Rialto    IdT

133.13

 

 

 

Elias Cairel

 

 

 

 

 

 

I.

 

 

So qe·m sol dar alegranssa

 

 

mi fai soven sospirar,

 

 

mas per la bon’esperanssa

4

 

q’ieu ai en so q’es a far vuoill chantar,

 

 

car ges no·m teing per pagatz

 

 

del segle que n’es passatz,

 

 

ni aquest no·m platz, car las poestatz

8

 

van baissan joi e solatz e valor merman.

 

 

 

 

 

II.

 

 

Jos el sol a gran mermanssa,

 

 

don dei joven encolpar,

 

 

an mes joi pretz et honranssa,

12

 

cort e don e dompneiar, e d’amar

 

 

par que s’es chascus laissatz

 

 

- don naissia larguetatz -

 

 

per q’ieu sui iratz, mas s’ieu fos amatz

16

 

tan ni qan be·m viratz de plus gai semblan.

 

 

 

 

 

III.

 

 

C’Amors vol gaia semblanssa,

 

 

mas ieu faillen razon ar

 

 

lieis q’es tornada en viltanssa,

20

 

c’om no la pot gazaignar ses comprar.

 

 

Car vendutz es lo mercatz

 

 

don chascus es enganatz,

 

 

pero ben sapchatz q’ie·n sofrira en patz

24

 

gran affan, totz forsatz, si·l fos benestan.

 

 

 

 

 

IV.

 

 

Cel qe·is dol de benestanssa

 

 

deu doblamen mal trobar:

 

 

si·s fai, q’ieu vei la balanssa

28

 

de ricor soven levar e baissar.

 

 

Gar -dar deu totz hom senatz,

 

 

qand es valens e prezatz,

 

 

que no·l prenda latz, c’om s’en vai viatz

32

 

d’an en an, per qu’es fatz qui·l ben vai tarzan.

 

 

 

 

 

V.

 

 

Rossignol, vai ses tarzanssa

 

 

l’emperador gen pregar

 

 

qe·m get’oimais de fianssa,

36

 

car trop lo vei demorar outra·l Far:

 

 

par non a ni no·n fo natz,

 

 

pero el s’es ben lauzatz

 

 

mal grat dels malvatz cui vei desfrenatz,

40

 

tan qu’auran lo percatz que deservit an.

 

 

 

 

 

VI.

 

 

Dar vuoill ma chansson, s’il platz

 

 

a Na Ponssa part Duratz,

 

 

car jois e solatz e totas bontatz

44

 

van doblan e beutatz el sieu cors prezan.

 

 

 

 

 

VII.

 

 

Mar -ques, si cor non compratz

 

 

tart reignara Monferratz,

 

 

e si vos tarzatz, cil cui plus amatz

48

 

gan -diran vas totz latz, que non vos segran.

 

 

Traduzione [GL]

I. Ciò che soleva darmi allegria mi fa spesso sospirare, ma per la buona fiducia che ho in ciò che va fatto voglio cantare, perché non sono per nulla soddisfatto del tempo che se n’è andato, e nemmeno questo mi piace, perché i potenti vanno umiliando gaiezza e piacere, e riducendo virtù.
II. Giù a terra a gran meschinità, per cui devo gioventù accusare, hanno ridotto gioia pregio e onore cortesia e liberalità e gli amori e di amare sembra che si sia ognuno stancato – ne nasceva generosità – perciò sono triste, ma se fossi amato appena un po’, allora mi vedreste di umore più allegro.
III. Ché Amore pretende un atteggiamento gioioso, ma io sbagliando continuo a difendere lui che s’è mutato in bassezza, ché non lo si può ottenere senza pagare. A prezzo disonesto si fa l’affare da cui ognuno viene attratto, però state sicuri che accetterei paziente da lui gran sofferenza, con tutto l’impegno, se gli fosse gradito.
IV. Chi si duole della fortuna deve doppiamente ricevere danno: così avviene, ché io vedo la bilancia della ricchezza spesso alzarsi e abbassarsi. Evitare deve ogni uomo saggio, quando vale ed è apprezzato, di esser preso al laccio, perché ce ne andiamo svelti, di anno in anno, perciò è sciocco chi procrastina il bene.
V. Usignolo va’ senza indugio, l’imperatore a pregare che mi fa perdere ormai la fiducia, perché lo vedo indugiare troppo di là dal Faro: pari non ha, né ne nacque uno, per questo si è già dichiarato soddisfatto, malgrado i vili che vedo senza freno, finché avranno la ricompensa che hanno meritato.
VI. Mandare voglio la mia canzone, se gradisce, a Donna Ponsa oltre Durazzo, poiché gioia e piacere e ogni bontà continuano a crescere con la bellezza nella sua preziosa persona.
VII. Marchese, se non comprate coraggio difficilmente avrà un regno la casa di Monferrato, e se vi attardate, quelli cui più dovete protezione cercheranno rifugio per ogni dove, senza seguirvi.

 

 

 

Testo: Lachin 2004. – Rialto 26.vi.2017.


Mss.: A 52r, C 234v, D 81v, H 33r, I 106v, K 91r, N 267v, R33r.

Edizioni critiche: René Lavaud, «Les trois troubadours de Sarlat: Aimeric, Giraut de Salignac, Elias Cairel; texte et traduction des 24 pièces conservées», Lou Bournat, 33, 1911, pp. 529-532, a p. 532; Hilde Jaeschke, Der Trobador Elias Cairel, Berlin 1921, p. 184; Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 24; Giosuè Lachin, Il trovatore Elias Cairel, Modena 2004, p. 353.

Altra edizione: Giosuè Lachin, Rialto 23.i.2015 (testo Lachin 2004).

Metrica: a3 b4’ c4 d3 b7’ d7 d3 d1 e6 e7 e5 e5 f1 f2 e3 f5 (Frank 841:1, unicum). Cinque coblas unissonans di sedici versi e due tornadas di nove. Rime: -ol; -anssa; -en; -ar; -atz; -an. Per un’accurata analisi metrica e stilistica del componimento si veda Lachin, Il trovatore, pp. 357-360.

Note: Canzone composta nel 1224 in Italia per spronare Federico II alla crociata in Terrasanta e soprattutto per incitare Guglielmo VI a recarsi nel regno orientale di Tessalonica: si vedano le Circostanze storiche.

1-4. L’esplicazione dei motivi che muovono al canto è un procedimento ricorrente negli esordi delle poesie dei trovatori; cfr. Francesca Sanguineti - Oriana Scarpati, «Comensamen comensarai. Per una tipologia degli incipit trobadorici», Romance Philology, 67, 2013, pp. 113-138, alle pp. 118-127.

7. L’attacco ai potenti costituisce un topos dei componimenti dedicati all’esortazione alla crociata.

8. Come in altri testi del corpus federiciano, la critica del tempo presente è accompagnata dalla descrizione delle ripercussioni che il comportamento dei signori malvagi procura al mondo cortese, rappresentato in questo componimento dalle virtù di joi, solatz e valor.

10. joven. Elias riprende qui le accuse alla gioventù del tempo che si riscontrano anche ai vv. 9-12 di Freit ni ven (BdT 133.4). Il trovatore biasima i giovani nobili considerati responsabili dello svilimento delle virtù cortesi; un simile attacco ricorre anche in un altro interessante testo composto in Italia, Ia de razon no·m cal metre en pantais (BdT 352.2) attribuito a Peire de la Mula, su cui si veda Carlo Pulsoni, «Ia de razon no·m cal metre en pantais (BdT 352.2)», Criticón, 87-88-89, 2003, pp. 719-728.

11-14. L’elenco delle virtù cortesi lese dal comportamento dei signori del tempo include anche Amore, motivo ugualmente presente in Freit ni ven (BdT 133.4). La decadenza di Amore comporta gravi modifiche in tutto il sistema cortese che su esso si impernia: in particolare è la generosità, una delle doti più care ai trovatori, a patire di questa involuzione.

19-20. Le accuse rivolte ad Amore riprendono il tema marcabruniano della mercificazione della relazione amorosa, cfr. Ans que·l terminis verdei (BdT 293.7), vv. 25-32. Nella critica di Elias «l’opposizione è tra la gratuità dell’amore ideale e la venalità dell’amore reale» (Lachin, Il trovatore, p. 373).

23-24. Al pari di altre canzoni in cui viene attaccato Amore, il trovatore giustifica le sue critiche con il mancato premio di fronte alla paziente sofferenza; per questo tema si veda Francesca Sanguineti - Oriana Scarpati, Canzoni occitane di disamore, Roma 2013, p. 23.

25-26. Come sostiene Lachin, Il trovatore, p. 375, il bersaglio della maledizione di Elias sono i ricchi giovani, i quali «non praticano né le virtù cortesi né quelle cristiane, e non si affrettano alla crociata».

28. In questo verso ricorre un altro topos delle esortazioni alla crociata dei trovatori, quello della denuncia della vacuità dei possedimenti terreni, per il quale si vedano anche i vv. 37-48 di En honor del pair’en cui es (BdT 375.8).

33. Rossignol. Lachin, Il trovatore, p. 377, si oppone al parere comune della critica (basti il rinvio a De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 26) secondo il quale il termine costituirebbe il soprannome di un giullare deputato a trasmettere il testo all’imperatore. Secondo lo studioso, Elias non sarebbe stato in grado di permettersi i servizi di un giullare e dunque egli ritiene «probabile che il poeta affidi il suo monito ad un immaginario messaggero pennuto, già nobilitato dalla tradizione trobadorica».

36. Far. Il Faro di Messina ossia il braccio di mare che divide la Sicilia dal resto della penisola italiana. L’unica altra attestazione trobadorica di Far ricorre nella cobla anonima Domna que va ves Valensa (BdT 461.96), vv. 8-9: «Que la garde de varar / si vol tener vas lo far», su cui si veda Anatole Pierre Fuksas, Etimologia e geografia nella lirica dei trovatori, Roma 2002, pp. 183-193. In base a questo verso si può ritenere che il trovatore al tempo della composizione si trovasse al di qua del Faro, ossia sul Continente.

37-38. L’esortazione alla crociata è accompagnata da un chiaro elogio: Federico è considerato qui come il migliore dei sovrani, tuttavia egli non si dedica alla spedizione in Terrasanta.

39. Nei malvatz desfrenatz si può forse ravvisare un riferimento agli infedeli che detenevano ingiustamente i Luoghi Santi.

42. Na Ponsa part Duratz. Non è possibile individuare chi sia la dama a cui viene inviato il componimento, probabilmente un esponente della nobiltà cristiana dei regni latini d’Oltremare. Lachin, Il trovatore, p. 381 reputa questa un’allusione politica relativa alla promessa di una spedizione armata dei Monferrato in Oriente.

45. Guglielmo VI, marchese di Monferrato, è dipinto nella seconda tornada come privo di coraggio e di ambizioni di conquista come in Pos cai la foilla del garric (BdT 133.9), vv. 9-14.

47-48. In chiusura di componimento Elias ricorda al marchese i doveri feudali nei confronti dei suoi vassalli presenti in Oriente e sostiene che il suo comportamento attendista avrebbe giustificato la rottura del patto vassallatico nei suoi confronti.

[fsa]


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Circostanze storiche