Analisi dei manoscritti: I manoscritti trasmettono un testo sostanzialmente omogeneo, anche a livello di ordine strofico; sono riconoscibili due gruppi di testimoni, solo in parte supportati da errori. Un gruppo è formato dai mss. ABIK (+ a1 per la strofa I), ulteriormente scomposti nelle coppie AB e IK. Esso rappresenta la tradizione orientale, dove il testo potrebbe essere stato aggiunto al nucleo ε+β (si veda la posizione quasi finale in A, assieme a testi di errata ascrizione). La costanza del raggruppamento si evince dalle varianti dei vv. 3, 19-20, 22, 40, 42-43 (dove la ripetizione di vas è al limite dell’errore), 46 (+ R), 47, 49, 50 (+ C), 60, 63, 65; la fonte utilizzata dai quattro testimoni è peraltro l’unica a veicolare la tornada dedicata a Na Maria, alternativa con ogni verosimiglianza alla strofa VI trasmessa dal solo a1 (come si è già visto, la tornada riprende la sirma della strofa V, non della strofa VI che a sua volta ha rime alternadas rispetto alla V). Quanto alle coppie AB e IK, esse sono più facilmente individuabili grazie ad errori: IK presentano errori ai vv. 4, 16, 48, 59 e varianti ai vv. 3 (mancano ABa1), 6, 7 (+ C), 19, 26, oltre ad una serie di fatti grafici comuni come ai vv. 8, 25, 37. Per AB gli unici errori che si rinvengono si trovano nella strofa I e sono comuni ad a1 (v. 2), a meno che non si voglia considerare erronea la grafia del v. 57; varianti si hanno ai vv. 4 (+ a1), 5 (grafia + a1), 11 (+ a1), 17, 19, 31 (+ N), 62. – I mss. CDaNR + a1 rappresentano forse la tradizione occidentale y, benché a rigore non si possa per essi parlare di gruppo o famiglia, perché, se è vero che le varianti di ABIK sopra indicate sono spesso deteriori, le lezioni di CDaNR + a1 negli stessi luoghi risultano corrette e non valgono a determinare un raggruppamento stemmatico; si noti che in Da BdT 167.33 è l’ultimo dei testi supplementari trascritti in questa sezione del canzoniere Estense. I testimoni non presentano errori comuni e in generale si oppongono a ABIK solo per le varianti già elencate sopra. Solo al v. 38 il numero plurale è a senso errato, ma si tratta di un fatto minimo facilmente emendabile e peraltro non condiviso da Da. In più luoghi ognuno dei mss. presenta lectiones singulares, per le quali si veda l’apparato, talvolta da non valutare come meri interventi del compilatore: al v. 2 ad esempio la singularis di N (tant per ab di CDaIKR) è confermata in tradizione indiretta da N2, che invece al v. 3 segue l’aggettivazione del gruppo ABIK (bels per bos). CDaNR non sono ulteriormente raggruppabili e sembrano copiare in modo indipendente una fonte corretta: così l’anticipazione di cors al v. 14 in NR e la conseguente ipometria del v. 15 (colmata da N con e) non hanno valore dimostrativo perché sono poligenetiche a partire dal forte enjambement con il verso seguente; al v. 14 peraltro la declinazione asigmatica comune a CR potrebbe indicare una nota relazione tra i due mss., ma il fatto è minimo e anch’esso poligenetico. La possibile relazione tra Da e N ai vv. 7, 19, 33 è altresì da respingere: nel secondo caso la confusa situazione delle varianti non permette un’analisi precisa, nel primo e terzo si tratta d’un intervento indipendente. Analogamente l’avvicinamento di R a ABIK al v. 46 è fortuito, così come poligenetico è quello tra C e a1 al v. 20. Infondata è, infine, anche la vicinanza tra C e Da al v. 49 (Da ha il rimante temers presente anche in C prima della raschiatura di una gamba della m), perché il testo presenta in più luoghi rime ripetute che possono aver confuso i copisti (cfr. benvolensa vv. 20, 24, traire vv. 19, 37; teners stesso vv. 31, 49). – Se dunque i mss. CDaNR provengono in modo parallelo da una fonte comune, va notato che C conosce anche la redazione di ABIK (in particolare di IK) che usa ai vv. 7, 50: il fenomeno è noto in quanto tra le molteplici fonti presenti al compilatore di C ve ne doveva essere una di provenienza orientale, prossima a IK. – Fonti plurime sono, infine, sicure anche per il ms. a1: questo usa una (nota) fonte vicina ad A per la strofa I (lacuna del v. 2, lezioni dei vv. 3, 4, 11, grafia del v. 5), per poi passare alla fonte comune a CDaNR per le strofe II-V. Una terza fonte specifica di questo ms. trasmette, infine, la strofa VI; a quest’ultima fonte possono essere addebitate le numerose lectiones singulares che contraddistinguono il testo di a1, che tuttavia potrebbero essere il risultato di una campagna d’interventi del compilatore stesso. – Non sono presenti errori d’archetipo, benché la tradizione piuttosto coesa faccia pensare a una provenienza non distante tra il gruppo ABIK e gli altri testimoni. Si propone qui la redazione dei mss. CDaNR + a1, sprovvista d’errori evidenti e della quale è in genere predicabile un minor grado d’intervento testuale. Grafia C.

Ordine delle strofe:

    I II III IV V T VI
  ABIK 1 2 3 4 5 6 -
  CDaNR 1 2 3 4 5 - -
  a1 1 2 3 4 5 - 6

Datazione e circostanze storiche:

Il testo è databile approssimativamente grazie alle indicazioni contenute nelle strofe V e VI e alla menzione di Na Maria (Maria de Ventadorn) in tornada. Se la menzione della viscontessa garantisce un arco temporale di uso della canzone che va dai primi anni Novanta del XII secolo al 1220 circa, le strofe V e VI permettono di circoscrivere meglio la cronologia del testo. Nella strofa V, pur all’interno di un testo amoroso, Gaucelm Faidit tende a fondere il piano della finzione letteraria con quello del discorso autobiografico. In essa, infatti, l’io lirico indica che non è potuto tornare dalla dama che gli aveva concesso un onorevole dono, perché si è mosso alla volta della Terra Santa (vv. 55-56, lai on Dieus lo vers / pres veraya nayssensa) e questo ‘movimento’ (movers, v. 53, indica sia il momento del partire che la durata del viaggio) non deve arrestarsi per il dolore che reca alla donna, in quanto l’impegno che attende l’io lirico è lo maire (v. 60), il più grande che esista, essendo servizio di Dio, e dunque in confronto ad esso anche l’amore della dama deve essere messo da parte. Gaucelm inserisce dunque nel contesto amoroso delle prime quattro strofe un elemento autobiografico, vale a dire la sua partenza per il pellegrinaggio in Palestina, talché l’io lirico e l’autore del testo si sovrappongono nella strofa V. Mouzat (Les poèmes de Gaucelm Faidit, Paris 1965, p. 299) riteneva che il movers di Gaucelm si riferisse alla terza crociata e, fantasticando sulle ristrettezze in cui il trovatore si sarebbe trovato a bordo delle navi che lo traghettavano verso l’Oriente, assegnava la canzone allo svernamento in Sicilia tra il settembre 1190 e la primavera del 1191, dove il limosino avrebbe avuto la tranquillità di comporre il testo (si veda anche la nota alla strofa V e al v. 53 in relazione alla lezione di a1). Tuttavia, al di là degli elementi ovviamente indimostrabili dell’argomentazione di Mouzat, i riferimenti di Gaucelm Faidit alla crociata si focalizzano esclusivamente sulla quarta, non sulla terza (si veda su questo sito quanto detto nell’edizione di BdT 167.9, di BdT 136.3, 167.13, 136.2, 167.3a e ancora di BdT 167.36 e BdT 167.19 con relativa bibliografia), pertanto il movers di Gaucelm va collocato tra la metà del 1202 e verosimilmente l’inizio di maggio del 1203 (momento in cui il trovatore prevedeva di tornare: cfr. vv. 23-25 di BdT 167.9), dato che esso non è ancora compiuto come indica il v. 58. Il testo era dunque già composto prima del 1203. Non è impossibile argomentare che la strofa V (come a maggior ragione la strofa VI, sulla quale si veda più avanti e si confronti l’apposita nota) sia un’aggiunta posteriore: l’ipotesi è emessa da Mouzat (Les poèmes, pp. 298-299); non osterebbe il fatto che, con una connessione diretta tra la strofa IV e la tornada, quest’ultima non riprodurrebbe le rime della sirma della strofa IV bensì della strofa III, perché un caso simile si ha in BdT 167.30 con coblas alternadas. Tuttavia, pare più naturale che la tornada seguisse la formula della sirma della strofa V come in ABIK (uguale trattamento rimico con coblas alternadas in BdT 167.31 e 167.32). Inoltre, la tradizione manoscritta non avalla l’ipotesi di un’aggiunta successiva per la strofa V trasmessa compattamente da tutti i testimoni (diversamente dalla strofa VI) e, dal punto di vista tematico, la ricercata intersezione in tale strofa tra contenuto storico e finzione letteraria amorosa tende ad escludere che quest’ultima sia un’aggiunta posteriore; peraltro, nel canzoniere di Gaucelm Faidit non sono rari tali slittamenti dalla materia amorosa a quella biografica (cfr. BdT 167.15, 167.36, 167.58, ma anche BdT 167.19). La possibilità di un’aggiunta seriore, invece, vale sia per la tornada sia per la strofa VI: entrambe sono consequenziali rispetto alla metrica della strofa V, ma sono conservate in un solo settore della tradizione, segno di un uso e di una trasmissione non generalizzati. La tornada appartiene ad una fase più antica dell’uso della canzone (ma potrebbe non essere la più antica in assoluto; si veda la nota al v. 3), mentre la strofa VI prosegue, in forma di preghiera esortativa, il discorso di crociata iniziato nella strofa V rispetto alla quale alterna regolarmente le rime e si può far risalire ad un momento del pellegrinaggio di Gaucelm successivo a quello descritto nella strofa V, ma sempre antecedente il ritorno nel maggio del 1203 (per un eventuale senso escatologico sottinteso si veda la nota).

 

Note al testo:

La canzone propone un tema amoroso tra i più tipici di Gaucelm Faidit: in una serata «onorevole e gioiosa» la dama ha dato realizzazione alle attese dell’io lirico, che per questo si profonde nel canto (strofa I), ma dopo tale serata i due si sono dovuti accomiatare mestamente (strofa III); l’io lirico, tuttavia, non è tornato immediatamente dalla donna e sente questo ritardo come una colpa per la quale chiede perdono, ma asserisce anche che la sua volontà è ferma e non mutevole (strofa IV). Il tema è trattato da Gaucelm Faidit in più occasioni: si vedano su questo sito le note a BdT 167.36 con i luoghi paralleli di BdT 167.61, BdT 167.4a (= BdT 132.3), BdT 167.12, BdT 167.40. Su questa tematica l’autore innesta una strofa in cui spiega per quale motivo non sia potuto tornare dalla dama: egli è infatti partito in pellegrinaggio e reputa tale azione più importante dell’amore per la donna (strofa V). La canzone si chiude con la celebrazione di Maria de Ventadorn (T) o con una preghiera in cui il trovatore invoca la protezione divina su di sé e sui compagni di viaggio (strofa VI).

3. La razo BdT 167.B.D individua un senhal nella locuzione bels espers (con l’aggettivazione di ABIKa1, mentre CDaNR hanno bos, qui a testo) e lo identifica esplicitamente con Jordana d’Ebreun, di cui non v’è traccia nei documenti medievali. La razo è tràdita solo da N2 ma l’identificazione è ripetuta nella razo BdT 167.B.E, che commenta BdT 167.40 e 167.15 ed è trasmessa dal ms. P. L’espressione bon esper o bel esper è usata a più riprese da Gaucelm Faidit con il significato proprio di «buona/bella speranza» o «buona/bella attesa» (che i mss. ABa1 tentano d’esplicitare al v. 4 con atendensa) e nella maggioranza dei casi è indubbio che non si tratta d’un senhal: si veda al riguardo Asperti (Il trovatore, pp. 34-41), che, a causa dell’analogo uso di Bel-Esper in Perdigon e in virtù dei rapporti tra quest’ultimo trovatore e Gaucelm Faidit, non esclude che in pochi casi possa trattarsi d’un senhal, benché l’eventualità resti piuttosto remota. Per quel che interessa qui, si possono notare alcuni fatti: il nostro testo è uno dei casi in cui l’espressione bels/bos espers maggiormente si avvicina ad un senhal; in effetti ai vv. 2-4 ab bela parvensa / venc mos bos espers / gen complir m’entendensa l’accostamento tra mos bos espers e la bela parvensa sembrerebbe ‘personificare’ il primo (si tratterebbe dunque della bela parvensa di Bos-Espers), ma un’interpretazione letterale non lascia insoddisfatti: «la mia salda attesa giunse/riuscì, con bella condotta (oppure: con bella visione, quella della dama), a compiere in modo nobile la mia richiesta d’amore»; si tratta in effetti del topos per il quale il vero amador è colui che sa attendere e sperare (entrambi campi semantici coperti da esper) ed è proprio la salda e speranzosa attesa che porterà al compimento dell’amore. Vedervi un senhal non è inammissibile, ma non è neppure una necessità; del resto, come già indicava Mouzat (Les poèmes, pp. 297-298), sarebbe strano l’invio a Maria de Ventadorn d’una canzone già dedicata a Bos/Bels-Espers, a meno che le due figure non coincidano, cosa che, a differenza di ciò che credeva Mouzat, si può escludere: troppe sono le canzoni di Gaucelm in cui Maria è menzionata nominaliter per pensare che in un esiguo numero di testi egli abbia voluto celarne l’identità. Il ragionamento di Mouzat va compiuto a ritroso: poiché Maria, a cui la canzone è dedicata, non è Bos/Bels Espers, tale espressione doveva in ogni caso suonare come sufficientemente comprensibile su un piano letterale da rendere inverosimile che si trattasse d’un senhal. Ciò non esclude che in plurime esecuzioni il testo non abbia avuto molteplici dedicatari: la tornada contenente il nome di Maria è infatti solo in ABIK e tale tradizione limitata potrebbe essere traccia di un’aggiunta successiva; in questo caso un testo, dedicato inizialmente a Bos/Bels-Espers, potrebbe essere stato in seguito dedicato a Maria de Ventadorn in virtù del forte mimetismo di un senhal che poteva passare inosservato. Infine, si può considerare che l’identificazione di Bel-Esper da parte degli autori delle razos con una donna di Provenza è probabilmente generata dal v. 21 del nostro testo e che tali identificazioni non sono sempre attendibili: nella razo BdT 167.B.E di P si dice, ad es., che in Gaucelm Faidit Lignaure era Raimon d’Agout, ma, come rilevavano già Kolsen, Meyer e Stroński, ciò è impossibile perché Raimon compare come persona distinta da Lignaure nelle tornadas di BdT 167.37 e 167.45 (cfr. Giorgio Barachini, «Una (quasi) nuova canzone di Gaucelm Faidit (BEdT 167,4a) e il suo quadro culturale», in Le forme del tempo e del cronotopo nelle letterature romanze e orientali, a cura di Gaetano Lalomia et alii, Soveria Mannelli 2014, p. 573, nota 30).

17. Il verso ha un senso ossimorico: l’umiltà e l’alta condizione sono infatti opposti. I mss. AB trasmettono d’azaut in luogo di e d’aut (B in realtà ha e d’azaut), lezione che costituirebbe una difficilior se non annullasse l’effetto ossimorico (e se non fosse relegata su un ramo del gruppo ABIK).

19-22. La divergenza di lezione tra AB+IK e CDaNRa1 è di difficile spiegazione. È possibile che il fattore dinamico dei versi sia stato il susseguirsi di soggetti (cors... oil... bevolensa) tra loro distanti e separati da aggettivi o da frasi relative, con il verbo principale che compare solo al v. 22. I mss. AB+IK avrebbero eliminato la relativa del v. 19 e collegato bevolensa del v. 20 ad atraire grazie a vas (intervento simile in Ca1 che al v. 20 hanno a sa bevolensa). Un secondo fattore dinamico sembra essere stato la forma saubon interpretata come sap bon da IK e R, nonché Da (saub ben, da confrontare con sauben di N), forse perché oil al v. 18 è stato inteso al singolare. Non è da escludere che il v. 19 potesse essere ipometro: l’espansione traire > atraire e le inserzioni gent o cor sono molto comuni (Maurizio Perugi, Le canzoni di Arnaut Daniel, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, vol. I: Prolegomeni). Seguo la lezione maggioritaria tra i mss. CDaNR. Il ms. a1 ha al v. 19 una lezione propria che pare risultare dall’unione delle due principali lezioni concorrenti.

21. Il verbo soplegar significa «se plier; s’incliner; se soumettre; supplier» (PD, p. 352). La Provenza è il luogo in cui risiedono la donna e la sua bevolensa, verso cui l’io lirico s’inchina o a cui si sottomette. È difficile dire se Gaucelm intendesse la Provenza propriamente detta (cioè la contea e il marchesato di Provenza), come ha inteso l’estensore della razo che pertanto vi colloca la presunta destinataria Jordana d’Ebreun, o per metonimia l’intera area occitana; ed è difficile precisare la ragione di tale indicazione geografica: se infatti una localizzazione provenzale per il senhal Bel-Esper è asserita da Asperti (Il trovatore, p. 41), si deve tener presente che il verso doveva risultare comprensibile anche nel momento in cui il testo fosse stato riutilizzato, cioè quando la dedicataria fosse stata Maria de Ventadorn. La soluzione di Mouzat (Les poèmes, p. 298) è definita «assolutamente semplicistica» già da Asperti (Il trovatore, p. 40, nota 52): Gaucelm Faidit, in viaggio per la Terra Santa, volendo dedicare la canzone a Maria de Ventadorn in Limosino, si sarebbe volto verso tale territorio e avrebbe inviato i propri saluti verso la Provenza (frapposta, secondo Mouzat, tra il luogo in cui si trovava Gaucelm e il Limosino, nonché suggeritagli dalla rima). Così facendo, Mouzat trascura che l’invio a Maria non è necessariamente contemporaneo rispetto alle prime cinque strofe e che Gaucelm Faidit non corrisponde verosimilmente all’io lirico.

25. Lezer indica la possibilità o la licenza di poter fare qualcosa a proprio piacere. Esprime pertanto i concetti di possibilità, d’occasione favorevole, di desiderio, di gioia. L’io lirico sta dicendo che egli sarà appagato, felice (v. 23), a patto che l’amore reciproco tra sé e la dama (nostra benvolensa, rimante ripetuto rispetto al v. 20) giunga al compimento di ciò che essi desiderano, dato che non manca loro la possibilità di ottenerlo (v. 26).

48-50. Nella versione di ABIK al v. 49 si hanno preiars e plazers, forse per attenuare la sensualità del passo e per evitare la rima identica con il v. 31, in realtà semanticamente equivoca. Al v. 50 il verbo al plurale e l’espressione en bistensa di ABIK + C (contaminato) sono faciliores rispetto al verbo al singolare concordato solo con l’ultimo sostantivo dell’elenco; in questo caso bistensa può essere letto anche come voce verbale (al singolare come ten). Il senso dei versi è che i doni ricevuti o auspicati non trattengono l’io lirico “qui”, cioè lontano dalla dama, anzi lo spronano ad andare verso un sottinteso lai, “là” dove si trova il repaire della donna; per questo l’io lirico si premura subito di assicurare che la sua volontà di tornare non cambia (vv. 51-52). Ma il passo ha una sfumatura ambigua se rapportato alla strofa V: in questa prospettiva sembra infatti che l’onors, il jazers, il baizars, il teners concessi dalla donna non possano trattenere l’io lirico “qui” e farlo esitare, perché costui si è ormai volto verso un impegno più grande, il pellegrinaggio (che costituirebbe dunque il lai a cui egli anela).

V. La lezione q’eu fau del v. 54 posta a testo da Mouzat è trasmessa dal solo ms. a1, che si è probabilmente preoccupato di rendere coerente il tempo verbale con l’idea che il movers non sia ancora finito e con la strofa VI trasmessa, non a caso, solo da a1. Ma tale lezione non è necessaria, perché movers è un infinito sostantivato che esprime un’azione in corso: non dunque il viaggio compiuto, ma anche la sola partenza, rispetto alla quale Gaucelm può parlare al passato. Del resto è chiaro che Gaucelm sta contrapponendo l’amore profano all’amore divino, dichiarando risolutamente che il secondo è lo maire (v. 60), il più grande, e in confronto ad esso il primo non può costituire un impedimento, né la partenza deve recare dolore alla dama (nella traduzione di Mouzat, Les poèmes, p. 301 una svista ha portato all’omissione del v. 57). Il discorso è così esplicito che l’impiego del termine guazardos a fine strofa (v. 65) indica non la ricompensa della dama secondo l’uso maggioritario nella poesia profana, bensì quella divina (el cel e sa ios, v. 64), e vuole esprimere l’idea che il vero guazardos non è quello cantato dai trovatori, ma quello promesso da Dio. Le varianti che distinguono ABIK da CDaNR sono adiafore (a1 riscrive con abbondanza, falsando le rime dei vv. 59-60 che non ha compreso): seguo, come in precedenza, il secondo gruppo.

66. Na Maria è Maria, viscontessa di Ventadorn, principale protettrice di Gaucelm Faidit in Limosino e tra le più importanti durante il suo intero periodo d’attività. Non si hanno date sicure sulla sua esistenza e sulla sua attività mecenatistica, collocabile comunque tra gli anni Novanta del XII secolo e i primi due decenni del XIII.

VI. La strofa può essere interpretata come prosecuzione del discorso di crociata che comincia nella strofa precedente: chi dice io dichiara di volersi muovere con l’aiuto di Dio padre (vv. 66a-67a). Si noti che il qi del v. 68a non può essere un pronome relativo unito a Dieu lo paire del v. 67a, come nel testo di Mouzat; non è infatti il Padre ad essere morto in croce, ma il Figlio, e la questione non è teologicamente irrilevante e, anzi, la confusione è alquanto improbabile per la coscienza d’un cristiano. Del resto, la guida di Iesu Cristz al momento di partire per la crociata è invocata anche al v. 2 di BdT 167.9. Gesù è dunque invocato come guida per il gruppo con cui Gaucelm si muove (nos, se così si vuole sanare l’ipometria del v. 68a) e per un secondo gruppo di “compagni” che sono detti “confratelli per obbedienza” (vv. 70a-72a); benché un’identificazione precisa di coloro a cui Gaucelm allude sia impossibile, si può comunque dare per certo che sia cofraire (v. 71a) sia obedïenza (v. 72a) rinviino alla sfera religiosa monastica (per obedïenza si vedano i significati registrati da C. du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, cum supplementis integris D. P. Carpenterii. Editio nova aucta [...] a Léopold Favre, 10 voll., Niort 1883-1888, vol. VI, col. 2); se Gaucelm partecipava alla crociata come pellegrino (sull’insostenibilità dell’opinione di Mouzat che egli fosse un cavaliere, si vedano le note a BdT 167.36 su questo sito), è probabile che qui si alluda a coloro che vi partecipavano o come sostegno religioso o come forza militare; in particolare gli ordini cavallereschi fonderebbero entrambe le funzioni. Gaucelm chiede quindi l’aiuto della loro fede, se si legge al v. 73a aid’er me lor crezenza: questo verso va considerato come un inciso, che non interrompe la serie di congiuntivi il cui soggetto è Cristo (sia v. 69a e teinha v. 76a, nonché concettualmente anche sia del v. 77a dove a Cristo è riferito il pronome ·il). Infine, Gaucelm prega che Gesù teinha en sa prezenza (v. 76a) le persone e gli averi (v. 74a) che essi (cioè i compaignos) hanno innalzato (cioè destinato) al Suo servizio (v. 75a) e che le sue e loro tribolazioni siano a Lui gradite (vv. 77a-78a). Tener en sa prezenza è locuzione infrequente; sa prezenza può essere una perifrasi per la terza persona singolare (SW, VI, 537, accez. 2); il senso è «tenga in sé, con sé», cioè «accolga, custodisca, protegga»: un concetto simile è espresso in BdT 167.14, vv. 28-29. La lezione del v. 78a è ripetuta in a1 due volte; al v. 52 il ms. legge lafanz nil mals paders e al v. 78a lafanz el mals paders: da un lato è evidente la commutazione della congiunzione ni > e (o viceversa) per fattori mnemonici, dall’altro è chiaro che paders aveva nell’antigrafo una -a- ben leggibile e non è riconducibile a una cattiva lettura di poders (emendamento a testo in Mouzat e Kolsen), il quale peraltro dà un senso incerto (cosa sarebbe questo mals poders “cattivo potere” messo sullo stesso piano di un chiarissimo ed inequivocabile afanz? «Gli sia dolce vista il tormento e il cattivo potere» ha un senso incoerente). Preferisco conservare l’incipitario pa- e attribuire la corruttela alla seguente -d- che potrebbe celare un nesso consonantico letto in modo errato: una grafia -rſ- può essere stata letta come -d- e rinvierebbe al verbo parser, di cui i dizionari riferiscono il senso di «souffrir, supporter» (PD, p. 278, lemma parcer) con ampia esemplificazione (SW, VI, 67-68). In tal modo il significato sarebbe simile a quello di afanz e perfettamente congruente nel contesto. Su questa cobla si aggiunga che l’essere alla presenza di Dio allude di solito alla morte terrena ed ha un valore escatologico e l’intera strofa potrebbe anche aver il senso ulteriore d’una preghiera in articulo mortis: si prega d’andare con Dio padre, avere la guida del Figlio, che ha già compiuto l’esperienza della morte, assieme ai confratelli ‘obbedienti’, invocare la loro fede, la loro preghiera e la loro generosità nel momento in cui si auspica di giungere alla presenza di Dio per il servizio reso e le sofferenze patite. La strofa è inoltre del tutto avulsa dalla finzione cortese che era ancora presente nella strofa V. Si notino, infine, la lacuna del v. 69a, e le forme tipiche di testi religiosi tardi, come am per ab raro nei canzonieri lirici, le grafie eus del v. 74a.

[GB, lb]


BdT    Gaucelm Faidit

Canzoni sulle crociate