 1989

Martin Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris, 1989.

 

Blasi 1931

Ferruccio Blasi, «Un serventese contro Carlo d’Angiò», Archivum Romanicum, 15, 1931, pp. 35-46.

 

De Bartholomaeis 1931

Vincenzo De Bartholomaeis, «Sirventese anonimo per la doppia elezione a Re dei Romani nel 1257», Studi medievali, 4, 1931, pp. 54-66.

 

Delle Donne 2015

Fulvio Delle Donne, «Pietro da Prezza», Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2015, versione in rete (www.treccani.it).

 

Grimaldi 2009

Marco Grimaldi, «Politica in versi: Manfredi dai trovatori alla “Commedia”», Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, 29, 2009, pp. 79-167.

 

Jeanroy 1934

Alfred Jeanroy, «Un sirventés anonyme en faveur de l’infant Pierre d’Aragon», Studi medievali, 7, 1934, pp. 1-7.

 

Kamp 1993

Norbert Kamp, «Enrico di Castiglia», Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1993, versione in rete (www.treccani.it). 

 

Tyerman 2012

Christopher Tyerman, Le guerre di Dio. Nuova storia delle crociate, Torino, 2012.

 

Cesare Mascitelli

3.i.2019


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