Rialto

352.2

 

   

Peire de la Mula

 

 

 

 

   
   

I.

   
   

Ja de razon no·m cal metr’en pantais

 

Ormai, a ragione, non m’importa di affannarmi quando voglio comporre un sirventese o due; quei giovani ricchi, da cui nasce la malvagità, me lo insegnano, perché sono caduti dall’alto in basso, e non serve a nulla il castigare e la preghiera perché non li si ritrovi comunque deviati; e chi ne trovasse tra cento due onesti, se fosse davvero così, mi potrei consolare.

   

qan ben vuoill far un sirventes o dos;

 
   

qe·ill ric joven per cui malvestatz nais

 
4  

m’o enseignon, que son cazut d’aut jos,

 
   

e no me·n val chastiars ni pregieira

 
   

c’om non los trob ades descomunals;

 
   

e qui en cent en trobes dos cabals

 
8  

garir pogra·m si fos d’aital manieira.

 
   

 

   
   

II.

   
   

Ric joven croi, pois vezetz que val mais

 

Ricchi giovani malvagi, poiché vedete che vale più dare che tenere, vi comportate davvero da molesti, dato che siete così avari e bramosi: perché non c’è nessuno che alla fine [della vita] non lasci tutto e che non porti con sé più di un sudario; ma ricordatevi almeno di una cosa, che qui non vale né tesoro né capitale, torre né castello, palazzo né ricchezza.

 

   

dars que teners, mout i faitz q’enoios

 
   

car etz aissi avar ni cobeitos:

 
12  

q’un non i a q’a la fin tot non lais

 
   

ni que ja·n port mas una sarpeillieira;

 
   

mas d’una ren vos remembre sivals,

 
   

q’aqui non val ni thesaurs ni captals,

 
16  

tors ni chastels, palaitz ni argentieira.

 
   

 

   
   

III.

   
   

Per dar conquis Alixandres Roais,

 

Per generosità Alessandro conquistò Edessa e per avarizia Dario il Rosso perse la battaglia che lo privò degli averi e gli fece abbandonare la sua gente e i suoi baroni. Per generosità Carlo conquistò la Baviera e per avarizia fu ucciso Andronico il falso: mai per generosità viene danno ai principi, ma per avarizia nascono danno e povertà.

   

e per tener perdet Daires lo Ros

 
   

la batailla que teners li sostrais,

 
20  

sa gen li fetz laissar e sos baros.

 
   

E per donar conquis Carles Baivieira,

 
   

e per tener fo mortz Androine·l fals:

 
   

c’anc per donar a princes no venc mals,

 
24  

mas per tener lor nais dans e paubrieira.

 

 

 

 

Testo: Chiara Cappelli, Rialto 1.iv.2019.


1. Ja de razon no·m cal metr’en pantais: l’incipit metapoetico del sirventese suggerisce immediatamente lo stato d’animo, critico e collerico, del trovatore; questi afferma, infatti, di non aver bisogno di affannarsi troppo per cercare un argomento adatto a un sirventese (o dos addirittura), poiché i ric joven gliene forniscono sempre di nuovi.

4. cazut d’aut jos: secondo Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 510, «bas o en bas cazer è frase assai comune».

5. chastiars ni pregieira: a ragione, Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 510, rileva la ricercatezza stilistica di questo costrutto composto da un infinito sostantivato e da un sostantivo (motivo per cui qui si è deciso di riportarlo anche in sede di traduzione).

6. descomunals: Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 250, traduce come «fuori della retta via comune», mentre Pulsoni, «Ia de razon» p. 724, come «malfamati», volendo dare una maggiore impronta moralistica al termine che si contrappone al cabal del v. 7. La nostra scelta in sede di traduzione per ‘deviati’ è dettata dal tentativo di sintetizzare in un’unica parola entrambe le accezioni del termine, in quanto ci appaiono ambedue ugualmente valide.

11. etz: Bertoni inserisce a testo la lezione etz, attestata nel manoscritto C, preferendola alla lezione di A, setz; invece Pulsoni, «Ia de razon» p. 725, pur approvando la scelta di Bertoni, pubblica la variante maggioritaria es, poiché «etz ha tutta l’aria di essere un intervento correttorio di C per ripristinare la forma canonica del verbo».

13. sarpeillieira: hapax nella lirica trobadorica, i principali dizionari (SW, VII:610 e PD, s.v.; il lemma è attestato anche in antico francese, cfr. Godefroy, VII:319 e TL, VIII:183) lo traducono come ‘telo ruvido, telo d’imballaggio’. Per Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 510, si tratterebbe dell’involto in cui i giullari trasportavano i propri averi. Pulsoni, «Ia de razon», p. 726, invece, interpreta il termine come un telo che avvolge il corpo e dunque un ‘sudario’, poiché i vv. 15-16 sarebbero una parafrasi di Mt 6, 19-21, in cui si consiglia di non accumulare tesori sulla terra, dove potrebbero consumarsi e/o essere sottratti, ma nel cielo, quindi nell’aldilà. Poiché il sirventese non è esclusivamente diretto ai giullari (come, invece, accade in Dels joglars servir mi laisse, BdT 352.1, e in Una leig vei d’escuoill, BdT 352.3), riteniamo più plausibile quest’ultima interpretazione.

17. Per dar: tutta la cobla è strutturata sulla base dell’opposizione dare-tenere, generosità-avarizia e per ogni elemento sono forniti due esempi storici. Alixandres: Alessandro Magno viene menzionato spesso dai trovatori come personaggio proverbiale per la sua generosità (cfr. Adolf Birch-Hirschfeld, Ueber die den provenzalischen Troubadours des XII u. XIII Jahrhund bekannten epischen Stoffe, pp. 18-20). Roais: dall’arabo Er-Roha, è l’odierna Edessa.

18. Daires lo Ros: Dario III di Persia, l’imperatore battuto da Alessandro Magno nella celebre battaglia di Isso (333 a.C.); in seguito alla sconfitta, perse la famiglia e il tesoro imperiale. Per questo motivo, siamo d’accordo con Pulsoni, «Ia de razon», p. 726, quando, invece di seguire Bertoni, I trovatori d’Italia, p. 251 (che interpreta il teners del v.19 al pari del tener del v.18, «avarizia»), considera teners come «gli averi», i possedimenti. Un paragone quasi identico, tra Alessandro e Dario, si trova nell’anonimo Tres causas son qe devon baron far (BdT 461.239), vv. 10-13: «Seigner Marco, Alexandres per dar / conqes lo mon e los portz de la mar, / e·l reis Daires lo tot perdet un dia / sol per non dar als baros, q’el avia»; la stessa opposizione è presente anche in Sirventes avols e descortz (BdT 205.6) di Guillem Augier Novella, vv. 8-9: «ab dar fo Alixandres ricx / e Daires per tener mendicz». I due personaggi vengono invece accostati, come vittime di coloro in cui avevano riposto fiducia e benevolenza, nella canzone di Peire Vidal, Be viu a gran dolor (BdT 364.13), vv. 45-45: «Qu’Alexandres moric / per sos sers qu’enriquic, / e·l reis Daire feric / de mort cel qu’el noiric». L’appellativo Ros lo si ritrova anche nell’ensenhamen di Guiraut de Cabreira, Cabra joglar (BdT 242a.1), al v. 101. Gerardo Larghi, «Citations épiques et politique en Monferrat», Aspects de l’épopée romane: Mentalités, Idéologies, Intertextualités, Groningen 1995, pp. 383-389, p. 387, ipotizza, invece, un errore da parte dell’autore del sirventese: Peire avrebbe confuso il nome dell’imperatore persiano Dario con quello dell’omonimo personaggio fittizio delineato in un episodio del Roman de Thèbes, chiamato appunto Dario il Rosso, mescolando realtà storica e narrazione fantastica.

21. Carles: al contrario di Alessandro, i riferimenti alla liberalità di Carlo Magno nei trovatori sono più rari. Si veda, ad esempio, il sirventese di Bertran de Born, Eu chan, que·l reis m’en a pregat (BdT 80.14), ai vv. 69-72: «e quar conquerec Espanha / Karles, n’a hom tos tempz parlat. / Qu’ab trebalh et ab larguetat / conquier reys pretz e·l guazanha». Baivieira: secondo François Pirot, Recherches sur les connaissances littéraires des troubadours occitans et catalans des XIIe et XIIIe siècles, Barcelona 1972, p. 374, e Larghi, «Citations épiques et politique en Monferrat», p. 388, che si ricollegano agli studi di Gaston Paris, Histoire poétique de Charlemagne, Paris 1865, p. 294, la narrazione della conquista della regione germanica da parte di Carlo Magno si rintraccerebbe in una canzone di gesta perduta in cui è descritta la battaglia tra l’imperatore e il duca di Baviera. Potrebbe, tuttavia, esserci un’interpretazione alternativa. I manoscritti CR presentano le lezioni Bainieyra e Baneyra in luogo di Baivieira; tralasciando l’eventuale ma sempre possibile errore paleografico dei copisti, che avrebbero potuto confondere “n” per “u” nella lettura dell’antecedente, il toponimo Baniere è menzionato nella Chanson d’Aspremont. Nella redazione γ del testo è citata la Baniere, ovvero Bagnara, una piazzaforte calabrese dove Eaumont, figlio del re saraceno Agolante, si rifugia per sfuggire all’inseguimento dei soldati di Carlo. Paolo Di Luca e Anna Constantinidis, in «Appunti sulla fisionomia testuale della redazione γ della Chanson d’Aspremont», p. 12, affermano che: «Il toponimo non figura nelle altre redazioni dell’Aspremont, né pare essere particolarmente frequentato dalla letteratura epica. Esso doveva essere tuttavia abbastanza noto per la presenza del monastero di Santa Maria, fatto costruire da Ruggero d’Altavilla nel 1085». Dunque, per quanto la lezione Baivieira sia maggioritaria, per cui si è soliti ricondurre il riferimento toponomastico alla regione tedesca, la possibilità che Peire si stia riferendo nel suo sirventese alla cittadina calabra di Bagnara non risulta del tutto irragionevole.

22. Androin: è l’imperatore di Bisanzio Andronico I Comneno, detto ‘il falso’ probabilmente a causa del tradimento e dell’assassinio di Alessio II. L’evento era sicuramente conosciuto all’epoca della composizione del sirventese, poiché se ne trova traccia nelle cronache coeve (La conquête de Constantinople di Robert de Clari e la Chronique d’Ernoul et de Bernard le Trésorier); tuttavia, in queste fonti Andronico non viene mai accusato di avarizia.

[CC]


BdT    Peire de la Mula

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