Rialto

167.36

 

   

Gaucelm Faidit

 

 

 

 

   

I.

   

Mas la bella de cuj mi mezeis tenh,

   

qu’ieu vuel e prec et am per bona fe,

   

no vol ni·l platz qu’ieu l’am ni·l clam merce,

4  

no sai [guaire] a que·m fos mais chantaire;

   

quar del maior afar en qu’ieu aten,

   

non esperi plazer ni iauzimen;

   

per so no puesc guaya chanso retraire

8  

et er esfortz si la fauc ne·y atenh.

   

 

   

II.

   

Quar tot m’auci e·m trebalh e·m destrenh

   

selha cui am mil aitans mais que me,

   

e pus li platz qu’enaissi·m luenh dese,

12  

no·i sai cosselh mas un, que no·y val guaire:

   

si vol que·m lays de lieys, tuelha·m lo sen

   

e·l cor e·ls huelh[s], e pueys partirai m’en,

   

si puesc; si no, fassa·n ylh son veiajre,

16  

qu’encontra lieys non ai forsa ni genh.

   

 

   

III.

   

Ni re no sai, s’ap merce no·i atenh,

   

cum puesc’esser qu’ieu de lieys aja re;

   

et ab merce ni ab als non o cre.

20  

Que farai doncs? Liuratz suj a maltraire

   

e mortz de tot, si·l bon esper no·m ren,

   

en que pauzet mon cor celadamen,

   

lai o·m retenc e sufferc qu’ieu fos laire

24  

d’un bel plazer, per qu’ieu autra non denh.

   

 

   

IV.

   

Ad honor pris adoncas lo mantenh

   

de son gen cors; e promes mi maint be,

   

quan m’autreiet s’amor, don no·lh sove.

28  

E si·l plagues, no·lh fora ges d’estraire

   

so que promes per forsa franchamen,

   

qu’ieu suj de tot a son comandamen,

   

fors que d’aitan: que ges no puesc desfaire

32  

qu’ades non l’am, que ren als no·i retenh.

   

 

   

V.

   

E quar estauc que ades no·m empenh

   

ves Suria? Dieus sap per que m’ave:

   

que ma domna e·l reys engles mi te,

36  

l’us per amor e l’autre per pauc faire

   

del gran secors que m’avia en coven.

   

Ges non remanh, mas ben iray plus len;

   

quar d’anar ai bon cor, don ges no·m vaire,

40  

qu’e nom de Dieu ai levat entresenh.

 

 

4 no | sai a quem f. (-2) ms.    14 huelh ms.    37 coven] covinen (+1) ms.

 

 

Traduzione [GB]

I. Poiché la bella, da cui tengo (in feudo) me stesso e che desidero, prego e amo con fede sincera, non vuole né gradisce che io l’ami né le chieda pietà, non so davvero a qual fine io sia ancora uno di coloro che cantano, dato che non spero piacere né soddisfazione dall’impegno più grande al quale attendo; per questo non posso esporre una canzone gioiosa e sarà un miracolo il farla e il conseguirla.
II. Poiché colei che amo mille volte più che me stesso mi uccide, mi tormenta e mi tortura completamente e poiché le piace che in questo modo mi allontani da lei, non conosco altro consiglio se non uno, che non reca alcun soccorso in questo frangente: se vuole che mi allontani da lei, mi tolga il senno e il cuore e gli occhi, e poi mi separerò da lei, se posso; altrimenti, che ella faccia al riguardo ciò che le sembra meglio, dato che non ho forze né capacità contro di lei.
III. E non so per niente come possa accadere che io ottenga qualche cosa da lei, se non la conseguo grazie alla pietà; eppure non credo di conseguirla né grazie alla pietà né grazie ad altro. Che farò allora? Sono abbandonato a sopportare il male e sono del tutto morto, se non mi rende la buona speranza, in cui pose il mio cuore segretamente in quel tempo, quando mi accettò e sopportò che io fossi ladro d’un bel piacere, a causa del quale disdegno ogni altra.
IV. In quel tempo intrapresi la celebrazione della sua nobile persona in modo onorevole; ed ella mi promise molti benefici, quando mi accordò il suo amore, di cui non si ricorda. Eppure se le fosse gradito, non le importerebbe affatto di rinunciare a ciò che mi promise con vigore e francamente, perché io mi pongo del tutto al suo comando, tranne che in questo: che non posso affatto impedirmi che l’ami sempre, dato che non vi ottengo nient’altro.
V. Ma perché ancora indugio dall’avanzare verso la Siria? Dio sa perché ciò mi capita: perché la mia signora e il re inglese mi trattengono, l’una per amore e l’altro per il poco esaudimento del grande aiuto su cui aveva un accordo con me. Non rimango affatto, ma certo andrò più lentamente; perché, riguardo all’andare, ho una ferma intenzione, su cui non mi mostro mutevole, dato che in nome di Dio ho alzato il segnale.

 

 

 

Testo: Giorgio Barachini, Rialto 12.xii.2014.


Ms.: C 68v (Gau.fai|dit.).

Edizioni critiche: Adolf Kolsen, «Eine Sirventeskanzone und eine Halbkanzone des Trobadors Gaucelm Faidit (BGr. 167,36 und 63)», Archivum Romanicum, 20, 1936, pp. 103-110, part. p. 103; Jean Mouzat, Les poèmes de Gaucelm Faidit, Paris 1965, pp. 454-455.

Edizione diplomatica: Carl A. F. Mahn, Gedichte der Troubadours, in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1856-1873, vol. II, 1862, p. 142, n. 480.

Metrica: 10a 10b 10b 10’c 10d 10d 10’c 10a (Frank 744:1) con rime -enh, -é, -aire, -en. Cinque coblas unissonans di otto versi. Identica formula in Sordello, Gran esfortz fai qui ama per amor (BdT 437.17; rime -ór,- és, -ire, -an), canzone che, a parte qualche sparuta ripresa lessicale, non pare collegata alla canzone gaucelmina. Le rime in -enh sono particolarmente rare e provengono, più che dai modelli d’ambito marcabruniano (BdT 293.44 e BdT 323.5), da quello di Giraut de Bornelh che ne fa ampio uso in Gen m’aten (BdT 242.34) e soprattutto Ans que venha·l nous fruchs tendres (BdT 242.10).

Note: La datazione della canzone si basa sull’identificazione del reys engles, che ha promesso al trovatore un gran secors, un’elargizione pecuniaria o altra forma d’aiuto per compiere il già deciso passaggio in Oltremare (ma tanto covinen, lezione del ms., quanto coven, emendamento necessario alla metrica, significano anche “accordo, patto, contratto”, ciò che fa pensare piuttosto a un pagamento). L’identità del reys ha dato origine a differenti interpretazioni. La maggioranza degli studiosi (Robert Meyer, Das Leben des Trobadors Gaucelm Faidit, Heidelberg 1876, p. 42; Vincenzo Crescini, Per la canzone francese di Gaucelm Faidit, Venezia 1911, pp. 20-22; Kurt Lewent, Das altprovenzalische Kreuzlied, Erlangen 1905, p. 343-345, 417, 446; Kolsen, Eine Sirventeskanzone, p. 103; Robert Lug, «Gaucelm Faidit et Maria de Ventadorn, vivaient-ils encore en 1235?», in Gaucelm Faidit: amours, voyages et débats. Trobada tenue à Uzerche les 25 et 26 juin 2010 (Cahiers de Carrefour Ventadour 2010), Ventadour 2011, pp. 71-131, part. p. 118) ritengono che l’unica crociata a cui Gaucelm abbia preso parte sia la quarta e che il re sia Giovanni Senzaterra (1166-1216; re dal 1199); Stanislas Stroński (Le troubadour Folquet de Marseille, Cracovie 1910, p. 22) e Mouzat (pp. 456-457) pensano invece a Riccardo Cuor di Leone (1157-1199, re dal 1189); più in particolare, Mouzat ritiene che Gaucelm abbia preso parte alla terza e alla quarta crociata. Tenuto conto che un atto aggiunto al necrologio dell’abbazia di Solignac e redatto tra il 1195 e il 1218 sotto l’abate Ugo di Maumont, rende l’immagine di un Gaucelm frater ad succurrendum (verso la vecchiaia, in ipotesi dopo il 1210-1215? Il documento è pur sempre aggiunto ad un necrologio), è da escludere che altri re inglesi siano qui in questione. Per la morte di Riccardo Gaucelm compose un famoso planh (BdT 167.2, Fortz cauza es que tot lo major dan, probabilmente il suo componimento più elaborato; relazioni con il sovrano plantageneto prima del planh potrebbero essere adombrate anche in Jauzens en gran benanansa (BdT 167.31) con menzione di un seignor / de Peiteus, e in No m’alegra chans ni critz (BdT 167.43) indirizzata al seignor cui Peitieus es. Nel primo caso si tratterebbe, secondo Mouzat, d’Ademar de Poitiers (ma non di Poitou) o di Riccardo; nel secondo caso, di Riccardo in qualità di conte di Poitou. Se da un lato riesce sospetto che indicazioni tanto simili si riferiscano a due personaggi diversi, dall’altro un tentativo di differente identificazione è stato esperito da Lug (Gaucelm Faidit, p. 119) che pensa a Savaric de Mauleon, signore in relazione certa con Gaucelm (cfr. il torneyamen Gauselms, tres jocs enamoratz, BdT 432.2 = 167.26 = 449.1a) e siniscalco di Poitou dal 1205 al 1212, anche se l’indicazione cui Peitieus es implica, come in altre espressioni consimili, un possesso feudale, non una carica amministrativa e militare (ma potrebbe trattarsi d’una connotazione iperbolica). Se incerti sono dunque i rapporti con Riccardo, del tutto evanescenti sono quelli con Giovanni, che non si è mai occupato di mecenatismo presso i trovatori, guadagnandone una pessima fama. In questo contesto, non risulta strano che Giovanni sia accusato di non mantenere le promesse o gli accordi presi, forse il pagamento per il planh commemorativo di Riccardo e in generale della dinastia plantageneta (così Lug, Gaucelm Faidit..., p. 118). La descrizione del comportamento del re inglese in Mas la bella è in effetti piuttosto fosca e, supponendo che si tratti di Riccardo, essa mal si combina col ritratto di Fortz cauza es, dove si ricorda, certo in modo celebrativo, ma confermato da altre fonti, che Riccardo fu tant larcs, tant rics, tant arditz, tals donaire (v. 13) e faceva richas cortz ni beill don aut e gran. Il pauc faire del v. 36 di Mas la bella è, invece, un’affermazione velenosa e priva di retorica (“fare poco”) e indica una ricompensa avara rispetto ad un gran secors “grande aiuto”, su cui le parti erano già convenute (si noti che celebrando i Plantageneti – Riccardo, Enrico II, Goffredo – Gaucelm dice: e qui en luoc remanra de vos tres [cioè Giovanni] / ben deu aver aut cor e ferm cossir / de far bos faitz e de socors chausir, vv. 52-54; a che si riferisce il socors? Normalmente s’intende la crociata ma forse vi è un doppio senso). Una menzione di Giovanni è, inoltre, coerente con la cronologia della partenza di Gaucelm al seguito della quarta crociata, di cui siamo informati grazie ad Ara nos sia guitz (BdT 167.9), testo che Mouzat riteneva avesse conosciuto una prima redazione composta per la terza crociata, in accordo con la sua identificazione del seignor de Peiteu, e una seconda per la quarta crociata, ma tale ipotesi di doppia redazione è respinta con validi argomenti da Walter Meliga («Gaucelm Faidit et la (les) croisade(s)», in Gaucelm Faidit: amours, voyages et débats. Trobada tenue à Uzerche les 25 et 26 juin 2010 (Cahiers de Carrefour Ventadour 2010), Ventadour, 2011, pp. 25-36, part. pp. 28-31). Sembra dunque verosimile che il nostro testo faccia riferimento a Giovanni dopo il 1199 e prima del 1202, anno in cui Gaucelm mostra di essersi mosso in Ara nos sia guitz. Eventualmente si può pensare che Gaucelm sia partito, sì infine, al seguito della quarta crociata, trovati gli avers su cui invoca la protezione, oltre che sul cors, in L’onratz jauzens sers (BdT 167.33, vv. 73-76), ma che la decisione di partire in pellegrinaggio non sia necessariamente da ancorare ad una spedizione militare e possa essere precedente di qualche tempo; qui, nello specifico, Gaucelm afferma d’aver già preso o alzato in nome di Dio un entresenh, che è stato interpretato da Mouzat come un’insegna militare (ciò che gli faceva, con nulla verosimiglianza, supporre che Gaucelm fosse un cavaliere crociato), ma che probabilmente rimanda all’assunzione, da parte di Gaucelm, dei segni (entresenh è il “segnale”, il “distintivo”) che contraddistinguevano i pellegrini (il bordone, la schiavina, i distintivi sul cappello, ecc.) fin dal momento in cui essi s’impegnavano pubblicamente a compiere il viaggio. – La sezione amorosa della canzone ritrae una dama che rifiuta l’amore dell’io lirico, tanto che questi mostra l’intenzione di rinunciare al canto (vv. 4, 7-8). Il legame tra l’amore e il canto, già tipico della lirica trobadorica, ha una forte incidenza sulla generazione degli anni Novanta del sec XII. Alle strofe III-IV figura un tema specifico di Gaucelm Faidit: l’io lirico aveva trovato in passato e celadamen presso la dama un bel plazer (v. 24), che gli aveva fatto coltivare una “buona speranza” (bon esper, v. 21). La dama ha anche promesso abbondanza di bene all’io lirico (vv. 26, 29), ma ora disconosce la propria promessa (v. 27). Il tema è ripetuto con varie declinazioni da Gaucelm Faidit: soprattutto la str. V (vv. 37-45) di Tot so qe·is pert pels truans amadors (BdT 167.61; dedicato a Mieills de Ben) è quasi un ‘clone’ delle nostre str. III-IV: Q’en farai doncs? Tot aisso m’es errors, / q’ella no·m vol, ni autra no m’agenssa. / No·i sai conseill – mas, s’ieu anc fui aillors / d’orgoillos cor, ara·n fatz penedenssa; / qe·m pauzet ja en bon esper jauzen / car una vetz la pris en covinenssa / qu’il m’autrejet s’amor e son solatz, / mas era·m di que non fo vertatz! Ma si ritrova anche in Amors, [e] que vos ai forfag (BdT 167.4a, da aggiungere a BEdT; cfr. per testo e attribuzione Giorgio Barachini, «Una (quasi) nuova canzone di Gaucelm Faidit (BEdT 167,4a) e il suo quadro culturale», in Le forme del tempo e del cronotopo nelle letterature romanze e orientali, a cura di Gaetano Lalomia et alii, Soveria Mannelli 2014, pp. 561-579), vv. 23-26, pero per pauc non dic que dreg auria, / quar si be·m planh, be·m membra q’un dous ser / mi det, dont es dregz si mals m’en venia, / quar no saubi l’onrat ioy retener, e vv. 35-36 que quant ylh m’ac pauzat en bon esper, / ieu m’en fugi e degra remaner (il testo è dedicato a Ses-Enjan e Sanhtongier). Accenti simili, ma meno cogenti, in Be·m platz e m’es gen (BdT 167.12), str. III; in Mout m’enojet ogan lo coindetz mes (BdT 167.40; dedicata al Coms Jaufres), vv. 12-13 e str. III; in L’onratz jauzens sers (BdT 167.33), str. I; quest’ultimo testo, collegato al precedente (cfr. vv. 35-39) è dedicato a Na Maria, ma è composto dopo o durante un viaggio per penedenssa (non tanto per la variante q’ai fach / q’eu fau del v. 54, quanto per il movers del v. 53 che può indicare la sola partenza o l’intero viaggio). Mas la bella rappresenta inoltre un bell’esempio dello stile versificatorio di Gaucelm, che travalica spesso sintatticamente i limiti del verso e adopera forti pause in cesura, che danno un andamento fratto alla frase (cfr. vv. 9-10, 13-14, 20-21, 25-26, 28, 31-32, 33-34, 36-38). – 4. a que con valore finale (cfr. BnVent BdT 70.17, v. 36 qu’eu mor per s’amor! E a que?). Il verso è ipometro di due sillabe: integro guaire con cesura lirica; Kolsen integrava de ver. Inaccettabile la lezione di Mouzat: tan que no sai per que·m fos mais chantaire, che elimina sia il valore finale dell’interrogativa indiretta, sia l’unica frase principale della strofa (recuperandola inverosimilmente dalla causale dei vv. 1-3). – 8. atenh: stesso rimante al v. 17, ma non è necessario correggere il verbo in avenh (così Kolsen e Mouzat). Se nei due casi atenher non è un mot tornat, fenomeno presente anche altrove nell’opera di Gaucelm Faidit, potrebbe trattarsi del verbo raro atener “decidere, decidersi” o “dedicarsi”; ma una certa confusione tra le forme dei due verbi è anche possibile: cfr. Gavaudan, BdT 174.4, 74-75 per mil vetz s’es mos joys doblatz, / quar en la vostr’amor atenc. – 29. per forsa, dato il contesto, non può significare “per forza, forzatamente”; il senso è “con vigore, con slancio”. – 32. ren als no·i retenh è detto del rapporto con la dama (riferito nel pronome i). Retener indica il “trattenere, conservare”: l’unico fatto che l’io lirico può trattenere è il proprio amore, perché tutto il resto sfugge alla sua volontà (cfr. FqMars BdT 155.18, v. 18-19 mas tot lo meins aitant i retendrai / qu’inz e mon cor l’amarai a rescos).

[GB, lb]


BdT    Gaucelm Faidit

English translation and notes

Canzoni sulle crociate