Testo: Luca Barbieri, Rialto 7.ii.2018. 1. Come sottolinea giustamente l’editore precedente Johnston, Les poésies, p. 131, le qualità sono quelle della dama. 4. La presenza nella tradizione manoscritta di diversi funtivi dilatatori (mas e e iniziali, sia lo per sia·l) permette di riconoscere facilmente la bontà della lezione pentasillabica attestata da alcuni testimoni. La stessa situazione si ripete in corrispondenza del quarto verso di ogni strofe. La presenza di un solo verso pentasillabico in strofi di tutti senari ha comprensibilmente fatto reagire parte della tradizione. 7-8. Il tema del doux échec è ripreso con frequenza da Arnaut de Maruelh (si veda Aissi cum cel c’am’e non es amaz, BdT 30.3, vv. 4-5; Aissi cum cel que anc non ac cossire, BdT 30.4, vv. 39-32; La grans beutatz e·l fis ensenhamens, BdT 30.16, vv. 19-20; Si cum li peis an en l’aiga lor vida, BdT 30.22, vv. 19-20; Tot quant ieu fauc ni dic que·m si’honrat, BdT 30.24, vv. 38-40; Us jois d’amor s’es e mon cor enclaus, BdT 30.26, vv. 16-17), ma i passi più significativi mi sembrano Uns gais amoros orguoills, BdT 30.25, vv. 37-39: «qu’ieu am mais, quar es plus gen, / sofrir un honrat dampnatge / que far guazanh, ont ieu honratz no fos», e La francha captenensa, BdT 30.15, vv. 21-24: «Tant etz de gran valensa, / mais vos am ab cor clar / ses pro merce clamar, / c’ab autra gazaignar»; questi ultimi versi costituiscono uno dei numerosi punti di contatto esistenti tra le canzoni La francha captenensa (BdT 30.15) e Franquez’e noirimens (BdT 30.13). Il tema è di probabile ascendenza ovidiana, visto che Rigaut de Berbezilh, Tuit demandon qu’es devengud’ Amors (BdT 421.10), v. 29, cita il nome di Ovidio all’interno un passo simile. Si veda per esempio Amores II, ix, 44 e III, xi, 7; Tristia V, xi, 7 e soprattutto Ars am. II, 177-180 (Luciano Rossi, «I trovatori e l’esempio ovidiano», in “Ovidius redivivus”: von Ovid zu Dante, hrsg. von Michelangelo Picone und Bernhard Zimmermann, Stuttgart 1994, pp 105-48, alle pp. 120-121). 16-20. Il tema del tort d’aimer è espresso in modo più chiaro ed esplicito in Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors (BdT 30.23), vv. 25-32. Lo stesso tema è anticipato in Bernart de Ventadorn, Lo rossinhols s’esbaudeya (BdT 70.29), vv. 17-24: «C’aissi com lo rams si pleya / lai o·l vens lo vai menan, / era vas lei que·m guerreya, / aclis per far so coman. / Per aisso m’afol’ e·m destrui / (don a mal linhatge redui), / c’ams los olhs li don a traire, / s’autre tort me pot retraire». 30. La lezione alternativa ve·us so que m’asegura di ADEI1K1 sembra più interessante e meno banale, ma oltre a essere minoritaria, elimina la ripresa della rima aventura alla fine della prima tornada, che è confermata dalla ripresa della rima meillura alla fine della seconda. 34-40. La parte finale della strofe riprende ancora una volta il tema di nobiltà, amore e cortesia, per cui si veda per esempio Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia (BdT 30.5), v. 67; Anc vas Amor no·m poc res contradire (BdT 30.8), vv. 27-28; Mout eron doutz miei cossir (BdT 30.19), vv. 28-30; Uns gais amoros orguoills (BdT 30.25), vv. 25-32, ma anche La francha captenensa (BdT 30.15), vv. 34-40. Il passo è di difficile comprensione a causa di una diffrazione di lezione al v. 34 e di una sintassi poco limpida in generale. Non è escluso che il testo di questa parte fosse già corrotto a livello dell’archetipo. 34. La diffrazione di lezione, come in tutti i casi precedenti, parla a favore di un verso pentasillabico, che in questo caso però è più difficile da ricostruire. I verbi reprendre (CMQ) e mesprendre (Rc) significano entrambi ‘riprendere, biasimare, accusare’ e indicano verosimilmente il senso da attribuire all’espressione, pur restando minoritari e dovuti a un probabile intento glossatorio. La forma più interessante resta la maggioritaria comes, variamente declinata nella tradizione manoscritta (ADEI2K2d). Mi pare che l’uso del verbo cometre nel senso insolito ma attestato di ‘attaccare’ si configuri come una lectio difficilior. Per ottenere la lezione pentasillabica sarà sufficiente trasformare la lezione m’avetz comes dei testimoni in una lezione passiva impersonale es comes attestata, pur con verbi diversi, dai mss. MQc. In alternativa si potrebbe accogliere la lezione a tort es repres di Q, già pentasillabica come in altri casi precedenti, il cui verbo è confermato da CM. 44. In questo caso la tradizione manoscritta conferma in modo unanime la lezione pentasillabica che conforta le nostre ricostruzioni negli altri casi di diffrazione. L’eccezione sarà dovuta a una lettura di natura i mes con iato tra a e i, che permette di ristabilire la misura esasillabica del verso. Ma la possibilità di una tale interpretazione è smentita dall’uso esclusivamente clitico della particella avverbiale i in tutto il corpus di Arnaut de Maruelh (Aissi cum cel c’am’e non es amaz, BdT 30.3, v. 7; Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia, BdT 30.5, v. 42; Anc vas Amor no·m poc res contradire, BdT 30.8, v. 13; Cui que fin’Amors esbaudey, BdT 30.11, v. 40; L’ensenhamens e·l pretz e la valors, BdT 30.17, v. 49; Mout eron doutz miei cossir, BdT 30.19, v. 33; Ses joi non es valors, BdT 30.21, v. 26; Si cum li peis an en l’aiga lor vida, BdT 30.22, vv. 2 e 8; Uns gais amoros orguoills, BdT 30.25, vv. 13-14), uso che corrisponde alla tendenza generale in tutta la lirica trobadorica. 51. L’espressione Mon Franses obbliga in questo caso a considerare che si tratti di una persona precisa, e non di una collettività come potrebbe suggerire il riferimento generico di Mout eron doutz miei cossir (BdT 30.19), v. 56. La stessa espressione si trova in Si cum li peis an en l’aiga lor vida (BdT 30.22), v. 44, ma si ha anche Seigner Frances in Aissi cum cel c’am’e non es amaz (BdT 30.3), v. 39. 54. Anche l’espressione Seinher En Genoes si riferisce evidentemente a una persona precisa, e anche questo dato potrebbe orientare l’interpretazione del più generico Genoes che si trova in La francha captenensa (BdT 30.15), v. 51 e Mout eron doutz miei cossir (BdT 30.19, v. 51). Leuker, «Le poesie “genovesi”», pp. 339-340, sostiene che questa canzone sia stata scritta prima delle altre perché non esalta la ricchezza della città di Genova, e propone d’identificare il personaggio in questione con Ansaldo Bufferi o con Enrico Dietisalvi, gli ambasciatori genovesi inviati ai sovrani di Francia e Inghilterra nel 1188. Si tratta tuttavia di un’interpretazione priva di solide fondamenta. L’appellativo potrebbe essere applicato a un qualsiasi personaggio di rango, di origine genovese o legato in qualche modo a Genova (per esempio i podestà Manegoldo del Tettuccio, Uberto de’ Olevano o Ottone del Carretto). In alternativa si potrebbe pensare a un senhal il cui substrato storico sembra in questo momento impossibile da determinare. Potrebbe perfino trattarsi del trovatore Peire Vidal, che ha probabilmente legami letterari con Arnaut e che in Quant hom es en autrui poder (BdT 364.39), v. 65 (databile al 1203-1204) si definisce emperaire dels Genoes e in Neus ni gels, ni plueja ni fanh (BdT 364.30), v. 73 (1204-1205) senher dels Genoes; oppure ancora di Enrico de Castro o Alamanno da Costa, il primo conte di Malta e il secondo corsaro genovese che conquistò Siracusa, entrambi esaltati dallo stesso Peire Vidal in Neus ni gels, ni plueja ni fanh (BdT 364.30). [LB] |